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15 ottobre 2015 - 2 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Quando D.o decide di non provocare più la fine di tutta l’umanità, la motivazione addotta sembra la più pessimistica possibile: “poiché la conformazione (yétzer) del cuore dell’uomo è malvagia (ra‘) dalla sua giovinezza”. È possibile che D.o giudichi così negativamente ciò che Egli stesso ha fatto? Ha quindi sbagliato?
Nella Ghemarà (Sukkà 52b) è detto che se la tendenza al male, lo “yétzer ha-rà‘”, si imbatte in noi, dobbiamo trascinarlo al Beth Ha-Midràsh, dove si studia Torah: se è di pietra si scioglie, se è di ferro si spezza.
Questo brano contiene un’idea abbastanza chiara, che lo studio della Torah possa essere l’antidoto allo “yétzer ha-rà‘”; meno chiaro è il seguito, perché ci aspetteremmo che il ferro si sciogliesse (come avviene di fronte ad un’adeguata fonte di calore) e la pietra si spezzasse, e non viceversa.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Nella memorabile recensione di un libro apparso alcuni anni fa, una celebre scrittrice di espressione italiana scriveva press’a poco questo: “Non ho letto il libro, ma ne deploro e condanno i contenuti”. Ribaltando contesto e logica, il Presidente Obama potrebbe dire: “Non ho fatto nulla per avere il Premio Nobel per la pace, ma mi vanto del premio e del nuovo ordine strategico-militare che ho contribuito a creare in Medio Oriente”. Raramente un ideale politico mal concepito e peggio gestito ha facilitato tanti conflitti e tante vittime. Il capitolo tunisino è stato ora premiato con un altro Nobel nonostante il fastidioso incidente di percorso del Museo del Bardo. E in questi ultimi giorni vediamo la definitiva concretizzazione di un concetto di società civile islamica, da Ankara a Baghdad, da Teheran a Sana’a, da Damasco a Gerusalemme. C’erano un paio di libri istruttivi sui conflitti di civiltà e sul Medio Oriente ma, purtroppo, Obama non li ha mai letti, li ha solo recensiti.
 
 
 
Medio-Oriente, Israele rafforza la sicurezza
Dopo una nuova giornata di violenze segnata dall’attacco (fortunatamente sventato alla porta di Damasco) e un’aggressione alla stazione centrale degli autobus, il governo israeliano ha deciso di prendere nuove misure di sicurezza e ha circondato e chiuso le aree di Gerusalemme dalle quali proveniva l’80% dei terroristi. La situazione è così descritta dal Corriere della sera: “I blocchi di cemento e i furgoni della polizia di traverso lungo la strada per controllare l’accesso e l’uscita dai quartieri arabi di Gerusalemme. L’esercito dispiegato nel paese e le guardie che ritornano sugli autobus (c’erano fino al 2008). La decisione di togliere la residenza agli attentatori e demolirne la casa di famiglia”. Il presidente palestinese Abu Mazen, dopo aver dichiarato “Non cederemo alla logica della tirannia”, ha mostrato la foto di un ragazzino insanguinato come simbolo della violenza d’Israele. Senza però spiegare, sottolinea il Corriere, come quello sia il terrorista di 13 anni che ha pugnalato un suo coetaneo in bicicletta riducendolo in fin di vita. Intanto, per placare la tensione, il segretario di Stato Usa John Kerry starebbe cercando di organizzare un vertice in Giordania per far incontrare il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Abu Mazen. A commentare la situazione su Repubblica, lo scrittore sopravvissuto alla Shoah Elie Wiesel: “Certo, chiudere transito e accessi tra Est e Ovest di Gerusalemme è una misura radicale, drammatica. Però se Israele la ritiene necessaria per la sicurezza ha fin troppe buone ragioni, e sono convinto che sarà temporanea”. “Israele vuole la pace, credetemi “, conclude infine Wiesel. Esprime invece preoccupazione Ban Ki-moon, segretario Onu: “Quello che sta accadendo là è gravissimo. Si sta creando una situazione insostenibile: un’eruzione di violenza che è causa di grande allarme. Israeliani e palestinesi devono tornare a discutere senza ulteriori ritardi” (Corriere).
 
