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8 settembre 2015 - 24 Elul 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
Le due sezioni più corte della Torah, Nitzavìm e Vayelekh, si leggono spesso a cavallo di Rosh Hashanah. Il paradosso è che Nitzavìm significa stare fermi, mentre Vayelekh significa andare, camminare. Il popolo ebraico che sta andando in Israele per costruire un nuovo progetto viene invitato a fermarsi, “Attém Nitzavìm”, “ Voi starete fermi…” (Devarìm, 29;9). Viceversa Moshè, che è costretto a fermarsi nel cammino verso Eretz Israel, è colui che va, che cammina, “Vayelekh Moshè”, “Moshè andò..” (Devarìm, 31;1). Chi viene sollecitato a muoversi è bene che ogni tanto si fermi a pensare e ad ascoltare, chi invece sente bloccato il proprio cammino deve continuare ad andare avanti fino al limite concesso. Mi sembra questa una sollecitazione significativa per proiettarci con senso di maturità verso un nuovo anno. Shanah Tovah umevorechet.
Dario
Calimani,
anglista
È disorientante scoprire l’inatteso. Mentre la crudeltà medievale dell’Isis minaccia fragili equilibri nell’epoca che si credeva più moderna e progredita, lo spirito umanitario riappare improvviso e sorprendente in Germania, dove meno te lo saresti aspettato, e l’Ungheria, ma anche da noi la Lega, sostiene meschine politiche localistiche che si nutrono dei cadaveri dei migranti. L’anarchia di valori fondamentali non condivisi sconquassa, e mentre il cuore piange di fronte a immagini di morte innocente la mente si perde e si angoscia di fronte alle prospettive del futuro. Certe parole, programmare, certezza, razionalità, stanno per sparire dal nostro vocabolario. Si sta facendo spazio alla follia.
La guerra in Siria
e l'intervento francese
La Francia si prepara a colpire le milizie dello Stato islamico in Siria. Ad annunciarlo il presidente francese François Hollande: “Vogliamo sapere cosa si prepara in Siria contro di noi”, ha dichiarato Hollande. La missione francese si aprirà oggi con una ricognizione del territorio, poi, “secondo le informazioni che raccoglieremo, potremo condurre dei raid”. Si tratta di un radicale cambio di rotta per Parigi, che fino a poche settimane fa considerava i raid aerei in territorio siriano una mossa da evitare in quanto potenzialmente a favore di Bashar al-Assad. La Gran Bretagna invece, lontano dai riflettori si sarebbe già mossa: da Londra, l’ammissione di aver effettuato il 21 agosto un primo raid in Siria, utilizzando un drone, che avrebbe ucciso tre esponenti del Califfato. Diversa la posizione italiana con Roma, come riporta La Stampa, contraria a singoli interventi di ciascuno Stato. Il premier Matteo Renzi ha ribadito che l’Italia non si accoderà a questa strategia, chiedendo un progetto di intervento condiviso da tutta la comunità internazionale.

Israele, morta anche la madre del piccolo Ali. Il Corriere della Sera, in una breve, e Avvenire raccontano le manifestazioni di rabbia e protesta nel villaggio palestinese di Duma, in Cisgiordania, esplose nel corso dei funerali di Reham Dewabsheh, l’ultima vittima del rogo appiccato lo scorso 31 luglio all’abitazione della famiglia Dewabshesh. Secondo le autorità di Gerusalemme, i responsabili sono legati agli ambienti estremisti israeliani e il presidente Rivlin aveva definito l’attentato come “terrorismo ebraico”. La donna è deceduta per le ustioni riportate, così come il marito Saed e il figlio di 18 mesi Ali.

Profughi, il nuovo piano Ue. È prevista per questa sera la firma alla Commissione Europea di una nuova proposta che modifica il patto europeo sull’asilo e stabilisce nuove quote di distribuzione dei migranti. Non sarà dunque più possibile respingere le quote di migranti assegnate dalla Commissione che – sintetizza tra gli altri il Messaggero facendo un punto della situazione europea – chiede a Germania e Francia di accogliere la metà dei 120 mila profughi da ricollocare. Grecia, Ungheria e Italia dovranno invece redistribuire sul territorio Ue rispettivamente 66 mila, 54 mila e 40 mila rifugiati. Toccherà poi ai ministri degli Interni dell’Unione Europea approvare il pacchetto di misure nel consiglio straordinario di lunedì.
 
