
Elia Richetti,
rabbino
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Dal
testo della Torah e dal commento di Rashì sulla parashà di Kòrach non è
chiaro se la rivolta sia stata determinata da problemi ideologici
(tutto il popolo ebraico è santo e non ha bisogno di leader) o da
interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe ribellato dopo che
era stato nominato a capo della famiglia di Kehat, sua famiglia
d'origine, un'altra persona). l popolo ebraico è santo e non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona).
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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Dal
testo della Torah e dal commento di Rashì sulla parashà di Kòrach non è
chiaro se la rivolta sia stata determinata da problemi ideologici
(tutto il popolo ebraico è santo e non ha bisogno di leader) o da
interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe ribellato dopo che
era stato nominato a capo della famiglia di Kehat, sua famiglia
d'origine, un'altra persona). l popolo ebraico è santo e non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona).
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Il popolo ebraico Ë santo e non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo RashÏ KÚrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona). Il popolo ebraico Ë santo e
non ha bisogno di leader) o da interessi personali (secondo RashÏ
KÚrach si sarebbe ribellato dopo che era stato nominato a capo della
famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona).
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Titolo qui |
Il popolo ebraico è santo e non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona).
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Titolo qui |
Il popolo ebraico è santo e non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona). Il popolo ebraico è santo e
non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona).
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Titolo qui |
Il popolo ebraico è santo e non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona). Il popolo ebraico è santo e
non ha bisogno
di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe
ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat,
sua famiglia d'origine, un'altra persona).
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Setirot
- Al cinema |
Esce
oggi nelle sale cinematografiche “Pecore in erba”, mockumentary di
Alberto Caviglia, parodia, provocazione, satira, finzione, denuncia,
grido/risata contro l’antisemitismo e non solo. Attenzione, non è
semplicemente una raccolta – ricca di infiniti Witz, scenette, battute
e calembour assolutamente geniali – dei più classici stereotipi
antiebraici di “destra” e di “sinistra”, di ieri e di oggi. No. Si
tratta di altro, di più. Sarà perché la tecnica di regia è a noi
praticamente sconosciuta – basata com’è in buona parte su fotografie
che però tutto sono eccetto che statiche –, sarà perché, tra i molti
bravi attori, Davide Giordano, Anna Ferruzzo, Omero Antonutti, Bianca
Nappi, Mimosa Campironi, Alberto Di Stasio e il piccolo Tommaso Mercuri
si capisce che “sentono” ciò che recitano… fatto sta che (lo dico da
spettatore, non certo da critico) ho trovato “Pecore in erba” una buona
cosa che si fa perdonare anche un po’ di innegabile lunghezza.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - Compromessi |
Quando
in occasione della visita di Rivlin il suo chief of staff, una donna
ortodossa, conformemente alle regole ebraiche, ha evitato di dare la
mano a papa Francesco e non si è inchinata di fronte a lui, si è da più
parti elogiato il gesto del papa di inchinarsi verso la signora come un
atto di grande cortesia e sensibilità. Certamente è così anche se non
stupisce da parte di questo pontefice. C’è però un altro aspetto
sottovalutato e che rappresenta simbolicamente l’incontro fra vari
protocolli, quello delle regole ebraiche dell’halachah e quello
cattolico di rispetto al papa. Nel momento in cui come ebrei ci
confrontiamo con l’altro, manifestando con orgoglio e dignità i nostri
valori, allora è molto più facile ottenere il rispetto dai nostri
interlocutori. Al contrario quando siamo più disponibili ai compromessi
su ciò che per noi è importante diventa più complicato trovare
comprensione su ciò che per noi ha valore.
Daniel Funaro
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In ascolto - Note sotto la sukkah |
Riempite
la vostra sukkah di ospiti e sotto le frasche cantate con gioia. Ogni
capanna risuona di melodie dai quattro angoli della terra, melodie
anche molto diverse tra loro, tramandate di generazione in generazione
o composte da autori in epoche e contesti musicali differenti.
