David
Sciunnach,
rabbino
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“Questi sono i computi del Tabernacolo, il Tabernacolo della Testimonianza …” (Shemòt 38, 21).
Ci dice il Grande Rebbe, Rabbì Menachem Mendel Shneerson, settimo Rebbe
di Lubavitch, a proposito di questo verso: “Nella Parashà di Pekudé
viene narrato in quale modo Moshè Rabbenù fa il computo di tutte le
offerte fatte per la costruzione del Mishkàn – Tabernacolo. È questo
computo un resoconto dettagliato di tutte le entrate e le uscite e del
loro utilizzo, affinché fosse eliminata dall’inizio la possibilità di
dubitare di Moshè stesso”.
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David
Assael,
ricercatore
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Alle
prime luci dell’alba sembra (l’ipotetico è d’obbligo) che Bibi sia
riuscito nella sua grande rimonta, dopo che gli ultimi sondaggi lo
davano perdente contro la coalizione guidata da Herzog e Livni.
Vincente contro tutti e a discapito di tutti: contro il centro-sinistra
israeliano, contro il Presidente Rivlin, che, rebus sic stantibus,
dovrà rinunciare al suo progetto di governo di unità nazionale; contro
l’Amministrazione Obama, contro la Comunità internazionale e la sua
decisione di riconoscere uno Stato Palestinese all’ONU, contro ogni
ipotesi di progetto di pace con i palestinesi.
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Torino
- Oggi alle 18 a Palazzo Madama la conversazione con Marco Belpoliti,
curatore della nuova edizione delle Opere di Primo Levi su "Che cosa
significa studiare Primo Levi".
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Israele, vince Bibi |
In
Israele, il Likud del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu ha
vinto le elezioni, conquistando 30 seggi contro 24 del rivale laburista
Isaac Herzog e la sua Unione sionista. Questo il risultato delle
votazioni per la Knesset, il parlamento israeliano, dopo lo scrutinio
del 99 per cento dei seggi. A Netanyahu sarà dunque affidata la
formazione del nuovo governo con la seguente coalizione di destra e
religiosa: Likud (30), Habayt Hayehudi (8), Yisrael Beytenu (6), Shas
(7), Uniti per la Torah (6). Il primo ministro attende il sì di Kulanu
(10 seggi), guidato dall’ex Likud Moshe Kahlon, per poter ottenere la
maggioranza alla Knesset (67 seggi). Terzo partito, la Lista araba che
ha vinto 14 mandati, a seguire il partito di centro di Yesh Atid (11)
guidato da Yair Lapid. La sinistra di Meretz (4) riesce a superare la
soglia di sbarramento del 3,25 per cento, rimane invece fuori il
partito religioso Yahad di Eli Yishai. Record di affluenza per questa
tornata elettorale: 71,8 per cento, come nelle elezioni del 1999, e
cinque punti percentuali in più rispetto alle elezioni elezioni del
2013.
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elezioni in israele - l'analisi
Cosa significa il voto in Eretz
Nessuno
si aspettava che Benjamin Netanyahu riuscisse ad invertire in questo
modo i sondaggi che lo davano dietro all'Unione Sionista. Di certo non
ci si aspettava un tale disparità tra i seggi ottenuti dal Likud, 30, e
quelli della compagine di centro-sinistra, 24. Le proiezioni, fino allo
scrutinio, davano i due partiti testa a testa e con questa notizia
hanno aperto tutti i giornali internazionali. “I sondaggisti hanno
fatto però un terribile
errore - spiega Sergio Della Pergola, demografo, docente all'Università
Ebraica di Gerusalemme e autorevole analista della politica israeliana
– non hanno tenuto conto delle ultime ore, chiudendo le proiezioni su
dati di metà pomeriggio”. Ed è possibile che nelle ore successive molti
dei delusi e astenuti dell'area di destra si sia recata al voto, spinta
in particolar modo da una massiccia campagna mediatica del Likud al
fotofinish: tra cui, l'appello di Netanyahu ad andare a votare per il
partito perché “gli elettori arabi stanno andando a votare in massa”.
