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7 maggio 2015 - 18 Iyar 5775
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
U-sfartèm lakhèm mi-machoràth ha-Shabbàth eth ‘Òmer ha-tenufà, shéva‘ shabbathòth temimòth tihyéna”, “Conterete per voi dall’indomani della festa l’Òmer dell’elevazione, sette settimane complete saranno”. Con questo verso la Torah prescrive il conteggio dei giorni del periodo dell’Òmer, cioè del periodo tra Pésach e Shavu‘òth nel quale ci troviamo.
L’Òmer, la misura d’orzo che veniva portata al Santuario, logicamente non viene più né presentata né elevata. Invece il conteggio è rimasto. Perché?
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
L’Italia e Israele condividono un triste primato, quello dell’instabilità dei governi. Secondo dati del Cross National Time Series Data Archive citati da Luigi Guiso su il Sole 24 Ore relativi a 40 paesi a partire dal 1970, l’Italia è al primo posto assoluto al mondo con una media di una crisi governativa ogni dieci mesi, mentre Israele è all’ottavo posto con una crisi ogni 22 mesi.
La frequenza delle cadute o dei grossi rimpasti di governo è un sintomo inequivocabile del livello di governabilità di un paese, da cui deriva la capacità di dirigere e riformare la società nell’interesse comune.
In Italia le interminabili discussioni sull’Italicum cercano per lo meno di affrontare il tema di quale possa essere un metodo elettorale capace di garantire alla popolazione sufficiente rappresentanza democratica, e allo stesso tempo al governo stabilità e quindi capacità di programmazione ed esecuzione. In Israele questo necessario dibattito non è neanche iniziato nelle sedi competenti ed è stato appena accennato a livello accademico e pubblicistico. Oggi, nel giorno in cui il premier designato Benyamin Netanyahu deve sciogliere il mandato affidatogli dal Presidente Rivlin dopo le elezioni del 17 marzo, appare in tutta la sua drammaticità la quasi impossibilità di costituire in Israele un governo che abbia una parvenza di stabilità. La modifica del metodo elettorale proporzionale puro diviene per Israele una priorità urgente. Senza cambiamento il paese rischia di finire sullo scivolo della paralisi e del caos, se non peggio.
 
MILANO - Al Circolo Culturale Noam  presentazione questa sera del libro di Daniel Fishman “Il grande nascondimento. La straordinaria storia degli ebrei di Mashad”, editore Giuntina.
 
Israele, formato il governo
Diverse concessioni all’alleato Naftali Bennett e un esecutivo che poggia su una maggioranza di un solo voto alla Knesset (61 seggi su 120). Prende così forma il nuovo governo di Israele, guidato dal primo ministro e leader del Likud Benjamin Netanyahu. Ci sono voluti 42 estenuanti giorni di trattative per formare la coalizione, come ricorda oggi Repubblica, e a uscire rafforzato da questo braccio di ferro è stato il leader di Habayt HaYehudi Bennett: con la defezione dell’ex alleato di Netanyahu Avigdor Lieberman – ministro degli Esteri uscente che ha scelto di stare all’opposizione – il peso politico di Bennett è cresciuto notevolmente, tanto da costringere Netanyahu a concedergli il ministero della Giustizia, che sarà guidato da Ayelet Shaked (“le sue posizioni estremiste preoccupano già gli attivisti per i diritti civili, anche se il primo ministro ha posto dei limiti al mandato”, scrive il Corriere). “Un’estorsione”, affermano i vertici del Likud, uscito nettamente vincitore dalle ultime elezioni, riuscendo a sottrarre parte dell’elettorato proprio alla destra oltranzista di Bennett. Ma le concessioni di Netanyahu al leader di Habayt HaYehudi potrebbero essere riequilibrate in un futuro non tanto lontano: il Primo ministro ha nel cassetto l’idea di creare un governo di unità nazionale con il partito di centro sinistra Unione sionista guidato da Isaac Herzog. A lui Netanyahu vorrebbe affidare, nel caso di larghe intese, il ministero degli Esteri, al momento rimasto vacante.