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  davar
israele 
I conti con il terrorismo interno 
A ventiquattro ore dai funerali di Reham Dawabsheh, l'ultima vittima del rogo di Kfar Duma, (Cisgiordania), un ufficiale dell'esercito israeliano è tornato a parlare con la stampa israeliana dell'attentato dello scorso 31 luglio. Lo ha fatto per ribadire, nonostante le congetture di alcuni, che la mano responsabile dell'attentato che ha ucciso Reham, suo figlio di 18 mesi Ali e il marito Saad, è di estremisti ebrei. “Non ci sono dubbi – ha spiegato l'ufficiale di Tsahal – quello di Duma è stato un atto di terrorismo ebraico”. Nelle scorse settimane c'era chi, nonostante le prese di posizione del presidente di Israele Reuven Rivlin (nell'immagine in visita a Ahmed Dawabsheh, il bambino di cinque anni tra le vittime dell'attentato di Duma e attualmente ricoverato in un ospedale israeliano) e del primo ministro Benjamin Netanyahu, aveva messo in dubbio la matrice estremista dell'attentato, parlando di responsabili interni al mondo palestinese e presunti regolamenti di conti. “Tutte le congetture e le speculazioni che sono state diffuse in queste settimane su questo tema sono completamente prive di fondamento”, il monito del rappresentante dell'esercito che si è poi rivolto alla famiglia delle vittime, assicurando – come ribadito ieri dal Premier Netanyahu – l'impegno delle autorità per assicurare i colpevoli alla giustizia.
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qui venezia - il film di amos gitai
L’ultimo giorno di Yitzhak Rabin
e il grande dramma di Israele

Ai primi di novembre saranno vent’anni. Vent’anni senza Rabin, per chi in questo protagonista della storia di Israele ha visto un punto di riferimento, ma soprattutto vent’anni di un’Israele diverso da quello che avevano sognato i padri fondatori, un’Israele che ha conosciuto la macchia della sedizione e della violenza, della politica praticata attraverso l’eliminazione brutale dell’avversario, dell’omicidio finalizzato al rovesciamento delle istituzioni.