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  davar
le impressioni degli italkim
Israele, la vita non si ferma
“Non mi interessa molto sapere se queste violenze somigliano o sono diverse da quelle del passato, quello che vorrei capire è dove si approdano, dove stiamo andando”. C'è uno scetticismo realista nelle parole di Sergio Minerbi, già ambasciatore di Israele a Bruxelles e autorevole voce degli Italkim (la comunità italiana in Israele), nel descrivere l'attuale situazione israeliana, che ha visto esplodere un'escalation di violenza nelle ultime settimane.
“Quanto sta accadendo non mi impressiona molto ma io dalla mia ho l'età. L'esperienza segna e insegna” afferma Minerbi a Pagine Ebraiche, rispondendo alla domanda sugli attentati terroristici palestinesi degli scorsi giorni. L'ambasciatore la sua Aliyah l'ha fatta ancor prima della nascita dello Stato ebraico, nel 1947. Diverse invece le impressioni di un più giovane oleh come rav Pierpaolo Pinhas Punturello che osserva, in particolare a Gerusalemme, un cambiamento significativo nella vita quotidiana. “Non c'è panico ma uno stato di allerta e attenzione molto più elevato". D'accordo anche il ventenne David Zebuloni, in procinto di servire nell'esercito israeliano, e rimasto impressionato dalle ultime vicende: “È la prima volta che vivo questo tipo di violenza. Credo che la tensione sia percepibile, soprattuto per strada. La cosa che spaventa è l’imprevedibilità di queste aggressioni che hanno toccato diverse parti del paese".

(Nell'immagine Sergio Minerbi, rav Pierpaolo Pinhas Punturello e David Zebuloni)
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la mobilitazione degli ebrei italiani
"Non lasciamo Israele da solo"
Lo Stato di Israele, vittima in questi giorni di una escalation di violenza da parte palestinese, ha bisogno dell'amore e del sostegno di chi crede nella verità, nella pace, nella democrazia. È inoltre fondamentale combattere la sottovalutazione e l'assuefazione di fronte alle notizie quotidiane di aggressioni e accoltellamenti contro i civili, di ferite e di vittime.
Per questo l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Comunità ebraica di Roma invitato ad aderire e partecipare al presidio organizzato per domenica mattina, a partire dalle 11, davanti alla sede dell'ambasciata israeliana nella Capitale (via Michele Mercati 14).
Diversi gli interventi previsti, con l'obiettivo di sensibilizzare un'opinione pubblica troppo spesso distratta e tracciare un netto solco tra chi ogni giorno si batte per la vita e chi invece predica e mette in pratica un'ideologia di odio e di morte.
"Vogliamo e dobbiamo far sentire allo Stato di Israele e alla sua popolazione tutta la nostra vicinanza, la nostra solidarietà, il nostro affetto e il nostro sostegno" scrivono in un messaggio congiunto rivolto a tutti i leader dell'Italia ebraica il presidente dell'Unione Renzo Gattegna e la presidente della Comunità romana Ruth Dureghello.