Regno Unito al voto. Oggi si aprono le urne Oltremanica e i sondaggisti prevedono un pareggio tra i due principali contendenti: il conservatore nonché premier uscente David Cameron e il laburista Ed Miliband. Se nessuno dei due riuscirà a prevalere sull’altro, scrive Repubblica, per entrambi si profila il rischio di una fine anticipata della propria carriera ai vertici dei rispettivi partiti. “Qualcuno sostiene che i due sono più simili di quanto sembri – sostiene Repubblica – Uno figlio di un banchiere, l’altro di uno storico marxista di origine ebraica (ieri il Sun è stato accusato di un attacco antisemita a Miliband, per averlo sbeffeggiato con una foto in cui quasi si strozza mangiando un panino alla pancetta), vengono però dalla stessa università di élite ( Oxford ), fanno entrambi politica da quando erano giovanissimi, hanno casa nei quartieri più chic delle rispettive tribù londinesi e si sono entrambi allontanati dal centro dell’elettorato, Cameron su posizioni liberiste, Miliband con richiami al socialismo. Ciascuno inoltre ha il peggior nemico in casa propria: il sindaco di Londra Boris Johnson potrebbe portare via il posto a Cameron, l’ex-ministro degli Esteri laburista David Miliband potrebbe portarlo via a suo fratello minore Ed”.
 