Tradizione sefardita, musica chassidica, piyyutim, folk israeliano e
rivisitazioni metal, mizrachi e hip hop, tutti hanno dato il loro
contributo alla celebrazione di succot. Cominciamo da Rabbi Raphael
Antebi Tabbush di Aleppo, Siria (1830-1918) grande studioso della
musica delle comunità ebraiche siriane e autore di oltre 400 pizmonim,
tra cui alcuni ovviamente per succot. Era soprannominato “il ladro”
perché era solito frequentare le feste di matrimonio e altri eventi
importanti del mondo arabo dove prendeva a prestito le melodie, vi
componeva il testo in ebraico e trasformava la canzone popolare in
canti di festa. Il suo primo libro, Shirah Hadashah, uscì ad Aleppo nel
1888. A quanto si dice il suo talento poetico era talmente grande che
anche quando chiacchierava con qualcuno riusciva a creare versi
sull’argomento di discussione.
Maria Teresa Milano
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Madri d'Israele - Yakira
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Pensate
di avere una passione, uno straordinario talento, una carriera
costellata di successi e traguardi raggiunti. Ora pensate di avere il
privilegio, la sensibilità e l’umanità di utilizzare tutto ciò per fare
del bene al prossimo. Yakira Levi, nata nel 1965 a Rable, una cittadina
situata a metà strada tra in Gerusalemme e Tel Aviv. Sin da piccola
scopre un profondo amore per la musica, comincia a studiarla e
praticarla nell’orchestrina locale per poi, all’età di nove anni,
scegliere il proprio strumento, quello che ancora oggi accompagna le
sue giornate. “Il suono del sax mi ha sempre toccato l’anima, in una
maniera vera e sincera, è stata una sorta di amore a prima vista, o
meglio, a primo ascolto. Mi cimentai da subito con il jazz e con il
classico, scelta che negli anni si rivelò essere molto fortunata.
All’età di sedici anni già davo lezioni private di sassofono, avevo un
mio metodo, chiaro e definito, i miei primi allievi sembravano
apprezzarlo molto”.
David Zebuloni
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Precarietà |
“Non
è Egli il tuo padre, il quale ti fece suo?” (Devarim 32:6). Così
abbiamo letto lo scorso Shabbat in Hazinu, con la cantica finale di
Moshe Rabbenu ad Am Israel a rammentare il passato, ammonire ed
esortare il popolo a tramandare di generazione in generazione gli
eventi accaduti e il dovere morale di rispettare il Patto con D-o.
Kadosh Baruch Hu ci ha fatti nuovamente suoi liberandoci dalla
schiavitù di Egitto, ed ora in Succah ricordiamo la possibilità di
redenzione e di riscatto, in cui dobbiamo credere senza cedere alle
lusinghe di voler tornare indietro verso la schiavitù. Questo mi fa
ricordare l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjöll nell’aprile 2010,
la quale mi ha colto impreparata mentre partecipavo all’ottava edizione
della European Social Science History conference a Gent, in Belgio,
insieme al mio secondo figlio che di lì a pochi giorni avrebbe compiuto
un anno. Che cosa c’entra tutto questo con il viaggio dall’Egitto e i
quarant’anni di vita precaria nel deserto? Forse assolutamente nulla, o
forse sì.
Sara Valentina Di Palma
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Chi va avanti, chi va indietro |
Senza
coraggio, spaventato, sicuramente poco lungimirante e decisamente
pericoloso. Questo è stato il discorso di Abu Mazen ieri all’Onu.
Nessun passo verso la pace, anzi. In quelle parole si nasconde, ma
neanche troppo, un netto arretramento e ritorno al passato. Diciamolo
senza troppi giri di parole: Abu Mazen non è mai stato all’altezza
della situazione, non è mai stato un vero e sincero interlocutore.
Schiacciato dalla pressione di Hamas, da subito non è stato capace di
essere il leader di un popolo che avrebbe un disperato bisogno di una
guida leale e che si batta per una risoluzione di un conflitto atroce;
che percorra una strada fatta sicuramente di sacrifici e di
compromessi, ma che vada verso una pace duratura.
Daniele Regard
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