terrorismo - l'appello del rav sacks
"Leader religiosi, basta silenzio"
“I leader religiosi possono essere mediatori di pace, se si permette loro di farlo”. È il messaggio lanciato da rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth ed esponente di spicco dell’ebraismo europeo, in una intervista rilasciata all’Huffington Post in cui si mettono a fuoco i grandi temi di queste giornate, a partire dalla recente ondata di terrorismo palestinese. È un momento “pericoloso, incerto e imprevedibile” dice rav Sacks, tracciando l’orizzonte di un possibile intervento dei leader spirituali per arginare le violenze. Temi di cui si parla anche nel suo ultimo libro, “Not in God’s Name”, focalizzato sulla lotta all’odio e al fanatismo religioso.
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LEGGE DEL RITORNO - LE PRIME CITTADINANZE
Portogallo, ritorno a casa
Si chiama Alfonso Paredes Henrique, vive a Panama e un suo avo era rabbino. Da qualche giorno ha con sé un nuovo passaporto, che esibisce con orgoglio: quello portoghese, restituitogli dal governo di Lisbona in ragione della legge approvata a marzo che accorda questa possibilità ai discendenti degli ebrei sefarditi cacciati dal paese durante l'Inquisizione.
Henrique è uno dei primi tre beneficiari della norma e il suo nominativo è stato reso noto dal ministro della Giustizia portoghese, che sta passando al vaglio le oltre duecento richieste pervenute. Anche la Spagna, che ha seguito il Portogallo nell'approvazione della legge nel giugno scorso, ha iniziato a ricevere le prime domande, che ammontano oggi a 4300 unità. Due terzi - viene spiegato - dalla Turchia. Significativo inoltre il flusso da Venezuela, Marocco e Israele.

(Nell’immagine: la sinagoga di Belmonte, cittadina portoghese che ospita una ex comunità criptoebraica fin dal 1297, riportata alla luce da Samuel Schwartz nel XX secolo)
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qui roma
Armin Wegner, l'eroe normale
Chi era Armin Wegner?
Un intellettuale eclettico, un convinto idealista, un uomo Giusto. E tale è stato riconosciuto sia dagli ebrei che dagli armeni: un fatto pressoché unico nella memoria del Novecento. L’affascinante personalità di Wegner, tra i primi a prodigarsi per denunciare la duplice barbarie genocida, è riecheggiata con forza al Tempio di Adriano, sede della presentazione del romanzo dedicatogli da Gabriele Nissim, presidente del Giardino dei Giusti di Milano e autore di “La lettera a Hitler” (ed. Mondadori). Una poderosa opera di ricostruzione storica e umana dello scrittore tedesco che – come recita il sottotitolo – fu “combattente solitario” contro gli orrori del ventesimo secolo.
È così un “sentito ringraziamento” quello che il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna rivolge allo scrittore per aver riportato alla luce l’intera vicenda facendo conoscere a un ampio pubblico questa singolare figura di antieroe “che compie atti di eroismo”. Moderato dalla giornalista Viviana Kasam, e proposto in collaborazione da Gariwo e BrainCircle Italia, l’incontro è stato caratterizzato da molti interventi. Oltre al presidente dell’Unione, che ha aperto con un riferimento ai pericoli del pensiero unico e ai meccanismi di repressione del dissenso, minaccia ancora viva in molti paesi, hanno preso la parola i giornalisti Gian Antonio Stella e Wlodek Goldkorn; l’ambasciatore armeno in Italia Sargis Ghazaryan: l’addetto culturale dell’ambasciata tedesca Stefan Schneider; Armin Wegner, il figlio di Armin. Stralci dell’opera di Nissim (“un libro che cambia le persone”, ha detto Kasam) sono stati letti da Manuela Kustermann.
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qui roma - il seminario aned
Memoria, la sfida che unisce
“Sentiamo parlare sempre più spesso della crisi dell’Europa. Una crisi che può migliorare solo attraverso iniziative che incentivino la collaborazione tra Paesi. In questo senso, il seminario che si apre oggi ha una forte valenza simbolica”. Così il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna nell’aprire la giornata di formazione per insegnanti “Ripensare la storia dei Lager nazisti. Le politiche di persecuzione, il lavoro forzato, lo sterminio degli ebrei” organizzato da Laura Fontana, responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah di Parigi e Grazia Di Veroli dell’Associazione nazionale ex deportati dei campi nazisti con il patrocinio di UCEI, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regione Lazio, Comune di Roma. Ad intervenire anche la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, il presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma Mario Venezia, Anna Piperno, in rappresentanza del Miur, il presidente dell'Aned Maurizio Ascoli e Carla Di Veroli, responsabile delle politiche della Memoria per il Comune di Roma.
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qui milano - la tenda di abramo
Cibo, nutrimento dell'anima
“Il peggio arrivò verso la fine. Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me’. ‘Ti salvò la vita’. ‘Non lo mangiai […] Era maiale. Non ero disposta a mangiare maiale’. ‘Perché? […] Perché non era casher?’. ‘Certo’. ‘Ma neppure per salvarti la vita?’. ‘Se niente importa, non c’è niente da salvare’”. È il dialogo raccontato da Jonathan Safran Foer in "Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?" (ed. Guanda). Uno scambio di battute tra lo scrittore e sua nonna, sopravvissuta alla Shoah, che sottolinea come il sistema di valori e regole in cui siamo cresciuti, anche alimentari, formino la nostra identità e influenzino le nostre decisioni. Il vegetarianesimo è una scelta di vita spiegava Foer nel suo libro, come ha ricordato l’attrice Lella Costa, nell’appuntamento dedicato proprio a questo tema e organizzato dalla Comunità ebraica di Milano all’interno della manifestazione la Tenda di Abramo. E sul significato di questa scelta hanno discusso, attraverso diverse prospettive, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni assieme allo studioso Mino Chamla, a monsignor Luigi Nason, e a Claudia Sorlini, docente di Microbiologia agraria all’università di Milano.
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torino - fallisce il tentativo di boicottaggio
Gestione delle risorse acquifere,
Italia e Israele per l'ambiente