“In ogni caso Netanyahu è riuscito a spostare i voti verso il Likud,
prendendoli soprattutto da Habayt Hayehudì e da Israel Beitenu
(compagini della destra più oltranzista)”, spiega Della Pergola,
sottolineando che il Likud non ha presentato un programma elettorale e
come Netanyahu abbia mostrato un certo disinteresse per un tema caro ai cittadini come il costo della vita. “Ha vinto il suo pragmatismo,
la sua capacità di trasmettere agli elettori affidabilità”, il pensiero
di Avi Simchon, docente di Economia all'Università Ebraica. “Non aveva
un programma e quindi non ha fatto grandi promesse ma ora dovrà
lavorare per rispondere alle esigenze sui temi sociali” e lo farà
probabilmente assieme a Moshe Kahlon, leader del partito Kulanu ed ex
uomo del Likud, che può contare su 10 seggi alla Knesset. “Chiederà un
prezzo molto salato a Netanyahu, tra cui ovviamente il ministero dell'Economia”, afferma Della Pergola. Ma la cosa
importante di queste elezioni, per il diplomatico israeliano Sergio
Minerbi, è che “Netanyahu è riuscito a battere chi voleva sostituirlo.
Questa sostituzione non ci sarà”.
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elezioni in israele
Partiti arabi, l'unità premia
L’unità
premia, talvolta. Presentatasi al voto come un blocco compatto, legando
in una sola proposta politica il partito di sinistra arabo-ebraico
Hadash (Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza), i due partiti
laici Balad e Taal e il partito islamico Raam, la coalizione unitaria
araba si aggiudica infatti 14 seggi, tre in più rispetto a quelli
ottenuti nell’ultima tornata elettorale quando ciascun partito aveva
corso per sé, e il terzo posto assoluto in graduatoria. “È un risultato
storico. Gli arabi israeliani hanno compreso l’importanza del voto e
per noi hanno votato anche ebrei progressisti che non hanno accettato
la deriva razzista di Netanyahu” ha affermato il leader Ayman Odeh, 41
anni, avvocato con trascorsi da consigliere municipale ad Haifa. Tra i
rappresentati di coalizione che siederanno alla Knesset anche la
deputata Hanin Zoabi, esponente di Balad, che la scorsa estate aveva
rifiutato di classificare il rapimento e l’uccisione dei tre studenti
di yeshiva nel Gush Etzion come un atto terroristico. Alcune sue
recenti intemperanze l’hanno portata a una sospensione dall’attività
parlamentare per sei mesi.
“Il fine ultimo è che Netanyahu perda il potere, è in assoluto la cosa
più importante. Non facciamo parte della squadra di Herzog, ma siamo
interessati ad ascoltare cosa ha da dirci”, sosteneva Odeh alla vigilia
del voto. Con Bibi sembra sempre più saldo al comando, resta da capire
quale sarà – concretamente – il peso del partito unitario nella nuova
Knesset. La sfida è comunque quella portare “le istanze di pace e di
giustizia sociale degli arabi israeliani e dei nostri fratelli
palestinesi”.
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elezioni in israele Knesset, numeri che sorprendono
l volti nuovi, sorprese, cadute e risalite: a votare i nuovi membri che
popoleranno la Knesset, il Parlamento unicamerale israeliano, è stato il 71,8 %
degli aventi diritto, il numero più elevato dal 1999. Il 13.7% dei
cittadini si è recato alle urne durante le prime tre ore di apertura.
Mentre
lo spoglio delle schede giunge alla sua conclusione fioccano le prime
cifre che ridisegneranno il paese. I numeri che saltano agli occhi sono
di certo quelli che rivelano l’aumento della presenza delle donne nella
Knesset che diventeranno 28 (nelle elezioni precedenti del 2013 erano
27 e nel 2009 solo il 21), e quello degli arabi che crescono del 29%
(17 membri sederanno in Parlamento contro i 12 del 2013). Gli ebrei
ultraortodossi scendono invece del 36% (25 membri contro i 39 delle
elezioni precedenti). Per far votare i 5,883,365 israeliani che ne
avevano il diritto, il paese ha fornito 10.119 urne, di cui 56 in 27
prigioni e 255 negli ospedali.
