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19 ottobre 2015 - 6 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Paolo Sciunnach,
insegnante
“Alcuni commentatori suggeriscono che se Noach fosse vissuto nella generazione di Avraham Avinu non sarebbe stato considerato uno Tzaddik. Per quale motivo?
Il profeta Yeshayahu (54, 9) si riferisce al Diluvio come "le acque di Noach", il che implica che Noach ha parte della responsabilità per il Diluvio. I commentatori suggeriscono che Noach ha fallito il suo compito nel non riuscire a insegnare alla sua generazione a camminare nelle vie di HaShem. Se avesse insegnato loro a conoscere Hashem, sicuramente si sarebbero salvati dalla punizione del Diluvio.
 
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Anna
Foa,
storica
È vero che c'è un insolito disinteresse dei media sulla situazione in Israele. Non vedo la televisione, ma i giornali ne parlano pochissimo e tocca sfogliarli accuratamente per sapere cosa è successo il giorno prima. Questo è inusuale. o che molti sono pronti a puntare il dito contro l'antisemitismo, sono gli stessi che lo facevano anche quando, in passato, la situazione era grave e le prime pagine dei giornali ne riferivano ampiamente , sia pur in maniera più o meno equanime. Eppure, mi sembra che dietro questo disinteresse ci sia un fenomeno diverso dall'antisemitismo (che pur ha la sua parte, naturalmente) e forse più inquietante: il fatto che il conflitto israelo-palestinese ha perso rilievo sullo scacchiere internazionale.
 
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Gerusalemme,
la barriera anti-attentati
La polizia israeliana ha posizionato nelle scorse una barriera di cemento tra il quartiere arabo di Jabal Mukaber e quello ebraico di Armon Hanatziv, a Gerusalemme. Un provvedimento temporaneo, spiegano le autorità, per isolare la zona da cui provengono la maggior parte dei terroristi che hanno colpito civili e soldati israeliani nell’escalation di violenza delle ultime settimane. Da Jabal Mukaber, riporta La Stampa, “sono passati almeno quattro terroristi che hanno causato due morti e 16 feriti”, da qui la decisione di creare blocco di polizia temporaneo: una linea di demarcazione virtuale, afferma Repubblica, che “si estende per circa 12 chilometri, dal quartiere di Beit Hanina nel nord, costeggia i bordi della Città Vecchia e arriva a Jabal Mukaber nel sud”. Sempre su Repubblica, la traduzione di un reportage del New York Times dedicato a Gerusalemme Est, definita come il “cuore emotivo della vita palestinese”.

L’attentato a Beersheva. Mentre a Gerusalemme i controlli sono sempre più stretti, ad essere colpita è stata ieri sera la città di Beersheva nel sud di Israele. Un terrorista è entrato nella stazione centrale e ha accoltellato un soldato, riuscendo a sottrargli il fucile automatico che ha poi puntato contro la folla. Due vittime e undici feriti, il drammatico bilancio dell’attentato a cui si aggiunge l’uccisione del terrorista. Tra le vittime, un ragazzo eritreo scambiato inizialmente per un terrorista. “Beer Sheva – scrive il Corriere della Sera, parlando della città nel Negev – ha sempre provato a essere un simbolo della coesistenza, lo ripete anche il sindaco in televisione dopo l’attentato: la metà degli abitanti nell’area metropolitana è araba musulmana, beduini che hanno la cittadinanza israeliana”.
 