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  davar
israele
Netanyahu si regge su un voto
Israele ha un nuovo governo grazie all'intesa trovata in extremis ieri notte dal primo ministro Benjamin Netanyahu e il leader di Habayt HaYehudi Naftali Bennett. Un governo che si regge però su una maggioranza di un solo seggio (61 sui 120 totali) e quindi profondamente instabile. A Netanyahu non è bastato sbaragliare con il suo Likud avversari e alleati (o presunti tali) alle elezioni di marzo per dare seguito alla promessa pre-elettorale di voler dare a Israele un esecutivo più stabile e solido. “I cittadini israeliani meritano un governo nuovo, migliore, più stabile; un esecutivo più rappresentativo che possa governare”, aveva affermato il Primo ministro lo scorso dicembre, ponendo fine al suo governo, licenziando i suoi ministri della Giustizia e delle Finanze (ovvero Tzipi Livni e Yair Lapid) e indicendo nuove elezioni. Alle urne, contro i pronostici della vigilia, Netanyahu era riuscito a ottenere una chiara vittoria: 30 seggi contro i 24 del partito di centro-sinistra Unione Sionista, guidato da Isaac Herzog e Tzipi Livni. Eppure, come scrive Nahum Barnea sul quotidiano Yedioth Ahronoth, in Israele “c'è una sola cosa peggiore di perdere le elezioni. Vincerle”. E così dopo 42 giorni di intense trattative Netanyahu si è trovato con l'inattesa defezione del suo ex braccio destro Avigdor Lieberman – che lunedì ha dichiarato di voler sedere all'opposizione – e con un Naftali Bennett improvvisamente catapultato in una posizione di assoluta forza. Tanto da portare in dote al suo partito, oltre al ministero dell'Educazione e quello per l'agricoltura, anche quello di grande rilievo della Giustizia, su cui siederà Ayelet Shaked, poco amata, secondo quanto riferiscono i quotidiani israeliani, da Netanyahu e signora.
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Lag baomer a djerba
Pellegrini del Mediterraneo  
Lottare uniti contro l'estremismo. Nelle ore in cui molti ebrei convergono da tutta Europa sull'isola tunisina di Djerba per l'annuale pellegrinaggio alla sinagoga di El Ghriba, in occasione della festa di Lag Baomer, l’imam francotunisino Hassen Chalghoumi ha rievocato quest'antica tradizione come esempio di collaborazione e dialogo. Alla prima romana del film “24 giorni” di Alexandre Arcady, che ripercorre le vicende degli ultimi giorni di vita di Ilan Halimi - il giovane ebreo francese torturato e ucciso dalla “banda dei barbari” guidata dall’estremista islamico Youssouf Fofana -  l’imam Chalghoumi ha infatti esortato a lottare insieme contro l'estremismo e ha ricordato il tradizionale pellegrinaggio di molti ebrei europei a Djerba. Per tre giorni feste, preghiere e antichi riti avranno luogo nell’antichissimo sito. Misure eccezionali sono state prese quest’anno dal governo tunisino al fine di garantire la sicurezza, in particolare in seguito all’attentato al museo del Bardo di Tunisi del 18 marzo 2015, rivendicato dall'Isis e in cui sono morte 24 persone.
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qui roma - nel nome di ilan Halimi
"Contro l'odio, serve unità"
No all’odio, no all’antisemitismo, no al fondamentalismo. Un triplice monito lanciato nel nome di Ilan Halimi (1982-2006), il giovane ebreo francese torturato e ucciso dalla “banda dei barbari” guidata dall’estremista islamico Youssouf Fofana. Un monito che arriva al cuore del pubblico ritrovatosi numeroso all’Auditorium della Conciliazione per la prima di “24 giorni”, il film del regista Alexandre Arcady che ricostruisce quella pagina d’orrore restituendo i drammi e i tormenti quotidiani della famiglia Halimi fino al ritrovamento del corpo agonizzante di Ilan. Basato sulla testimonianza autobiografica di Ruth, la madre-coraggio di Ilan (“24 giorni. La verità sulla morte di Ilan Halimi”, portato in Italia dalla casa editrice Salomone Belforte), il film vuol essere un campanello d’allarme, o meglio un vero e proprio pugno nello stomaco, per chi ancora oggi fatica a prendere consapevolezza di determinate situazioni e problematiche. “Dobbiamo essere tutti vigili contro l’antisemitismo. Una minaccia che non è solo per gli ebrei ma per tutta Europa”, spiega dal palco dell’auditorium Ruth. Il pubblico si alza in piedi e applaude le sue parole. Lei si commuove ed incalza: “Servono pene più severe da parte dei governi, ma serve anche un’azione più intensa sul piano culturale. Dobbiamo prenderci cura dei nostri giovani, non lasciamoli soli”. Concorda il filosofo Bernard-Henry Levy, secondo cui l’uccisione di Ilan “ha costituito un prologo per nuovi drammi: l’agguato alla scuola ebraica di Tolosa, l’azione al museo ebraico di Bruxelles, il terribile gennaio di Parigi”. Tre, secondo l’intellettuale, i pilastri dell’antisemitismo contemporaneo: la saldatura con l’antisionismo, la negazione della Shoah e il fenomeno della “concorrenza delle vittime” i cui ideologi si fanno sostenitori dell’idea che “a piangere troppo la Shoah, si diventerebbe sordi al lamento degli altri martiri dell’umanità”. Per quanto concerne la realtà italiana, Levy ha tracciato un quadro a tinte meno fosche di quella francese sottolineando “la simbiosi tra cultura ebraica e cultura nazionale” e ricordando, tra le molte figure, il contributo universale di Primo Levi, Italo Svevo ed Elia Benamozegh.
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jciak
La verità di Ilan
Può piacere o no, ma è uno di quei film che vanno visti per capire dove stiamo andando. “24 jours, la vérité sur l’affaire Ilan Halimi” di Alexander Arcady, in onda questa sera su Raidue, ci schiude una delle tragedie più emblematiche degli ultimi anni. Il film ricostruisce il rapimento, nel 2006, di Ilan Halimi, ventitreenne ebreo francese, che dopo ventiquattro giorni di prigionia e torture sarà ritrovato agonizzante e morirà in ospedale.
Ilan è divenuto il simbolo di un antisemitismo che da allora ha visto in Europa altri violenti attacchi, a Parigi come a Bruxelles e a Copenaghen. Ripercorrere quei ventiquattro giorni significa riannodare i fili di una storia intollerabile, in cui l’odio dei sequestratori s’intrecciò al silenzio colpevole di chi sapeva mentre la polizia e tanta stampa fino all’ultimo vollero ignorarne la matrice antiebraica.