La
Knesset è composta di 120 seggi, il cui numero richiama i 120 saggi che
sedevano al Beth Hamikdash, il tempio di Gerusalemme. Per poter
governare, la maggioranza dovrà formare una coalizione che coprirà
almeno 61 seggi, anche se, per non rischiare di essere troppo debole,
dovrebbe raggiungerne tra i 65 e i 70. I partiti che si sono presentati
alle elezioni del 17 marzo sono 25 (il numero più basso dal 1992: due
anni fa a presentarsi erano stati ben 32 partiti) e la soglia di
sbarramento che si deve raggiungere per poter sedere nella Knesset è
del 3,25%.
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Ticketless
- Norme che mancano |
Una
settimana di disegni di legge, ma anche di invocazioni a norme che
mancano. Peccato che nessuno abbia ripreso l’articolo di Alberto
Melloni, apparso sul “Corriere della Sera” del 10 marzo scorso (“Le
norme che mancano sulla libertà religiosa”). L’Italia ha adesso una
legge contro i negazionisti, ma non ha una legge in difesa della
libertà religiosa. Commissioni, vari tavoli di lavoro, buone
intenzioni, nulla che difenda dai soprusi credenti e non credenti. I
fatti di Parigi, i nuovi scenari mediterranei che chiedono risposte
sicure per accogliere chi fugge dalle guerre, ma anche la tutela del
pluralismo religioso nelle scuole, dovrebbero farci capire quanto non
sia più rinviabile una legge-quadro sui rapporti fra lo stato e le
confessioni religiose, come ora ne esiste più d’una per i rapporti fra
potere politico e magistratura. Per dirla con Melloni, questa legge che
sembra non interessare nessuno, proteggerebbe “credenti e non credenti
da padrinati poco limpidi”.
Alberto Cavaglion
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Periscopio
- Senza alternative |
L’inatteso
recupero del partito di Netanyahu nelle elezioni israeliane e il
deludente risultato raccolto dai suoi antagonisti non significa, a mio
avviso, un entusiasmo dell’opinione pubblica nei confronti del governo
uscente, ma, più modestamente, una mancanza di fiducia nell’esistenza
di reali alternative effettivamente praticabili. Il desiderio di
cambiamento c’era ma c’era anche la paura del cambiamento, la paura che
Israele potesse venire spinto verso strade più rischiose. Tra le due
cose, desiderio di novità e diffidenza, ha prevalso la seconda. Ma è
evidente che, al di là del loro esito, le elezioni rappresentano sempre
un evento di rilievo di per sé, per il solo fatto che si sono svolte,
per il modo in cui si sono celebrate. Gli analisti si sono soffermati a
lungo sulle persone e le parole dei vari candidati, sorvolando in
genere sul fatto che, per me, è il più importante di tutti. L’anomalia
della situazione mediorientale è data proprio dal fatto che c’è un
Paese, e uno solo, nel quale si svolgono periodicamente le elezioni più
libere del mondo, frutto di un confronto di idee intenso, serrato,
aspro, nel quale tutti possono dire e ascoltare tutto di tutti. Un
Paese nel quale chi vince non diventa il padrone di nulla, e chi perde
non ha niente da temere. Mentre, al di là dei confini di questo piccolo
Paese, non è proprio la stessa cosa.
Francesco Lucrezi, storico
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Pace |
Sulle
elezioni israeliani si è scritto e si scriverà molto, vi è però un dato
incontrovertibile che credo debba far riflettere: l’assoluto
disinteresse degli israeliani per la possibile o forse impossibile pace
con i palestinesi, la questione sociale e il caro vita sono stati sono
stati al centro del dibattito elettorale, e Bibi ha recuperato i
consensi quando si è posto come il leader forte che può difendere il
paese dalle minacce esterne.
La questione palestinese è ‘scomparsa’ dall’agenda politica israeliana,
la ragione è semplice la totale sfiducia nella controparte nel valor
raggiungere un’accordo duraturo è stabile, dopo anni di sterili
concessioni che hanno portato a attentati e violenze due missioni a
Gaza, gli israeliani preferiscono un mediocre status quo, a un pessimo
trattato di pace.
Miky Steindler
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