Presentati i risultati della collaborazione tra Italia e Israele sulla gestione e la distribuzione delle risorse acquifere: un fronte su cui molte sono le possibilità di cooperazione. L’iniziativa, rivolta agli studenti d’ingegneria, è stata realizzata in partnership dal Technion di Haifa, dal Politecnico di Torino e dal dipartimento di Scienze agricole, forestali e alimentari dell’ateneo locale.
Ad aprire i lavori la presentazione dei vari partner e progetti finanziati dall’Unione Europea e associazioni quali Netafim, Mortrem e l’italiana Acqua Gas.
Il primo intervento, di Avi Ostfeld, ha avuto come tema la presentazione di simulazioni computerizzate capaci di prevedere la contaminazione di risorse idriche e algoritmi stocastici per la previsione delle precipitazioni e movimenti delle falde. L’intervento è stato brevemente interrotto a causa dell’intrusione di esponenti propal, che hanno gridato slogan e distribuito volantini fino al momento del loro allontanamento dell’aula, ma il professor Ostfeld, senza scomporsi, ha continuato la sua presentazione facendo leva sull’interesse reale degli studenti e l’importanza del tema trattato: la riduzione dello spreco idrico e della contaminazione delle acque.


Emanuele Levi

(Nell'immagine l'incontro di oggi con i due relatori israeliani David Shem Tov e Rafi Nave)
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j-ciak
Woman in gold, una donna d'oro
Lei è Adele Bloch-Bauer, regina dei salotti viennesi. Lui è Gustav Klimt che nel 1907 la ritrae, bellissima, in un’aura d’oro e ceselli. Sullo sfondo, la tragedia della Shoah. Adele, che muore nel 1925 di meningite, ne viene risparmiata.

Il magnifico ritratto segue invece la sorte di tanti altri beni artistici appartenuti agli ebrei. È confiscato dai nazisti e finisce esposto al Belvedere di Vienna, diventando uno dei simboli nazionali.
La storia però non si conclude qui. La Monna Lisa d’Austria torna ai suoi legittimi proprietari, con una svolta così avventurosa da essere diventata un film, “Woman in Gold”, con una sempre notevole Helen Mirren e Ryan Reynolds, da oggi nelle sale italiane.
Helen Mirren è sempre una garanzia e la storia del quadro, restituito alla nipote Maria Altmann solo dopo una lunga battaglia legale, vale la pena di essere vista. Il film, diretto da Simon Curtis, non è però di quelli che lasciano il segno. In molti passaggi sembra di guardare uno dei tanti legal thriller che inzeppano la tivù e Ryan Reynolds è spesso così poco incisivo da risultare improbabile, se non noioso, nei panni di avvocato grintoso. Un peccato, perché la vicenda valeva un gran film o quanto meno un film con qualche grammo di mordente in più.