Daniela Gross
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Melamed – nel nome di Ilan Halimi 
L’albero della memoria
“Alla memoria d’Ilan Halimi, I. C-J.”. Questo la scrittrice franco-tunisina Irène Cohen-Janca ha voluto fosse scritto in apertura di “L’albero di Anne”, il volume illustrato da Maurizio Quarello e tradotto da Paolo Cesari che la casa editrice orecchio acerbo ha pubblicato nel 2010.
Dona la parola a un vecchio ippocastano che per primo annunciava la primavera: “Ho più di cento anni, e sotto la corteccia migliaia di ricordi. Ma è di una ragazzina – Anne il suo nome – il ricordo più vivo.” Una storia nota raccontata da un’angolatura diversa: “Dicono che sotto la mia corteccia, insieme con i ricordi, si siano intrufolati funghi e parassiti. E che forse non ce la farò. Sì, sono preoccupato per le mie foglie, per il mio tronco, per le mie radici. Ma i parassiti più pericolosi sono i tarli, i tarli della memoria. Quelli che vorrebbero intaccare, fino a negarlo, il ricordo di Anne Frank.”
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  pilpul

FUNARO E DELLA ROCCA CANDIDATI A ROMA
Una pausa a testa alta
Due fra i nostri collaboratori, Daniel Funaro e Tiziana Della Rocca, affrontano in questi giorni come candidati la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio della comunità ebraica di Roma. Per tornare a leggere su queste pagine i loro apprezzati interventi il lettore dovrà attendere che siano completate, il prossimo 14 giugno, le operazioni di voto. A Daniel, candidato con la lista “Per Israele” condotta da Ruth Dureghello e a Tiziana, candidata con la lista “Israele siamo noi” condotta da Fiamma Nirenstein, i nostri sentimenti di amicizia e l'augurio dei migliori successi negli impegni di questa stagione.
A tutti vorrei esprimere il nostro orgoglio nel poter contare su contributori impegnati da schieramenti diversi sul fronte comunitario e sensibili a un'etica dell'informazione che consiglia di non sovrapporre il loro ruolo di firme di queste testate con i loro impegni elettorali. Attenderli per qualche settimana e tornare a dare loro voce all'indomani del voto è il nostro modo di intendere la libera espressione delle opinioni e l'indipendenza del lavoro dell'informazione dalla legittima esigenza di ricerca del consenso politico alla viglia di una consultazione elettorale.

gv


Setirot - La felicità d’Israele
Capita spesso, andando da amici in Israele o leggendo narrativa israeliana o gustandosi un film israeliano, di chiedersi – soprattutto in certi periodi tragici – da dove arrivi la forza non soltanto di andare avanti giorno dopo giorno, ma di essere o almeno apparire vivaci, vitali, casinisti, allegri, si direbbe felici.
Ce lo potrebbero spiegare certamente sociologi, politologi, psicologi e rabbanìm.
Rimane il fatto che, appena finito di leggere gli ultimi racconti di Etgar Keret (“Sette anni di felicità”, ed. Feltrinelli), mi sono riproposto per la centesima volta la medesima domanda: come fanno? Quale magia evoca una frase come "Se un razzo ci può cascare in testa in qualsiasi momento, che senso ha mettersi a lavare i piatti?"
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Stefano Jesurum, giornalista
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Ridere e sperare
Il Gran Rabbino di Francia Haim Korsia ha rammentato al Moked di Milano Marittima che la risata dell'anziana Sara, alla notizia che avrebbe avuto un figlio ormai non più sperato, prima ancora di essere il riso di Sara, è stato il riso del marito Abramo. Sara avrebbe riso dopo. E il nome di questo figlio, Isacco, è il verbo ridere proiettato al futuro. Come dire che abbiamo sognato (un figlio, un futuro), popolo siamo diventati, hanno cercato più volte di sterminarci ma in qualche modo ci siamo sempre risollevati. E rideremo, avremo ancora la possibilità di sperare e di sorridere di noi stessi, guardando avanti.

Sara Valentina Di Palma, ricercatrice
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Un ricordo di rav Toaff
In questa stagione avrebbe compiuto 100 anni il rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff z.l.
In questa occasione, a pochi giorni dalla sua scomparsa, sua nipote Lia Toaff ci regala un ritratto familiare commovente ed inedito, fatto di racconti di vacanze, di giochi e di compere:
“Mi ritorna in mente quando venivo nel tuo studio in comunità e mi tenevi sulle ginocchia; quando eri intento a fare le parole crociate; quando nella stanza dei rabbini mi davi le caramelle e mi mettevo a staccare i pezzi di cera dalle candele; quando sulla Tevah mi davi la tua beracha sotto il talled…”.

Claudia Sermonet
a
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