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  davar
israele - polemiche sulle scelte del governo
Le nuove misure antiterrorismo
Maggiore potere alla polizia nelle perquisizioni ma stop alla costruzione di nuove barriere all'interno di Gerusalemme. È quanto ha deciso nelle ultime ore il governo israeliano guidato dal Premier Benjamin Netanyahu rispetto ai provvedimenti adottati per contrastare il terrorismo palestinese. Per quanto riguarda le perquisizioni, fino ad oggi le forze dell'ordine potevano effettuarle solo in caso di un ragionevole sospetto che la persona da perquisire fosse armata. La nuova normativa, che dovrà essere approvata prima dalla Commissione legislativa poi dalla Knesset, rimuove il limite del “ragionevole sospetto”. L'Associazione per i diritti civili in Israele ha duramente criticato il provvedimento, ritenuto eccessivamente repressivo. Critiche invece all'interno del governo stesso sono arrivate al progetto della barriera temporanea posizionata in alcune aree di Gerusalemme Est. Un provvedimento che in queste ore Netanyahu ha deciso di bloccare.
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israele 
Tel Aviv, la moda non si ferma
Qualche lustrino sparso qua e là e Tel Aviv è pronta per la sua settimana della moda. Inaugurata con un opening galà nel quale sono comparse vere e presunte star israeliane (la supermodel Bar Refaeli fasciata da abiti metallizzati in testa), la Gindi Tel Aviv Fashion Week è ufficialmente in corso (e lo sarà fino a mercoledì 21) e non si ferma davanti agli ultimi episodi di terrore che tentano di sconvolgere il Paese.
Designato come location per le sfilate è ancora una volta il cantiere del centro commerciale Gindi TLV Fashion Mall, la cui costruzione è ormai quasi ultimata. Tiene nuovamente le redini dell’evento Motty Reif che, nella sua lunga carriera che lo ha reso uno dei leader della moda israeliana, ha prodotto anche documentari come “Brave miss world”, la drammatica storia di Linor Abargil, la Miss Mondo vittima di violenza che ha deciso di fare del suo trauma una missione educativa rivolta a tutte le donne.
In passerella saliranno diverse proposte interessanti: dallo storico brand Maskit che ha aperto le sfilate di stamattina la cui storia è legata a doppio filo alla moglie di Moshe Dayan, Ruth, che fondò la casa di moda per offrire nuovi posti di lavoro alla popolazione, a volti nuovi ma già affermati come Assaf Reeb (in tasca un diploma alla prestigiosa Central Saint Martin di Londra e una collaborazione con Pringle of Scotland), fino alla generazione 2.0 di upcoming designers rappresentati, tra gli altri, da Liron Itzhakov (i cui motivi stampati mietono già le prime fashion victim).
Federica Manasse, 24enne romana che lavora nell’organizzazione dell’evento, ci racconta qualche retroscena.
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qui roma - Premio letterario Adei Wizo 
Le donne dipingono la pace
Domina imponente con il suo tronco nodoso o si mostra solo nel particolare di qualche ramo verde, quasi nasconde una donna seduta in terra col capo coperto o fa da sfondo a un rivisitato bacio di Hayez oppure ancora è circondato da persone che ne raccolgono i frutti in ceste traboccanti. Il soggetto è sempre l’ulivo, protagonista delle circa trenta tele che compongono la mostra “Trait d’union – Women and their Olive Tree”, un progetto della Women’s International Zionist Organization, che grazie all’Associazione Donne Ebree d’Italia fa ora tappa a Roma, dove è stata inaugurata ieri alla Sala Margana nell’ambito della tre giorni culturale “Immagini & Parole” organizzata in occasione della 15esima edizione del premio letterario Adei Wizo intitolato alla memoria di Adelina Della Pergola. La consegna del riconoscimento a Katja Petrowskaja, autrice del pluripremiato “Forse Esther” (Adelphi), avrà luogo questo pomeriggio alle 17 ai Musei Capitolini.
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QUI BARI – STUDIOSI A CONFRONTO
La Memoria e i mass media
Quei pericoli dietro l'angolo