Daniela Gross
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  pilpul
Setirot - Life on Mars
In questi giorni cupi, angoscianti, segnati da un senso d’impotenza che provoca rabbia, il banale invito alla presentazione di un libro può evocare una bella storia che voglio condividere perché a me dà speranza, e mi auguro possa darla a qualcun altro. Anni fa venne al Corriere della Sera una ragazza che aveva chiesto di incontrarmi. Timida ma con le idee piuttosto chiare, racconta che sta facendo una tesi di Antropologia sulla rappresentazione della figura del soldato nel cinema israeliano. Cerco di darle qualche consiglio, un paio di contatti, la promessa di rivederci, il suggerimento di andare in Eretz perché troverà un paese meraviglioso e immensamente affascinante nelle sue mille contraddizioni. Congedandosi, accenna a non ricordo quale legame parentale però non halakhico con l’ebraismo. Ci scriviamo, in Israele è andata e poi tornata e si è laureata. Dopo non molto mi sorprende: «Ciao, sono di nuovo in Israele e mi fermo qui a Tel Aviv per un dottorato».

Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Kanye West
A volte succede. Media e social network preparano con attenzione l’evento, creano grandi aspettative, l’attesa sembra non finire mai e quando è il momento di godersi lo spettacolo il botto non arriva e ci si ritrova a dire: “Beh? Tutto qui?”. A volte succede, anche ai grandi, dunque non se ne abbia a male Kanye West, che da una settimana viene bistrattato dai giornali israeliani, dopo due mesi di promozione a tappeto per un concerto che a detta di tutti avrebbe dovuto essere storico. Kanye West, produttore discografico e cantante, che ha venduto 30 milioni di brani digitali e ha vinto 11 Grammy Awards, è certamente un grande artista ma ha non pochi problemi di egocentrismo e manie di grandezza, è un uomo che definisce se stesso “un genio”, nonché “la voce di una generazione”.

Maria Teresa Milano
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Madri d'Israele - Adva
Trovare il coraggio di continuare, di rialzarsi. Trovare la forza di sorridere, sempre. Trovare la luce nel buio, scintille di gioia nella tristezza che spesso incombe. Non è forse uno straordinario dono questo? Il dono di Adva Biton, Madre d’Israele, madre della piccola Adel. “Aveva solo quattro anni quando fu vittima di quell’atroce attentato terroristico la mia piccola Adel, quando si ritrovò a combattere tra la vita e la morte, in una sorta di limbo infinito”, afferma Adva con voce ferma, caratteristica dell’estrema dignità che l’ha sempre caratterizzata. Il limbo durò due anni. Due anni di cure, di attenzioni e continue sofferenze, di preoccupazioni, di apprensioni. Due anni di pura speranza, due anni di fede. “Già, la fede è sempre stata una costante della mia vita. Questa tragica esperienza non mi ha allontanato dal Signore, ma non mi ha nemmeno avvicinato a Lui. Le mie convinzioni sono rimaste le stesse di sempre: profonde e indistruttibili, un mezzo prezioso, forse indispensabile, per affrontare ciò che ci era capitato”.

David Zebuloni
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La ragazza terribile
A tredici anni un ragazzo diventa adulto, responsabile dell’osservanza delle mitzvot: a questa età Avraham decise di non seguire più l’idolatria della casa paterna (Pirke d’Rabbi. Eliezer 26), suo figlio Itzhak fu ‘svezzato’ (Bereshit 21:8), suo nipote Yakov si separò dal gemello Esav per andare il primo alla Casa di studio ed il secondo alla Casa degli idoli (Genesis Rabba 63:10); proprio a tredici anni Bezalel ebbe da D-o l’incarico di costruire il Mishkan (Sanhedrin 69b). Da questi illustri esempi, diverse fonti talmudiche fissano a tredici anni l’eta della maturità fisica e spirituale.

Sara Valentina Di Palma, ricercatrice
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