Era il 4 novembre del 1995 e vent’anni dopo, il prossimo 4 novembre, nella maggiore sala cinematografica di Tel Aviv, a pochi metri dalla piazza dove fu assassinato Yitzhak Rabin e in contemporanea nelle sale cinematografiche di mezzo mondo, il regista israeliano Amos Gitai ha deciso di proiettare il suo film dedicato a L’ultimo giorno di Rabin. Presentato in anteprima ai giornalisti che partecipano alla settantaduesima Mostra del cinema della Biennale di Venezia, il film lascia subito comprendere che si tratta di un’operazione destinata a lasciare il segno.
Lascerà il segno perché Gitai è certo un personaggio ingombrante e talvolta anche assai irritante ma resta, comunque lo si voglia considerare, un grandissimo regista, e di fronte a questa prova impartisce a tutti una lezione di tecnica e di impegno civile magistrale.
Lascerà il segno perché il regista nel realizzare una meticolosa ricostruzione dell’assassinio del primo ministro ad opera di uno squilibrato cresciuto negli ambienti dell’estremismo religioso israeliano ha potuto avere accesso a materiali e documenti fino ad ora inediti, o comunque poco conosciuti. E mettendo in campo la sua professionalità fuori dal comune ci conduce nella rivisitazione di un momento fondamentale della dolorosa storia recente di Israele.
È un’operazione capace di mettere bene in equilibrio documenti e documentari e lavoro di attori formidabili, chiamati in particolare a rivivere le sedute della Commissione d’inchiesta affidata al giudice della Corte suprema Meir Shamgar e incaricata di stabilire quali falle nei sistemi di sicurezza avessero consentito a un terrorista di infiltrarsi fino a raggiungere Rabin e a colpirlo con tre colpi di pistola. Gitai evita accuratamente di mettere al centro della scena la stessa figura del leader laburista israeliano, che appare sullo schermo solo nei fotogrammi del materiale documentario.
Quello che va cercando, e che riesce impietosamente a trovare, è una definizione, un ritratto della società israeliana di quei giorni, delle sue ferite e dei suoi problemi. Chi poteva legittimamente temere che il film si abbandonasse alle teorie cospirative, alla denuncia di un cancro interno al mondo politico israeliano, a una corruzione capace di compromettere le istituzioni e di cui in realtà non è mai emerso alcun elemento di prova resterà così deluso, perché Gitai evita abilmente il tranello del semplicismo.
Il film punta invece sul clima di odio e di propaganda che pervase ampi strati della società israeliana all’indomani degli accordi di Oslo. Parole, gesti, cerimonie religiose, comizi in cui grondavano i segni di morte e che videro protagonista anche l’attuale primo ministro Netanyahu, allora leader dell’opposizione, aprirono secondo Gitai la strada all’odio e armarono ideologicamente la mano dell’assassino. Non si tratta della rivelazione di fatti nuovi, perché si tratta di situazioni già più o meno note, ma di un’abile ricostruzione cinematografica che restituisce alo spettatore un’emozione molto forte. Oggi, dopo vent’anni di una politica dell’odio e dell’esclusione che ammorba purtroppo anche il mondo ebraico e dopo un utilizzo infame e cinico delle potenzialità dei social network per diffondere frammenti avvelenati di esclusione, di sospetto, di calunnia, di intolleranza e di odio possiamo guardare, in Israele e nell’intero mondo ebraico, ai vent’anni che che ci stanno alle spalle come ai vent’anni della frattura e del tradimento dagli ideali dei padri fondatori.
Israele, afferma Gitai, da allora non è guarita dalle sue ferite e non ha recuperato l’unica energia capace di garantirne l’effettiva sicurezza: la speranza. Molto abilmente, con un colpo di teatro che ha riportato lo spettacolo in primo piano, il regista è apparso al Lido in conferenza stampa chiedendo ai giornalisti di alzarsi per rispettare un minuto di silenzio in memoria della palestinese Reham Dewabsheh, morta solo poche ore prima, di suo marito e del figlio di 18 mesi arsi vivi in una mostruosa azione che la stessa Presidenza della Repubblica di Israele ha attribuito proprio a quel mondo di estremisti nazionalisti ultrareligiosi che costituiscono oggi una delle più gravi minacce all’integrità e alla sicurezza dello Stato ebraico.
La critica internazionale rende oggi omaggio al coraggio del registra israeliano e afferma in coro che Gitai non fa sconti a nessuno. Questo è vero solo in parte.
Certamente il regista firma un film solido, rigoroso e per molti aspetti inattaccabile. Ma di qualche sconto, o almeno di qualche omissione, la pellicola porta il segno. Quello che Gitai dimentica di analizzare, e soprattutto quello che al lettore non avvertito rischia di sfuggire, è la grandezza di Israele e l’immensa moralità del suo sistema politico. Non è possibile per capire quegli anni sottacere che gli accordi di Oslo sortirono, come ha ricordato molto efficacemente anche l’ideologo della destra nazionalista israeliana Israel Harel, un effetto oggettivamente disastroso. Gli sforzi di pace, quando non incontrano la disponibilità sincera di una controparte che fu capace di reagire agli sforzi diplomatici solo con una recrudescenza del terrorismo contro la popolazione civile, possono tramutarsi in Medio Oriente in una carneficina. E ovviamente, a meno di non voler cedere a interpretazioni di comodo che possono piacere solo a chi non si sente pronto ad assumersi le proprie responsabilità di fronte a un disastro diplomatico di vaste proporzioni come fu quello rappresentato da Oslo, non tutti gli oppositori della politica di Rabin possono essere collocati in quell’area oscura che armò ideologicamente la mano dei terroristi.
Il lavoro della Commissione Shamgar, inoltre, appare a chi osserva una dimostrazione di enorme attenzione e dignità delle istituzioni.
E i finanziamenti pubblici israeliani che hanno consentito la realizzazione di questo film testimoniano di un Paese alle prese con gravi difficoltà che non è solo l’unica democrazia del Medio Oriente, ma che ha a disposizione un tale patrimonio di libertà e di democrazia da potersi permettere, nel perdurare di un governo di segno opposto a quello che Rabin intendeva rappresentare, di fare onore e di dare voce a un regista certo grande, ma terribilmente scomodo, e a una rappresentazione cruda e straziante, ma tutto sommato ancorata alla sincera ricerca della verità e al dolore di Israele.