Il cappotto rosso di Schindler's list, o ancora il sorriso di Anna Frank. Sono tante le immagini e le storie legate alla Shoah che sono entrate ormai nella cultura mainstream e attraverso la simbolicità che hanno acquisito, in prevalenza in seguito alla loro massiccia diffusione sui canali di informazione di massa e all'istituzionalizzazione di occasioni dedicate al ricordo, costituiscono un costante imperativo alla Memoria e un nesso diventato quasi inscindibile tra Storia e coscienza civile. L'indagine delle dinamiche che caratterizzano tali fenomeni è stata al centro del corso di storia e didattica della Shoah intitolato “Popshoah? Immaginari e pratiche collettive intorno all'uso pubblico della memoria dello sterminio degli ebrei d'Europa” organizzato presso l'Università di Bari Aldo Moro da Francesca Recchia Luciani, docente dell'Università pugliese, e da Claudio Vercelli, professore all'Istituto Salvemini di Torino. 
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qui roma - LA TESTIMONIANZA DI RAPHAEL LUZON
"Porto ancora Bengasi nel cuore"
Un romanzo familiare che allo stesso tempo riesce ad essere una spy story intrisa di avventura. “Tramonto libico”, intensa testimonianza di Raphael Luzon appena pubblicata da Giuntina, avvolge sin dalla prima pagina. Dalla cacciata della comunità ebraica bengasina a una vita da ricostruire tra Roma, Londra, Israele: vita personale e struggente affresco dell’esilio forzato degli ebrei di Libia. “Già dalla terza frase ascoltata al telefono ho capito che avremmo pubblicato il libro di Raphael – ha spiegato l’editore Shulim Vogelmann, intervenendo ieri al Caffè letterario di Roma – e questo perché riesce ad incastonare perfettamente racconti di vita privata all’interno di testimoniante storicamente importanti. Il libro dà uno spaccato della comunità ebraica in Libia ma condivide anche una storia estremamente intima.
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Qui Torino - Memoria a teatro
Kamp, un silenzio assordante
Alle Fonderie Limone di Moncalieri è andato in scena Kamp, spettacolo teatrale che rappresenta in forma artistica - in modo particolarmente coinvolgente - gli orrori del campo di concentramento di Auschwitz. Ad occupare lo spazio un grande plastico, costituito da baracche, vagoni del treno, filo spinato. Al fondo compare invece la scritta “Arbeit macht frei”. La performance è stata ideata e messa in scena da Herman Helle, Pauline Kalker e Arlène Hoornweg. Lo spunto iniziale è la vicenda familiare della stessa Pauline Kalker, il cui nonno è morto proprio ad Auschwitz.
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INFORMAZIONE – INTERNATIONAL EDITION
Valori di oggi, valori di domani
Mantenere una forte consapevolezza di quanto accaduto in passato, cementando di valori l’oggi e il domani. Su Pagine Ebraiche International Edition si raccontano le iniziative che in questi giorni raccolgono questa sfida, soprattutto a Roma.
Così è stato commemorato il 16 ottobre, anniversario della razzia del ghetto perpetrata dai nazifascisti: una marcia silenziosa e una cerimonia ufficiale, accompagnati dall’avvio di una nuova fase operativa per la Fondazione Museo della Shoah di Roma, che ha inaugurato la sede della Casina dei Vallati con un seminario per insegnanti.
Un’altra occasione di scendere in piazza è stata la manifestazione di solidarietà a Israele che si è svolta in concomitanza con altre città europee e con la partecipazione di molti leader ebraici e rappresentanti di varie forze politiche.
Come raccontato al pubblico internazionale, è stata poi approvata dalla Camera una legge che punisce il negazionismo della Shoah. Dopo l’innalzamento delle pene, è previsto un nuovo passaggio al Senato. 
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QUI FIRENZE
Educazione, il bando è aperto
La Comunità ebraica di Firenze, in collaborazione con la New York University e il Bronfman Center, promuove un ciclo di attività congiunte fra studenti americani residenti in città e giovani della Comunità. A tal fine è ricercata una persona con funzione di educatore/animatore.
Il candidato ideale - viene spiegato - ha esperienza nel campo dell’educazione informale ebraica presso i movimenti giovanili o altri enti ebraici, una ottima padronanza della lingua inglese e italiana, e predisposizione al lavoro di gruppo.
Per quanto concerne le candidature, l'età consigliata è dai 18 ai 35 anni. È inoltre richiesto il diploma di maturità.
Le domande dovranno pervenire entro e non oltre il 31 ottobre.
Per maggiori informazioni scrivere a info@firenzebraica.it 

pilpul
 Oltremare - Giudici
Rav Benny Lau è un po' una celebrità, rabbinicamente parlando. Alle lezioni che tiene il sabato pomeriggio nel suo tempio di Gerusalemme bisogna arrivare in anticipo e si rischia regolarmente di restare fuori. E come tutti i rabbini-celebrità, non cala spesso in pianura. La prima volta che l'ho sentito parlare, alla fine della lezione ho avuto una rivelazione: i rabbini come quelli italiani, nel resto del mondo fanno strettamente accademia. Oppure sono Rav Benny Lau.
Non per incensare i rabbini italiani, che tendono a farsi trattare moderatamente male dalle loro comunità, ma basta farsi un giro anche breve per il mondo, per accorgersi che la profondità culturale, storica e filosofica che abbiamo a disposizione noi ebrei italiani, attraverso il nostro rabbinato, è qualcosa di completamente fuori dai criteri di insegnamento di cose ebraiche altrove nel mondo. E quando uno riesce a trovare il rav che si innalza lievemente dalla basilare tiritera della Parasha settimanale, come niente torna a casa fischiettando un "Halleluya" di Leonard Cohen, come me ieri sera
.

Daniela Fubini, Tel Aviv
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Il settimanAle - Sogni e realtà
“Il sindaco della piccola cittadina che potrebbe riaccendere il Sionismo: bisogna che sia lui a dirigere il Keren Kayemeth” scrive Ari Shavit il 18 ottobre, offrendo un plateale appoggio a Michael Biton, il sindaco di Yeruham nel deserto del Negev. Yeruham me la ricordo come il luogo dimenticato da tutti e forse anche da Lui, dove erano stati schiaffati negli anni ’50 immigrati dal Marocco e dall’India, dove le mie cugine lavoravano volontarie nel sociale, e dove venne poi ambientata quella piccola perla di film israeliano che è stato “Per la fine del mondo, gira a sinistra”. Pare che sotto la guida di Biton si stia trasformando in una perla di sviluppo economico declinato sull’hi-tech e sulla formazione, un modello di come nel deserto, nel luogo dove si dice che Hagar abbia trovato l’acqua per Ismaele, possano rifiorire anche le componenti più reiette e svantaggiate della periferia israeliana. Almeno così scrive Shavit, che credo si stia un po’ sforzando di sognare un altro sogno.

Alessandro Treves, neuroscienziato
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