gv
qui mantova
ExLibris, pagine d'arte
Torna protagonista con la mostra “Gerusalemme di Lettere” allestita presso il Museo di Palazzo Bondoni Pastorio di Castiglione delle Stiviere (Mantova), il progetto ExLibris, concepito e sviluppato dall’architetto David Palterer per raccogliere fondi a finanziamento dell’IIFCA, la Fondazione Italia Israele per la Cultura e le Arti. Nato come stimolo per riflettere sul potere dei libri, mediatori tra culture diverse, ExLibris ha coinvolto numerosi artisti italiani e internazionali, da Mimmo Paladino a Giosetta Fioroni, che hanno rielaborato le copie di opere di altrettanti scrittori israeliani lavorando sulla copertina o tra le pagine e realizzando, in alcuni casi, vere e proprie sculture. 
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qui trieste
Il Canto rinnovato
Una lunghissima fila di persone in attesa di entrare per assistere alla prima esecuzione assoluta di un’opera di musica classica contemporanea, le stesse che per tutta la durata del concerto hanno poi ascoltato con attenzione vera, trasportate dalle note di una composizione complessa nella sua costruzione e allo stesso tempo capace di arrivare al pubblico con semplicità, sostenuti in questo dagli interpreti che hanno saputo condividere, attraverso la loro esecuzione, tutto quello che avevano tratto dalla partitura andando “al di là del testo”. “Il Canto”, la rapsodia lirico-sinfonica per soli, coro e orchestra recentissima composizione di Marco Podda, rappresentata a Trieste presso il teatro Verdi in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica e su iniziativa del coro Kol Ha-Tikvà, coinvolge e sollecita con dolcezza l’attenzione, si offre all’ascolto vero, propone la partecipazione di tutte le persone coinvolte che si trovano così in comunicazione attraverso il suono.

(foto di Tania Troyan)

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qui roma - festival della letteratura
Fantascienza, una storia ebraica
C’era una volta il Golem, una creatura modellata dall’uomo, che si aggirava per la città ed eseguiva gli ordini del suo padrone fino a quando non decise di ribellarsi. Il Golem, ma anche il mostro raccontato da Mary Shelley e poi ancora Pinocchio e i robot, protagonisti dei romanzi firmati dal prolifico scrittore russo di origine ebraica Isaac Asimov, sono stati i protagonisti della terza giornata del Festival internazionale di letteratura e cultura ebraica che ha visto dialogare sul tema Marco Panella, tra gli organizzatori della kermesse, e Simonetta Della Seta, ex addetta culturale dell’Ambasciata italiana in Israele.
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qui roma - festival della letteratura
Rewalk, un sogno divenuto realtà
Si parla tanto di sogni quando si descrive Rewalk, l’esoscheletro che permette a chi ha subito danni alla spina dorsale di camminare, ma sono sogni che grazie all’ingegnere israeliano Ami Goffer sono già realtà. Una realtà che al Festival Internazionale di letteratura e cultura ebraica di Roma ha conquistato il pubblico di una serata di presentazione del macchinario grazie alle parole esperte di Marco Molinari, neurologo primario e responsabile dei Progetti esoscheletri della Fondazione Santa Lucia di Roma, dove si accompagnano i pazienti nell’apprendimento dell’uso di Rewalk e allo stesso tempo si ricerca per migliorarlo, e Ruggero Raccah, referente scientifico di Argo- ReWalk Italia, moderati dal giornalista Luigi Contu. Seduto accanto a loro però non poteva mancare Carmine, un giovane che con l’esoscheletro ha percorso non solo qualche passo sul palco, ma addirittura un chilometro della maratona di Roma.
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Rosh hashanah 5776 - qui bologna
Un anno per la teshuvah
Nei tre sabati che precedono Rosh Hashanah, vengono solitamente lette le tre parashot: Ki tezzè – Ki tavò – Nizzavim (a volte unita con Vajelekh). La traduzione di queste tre espressioni, con cui iniziano le tre parashot sono: “Quando uscirai” – “Quando verrai” – “Sarete in piedi, ritti dinnanzi al Signore”. Un famoso Maestro della tradizione italiana, sostiene che queste sono le azioni che solitamente, nel corso della sua vita, un uomo è portato a fare. “Quando uscirai”, indica un certo momento della nostra vita, quando vogliamo dimostrare la nostra maturità e indipendenza e per questo lasciamo i nostri genitori, abbandonando con loro anche gli insegnamenti e le tradizioni che essi, con tanto amore, hanno cercato di trasmetterci. Subito dopo però, ci accorgiamo che da soli, senza una base e un sostegno, non riusciamo ad andare avanti.

Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna
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rosh hashanah 5776 - qui verona
Un anno per partecipare
Il mio più sincero augurio è che il nuovo anno porti a voi, alle vostre famiglie e a tutte le persone alle quali volete bene salute, dolcezza e ricchezza spirituale e materiale. Mi piacerebbe veder aumentare nel corso del 5776 la partecipazione alla vita delle nostre Comunità; partecipazione indispensabile in realtà di piccole dimensioni quali la nostra che con fatica cercano di diffondere le idee e il pensiero ebraico, e di combattere l’antisemitismo che oggi è sempre più spesso mascherato da antisionismo e da odiose richieste di boicottaggio nei confronti di Israele, dei suoi prodotti e dei suoi artisti. Mentre sento crescere le critiche nei confronti di Israele e del popolo ebraico, e mi sembra che aumentino per tutti noi solo i pericoli e le paure, il mio augurio è allora che in tutti coloro che hanno responsabilità politiche, prevalgano ragionevolezza, intelligenza e lungimiranza affinché Israele possa trovare finalmente la pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti.

Bruno Carmi, presidente della Comunità ebraica di Verona

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rosh hashanaah 5776 - qui casale monferrato
Un anno per il futuro
Gli auguri dolci e sinceri di Shanà Tovà dal presidente di lunga data di una piccola Comunità, con un cuore grande. Una Comunità proiettata verso il futuro grazie allo straordinario anno di Expo con tutte le sue attività, all’arrivo di giovani famiglie israeliane e alla nascita di nuove generazioni, linfa vitale del Popolo ebraico.

Salvatore Giorgio Ottolenghi,
presidente Comunità ebraica di Casale Monferrato
rosh hashanah 5776 - qui modena e reggio emilia
Un anno per la vita
Un cordiale augurio di Shanà Tovà a tutti gli ebrei italiani dalla piccola ma vitale Comunità ebraica di Modena e Reggio Emilia.

Beniamino Goldstein
rabbino capo di Modena e Reggio Emilia
diplomazia
"Una nomina poco gradita"

Il quotidiano israeliano Haaretz pubblica nell’edizione odierna, con evidenza e senza specificarne la fonte, alcune indiscrezioni secondo le quali il rabbino capo della Capitale e la presidente della Comunità ebraica locale si sarebbero rivolti al presidente israeliano Rivlin, nel corso della sua recente visita a Roma, rappresentando il loro desiderio di non vedere confermata la nomina di Fiamma Nirenstein ad ambasciatore di Israele in Italia.

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pilpul
La Storia è cambiata
Quando cadde l’Impero romano, nell’anno 476 dell’era volgare, nessuno se ne rese conto. Allo stesso modo, né Cristoforo Colombo né i contemporanei seppero di aver scoperto l’America e di aver così cambiato il corso della Storia. E pochi anni prima, gli abitanti di Bisanzio non pensarono che l’Impero d’Oriente fosse effettivamente crollato. In altre parole, furono gli storici a individuare queste “fratture” (Walter Benjamin) nella sequenza degli avvenimenti, ad annodare il filo della storia in date divenute convenzionali. È stato detto che nella contemporaneità, invece, la percezione della rottura è netta, dovuta in primo luogo all’evidenza delle immagini. L’11 settembre 2001 ognuno comprese che qualcosa stava cambiando, che il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Non ne ho memoria precisa, ma presumo che altrettanto accadde con la caduta del muro di Berlino, che non a caso ispirò la “fine della storia”. Vale lo stesso per la foto del piccolo Aylan sollevato esanime dalla spiaggia di Bodrum?

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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