Paolo Sciunnach,
insegnante
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“Alcuni
commentatori suggeriscono che se Noach fosse vissuto nella generazione
di Avraham Avinu non sarebbe stato considerato uno Tzaddik. Per quale
motivo?
Il profeta Yeshayahu (54, 9) si riferisce al Diluvio come "le acque di
Noach", il che implica che Noach ha parte della responsabilità per il
Diluvio. I commentatori suggeriscono che Noach ha fallito il suo
compito nel non riuscire a insegnare alla sua generazione a camminare
nelle vie di HaShem. Se avesse insegnato loro a conoscere Hashem,
sicuramente si sarebbero salvati dalla punizione del Diluvio.
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Anna
Foa,
storica
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È
vero che c'è un insolito disinteresse dei media sulla situazione in
Israele. Non vedo la televisione, ma i giornali ne parlano pochissimo e
tocca sfogliarli accuratamente per sapere cosa è successo il giorno
prima. Questo è inusuale. o che molti sono pronti a puntare il dito
contro l'antisemitismo, sono gli stessi che lo facevano anche quando,
in passato, la situazione era grave e le prime pagine dei giornali ne
riferivano ampiamente , sia pur in maniera più o meno equanime. Eppure,
mi sembra che dietro questo disinteresse ci sia un fenomeno diverso
dall'antisemitismo (che pur ha la sua parte, naturalmente) e forse più
inquietante: il fatto che il conflitto israelo-palestinese ha perso
rilievo sullo scacchiere internazionale.
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Gerusalemme,
la barriera anti-attentati
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La
polizia israeliana ha posizionato nelle scorse una barriera di cemento
tra il quartiere arabo di Jabal Mukaber e quello ebraico di Armon
Hanatziv, a Gerusalemme. Un provvedimento temporaneo, spiegano le
autorità, per isolare la zona da cui provengono la maggior parte dei
terroristi che hanno colpito civili e soldati israeliani
nell’escalation di violenza delle ultime settimane. Da Jabal Mukaber,
riporta La Stampa, “sono passati almeno quattro terroristi che hanno
causato due morti e 16 feriti”, da qui la decisione di creare blocco di
polizia temporaneo: una linea di demarcazione virtuale, afferma
Repubblica, che “si estende per circa 12 chilometri, dal quartiere di
Beit Hanina nel nord, costeggia i bordi della Città Vecchia e arriva a
Jabal Mukaber nel sud”. Sempre su Repubblica, la traduzione di un
reportage del New York Times dedicato a Gerusalemme Est, definita come
il “cuore emotivo della vita palestinese”.
L’attentato a Beersheva. Mentre a Gerusalemme i controlli sono sempre
più stretti, ad essere colpita è stata ieri sera la città di Beersheva
nel sud di Israele. Un terrorista è entrato nella stazione centrale e
ha accoltellato un soldato, riuscendo a sottrargli il fucile automatico
che ha poi puntato contro la folla. Due vittime e undici feriti, il
drammatico bilancio dell’attentato a cui si aggiunge l’uccisione del
terrorista. Tra le vittime, un ragazzo eritreo scambiato inizialmente
per un terrorista. “Beer Sheva – scrive il Corriere della Sera,
parlando della città nel Negev – ha sempre provato a essere un simbolo
della coesistenza, lo ripete anche il sindaco in televisione dopo
l’attentato: la metà degli abitanti nell’area metropolitana è araba
musulmana, beduini che hanno la cittadinanza israeliana”.
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israele
Tel Aviv, la moda non si ferma
Qualche
lustrino sparso qua e là e Tel Aviv è pronta per la sua settimana della
moda. Inaugurata con un opening galà nel quale sono comparse vere e
presunte star israeliane (la supermodel Bar Refaeli fasciata da abiti
metallizzati in testa), la Gindi Tel Aviv Fashion Week è ufficialmente
in corso (e lo sarà fino a mercoledì 21) e non si ferma davanti agli
ultimi episodi di terrore che tentano di sconvolgere il Paese.
Designato come location per le sfilate è ancora una volta il cantiere
del centro commerciale Gindi TLV Fashion Mall, la cui costruzione è
ormai quasi ultimata. Tiene nuovamente le redini dell’evento Motty Reif
che, nella sua lunga carriera che lo ha reso uno dei leader della moda
israeliana, ha prodotto anche documentari come “Brave miss world”, la
drammatica storia di Linor Abargil, la Miss Mondo vittima di violenza
che ha deciso di fare del suo trauma una missione educativa rivolta a
tutte le donne.
In passerella saliranno diverse proposte interessanti: dallo storico
brand Maskit che ha aperto le sfilate di stamattina la cui storia è
legata a doppio filo alla moglie di Moshe Dayan, Ruth, che fondò la
casa di moda per offrire nuovi posti di lavoro alla popolazione, a
volti nuovi ma già affermati come Assaf Reeb (in tasca un diploma alla
prestigiosa Central Saint Martin di Londra e una collaborazione con
Pringle of Scotland), fino alla generazione 2.0 di upcoming designers
rappresentati, tra gli altri, da Liron Itzhakov (i cui motivi stampati
mietono già le prime fashion victim).
Federica Manasse, 24enne romana che lavora nell’organizzazione dell’evento, ci racconta qualche retroscena.
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QUI FIRENZE
Educazione, il bando è aperto
La
Comunità ebraica di Firenze, in collaborazione con la New York
University e il Bronfman Center, promuove un ciclo di attività
congiunte fra studenti americani residenti in città e giovani della
Comunità. A tal fine è ricercata una persona con funzione di
educatore/animatore.
Il candidato ideale - viene spiegato - ha esperienza nel campo
dell’educazione informale ebraica presso i movimenti giovanili o altri
enti ebraici, una ottima padronanza della lingua inglese e italiana, e
predisposizione al lavoro di gruppo.
Per quanto concerne le candidature, l'età consigliata è dai 18 ai 35 anni. È inoltre richiesto il diploma di maturità.
Le domande dovranno pervenire entro e non oltre il 31 ottobre.
Per maggiori informazioni scrivere a info@firenzebraica.it
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Oltremare
- Giudici
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Rav
Benny Lau è un po' una celebrità, rabbinicamente parlando. Alle lezioni
che tiene il sabato pomeriggio nel suo tempio di Gerusalemme bisogna
arrivare in anticipo e si rischia regolarmente di restare fuori. E come
tutti i rabbini-celebrità, non cala spesso in pianura. La prima volta
che l'ho sentito parlare, alla fine della lezione ho avuto una
rivelazione: i rabbini come quelli italiani, nel resto del mondo fanno
strettamente accademia. Oppure sono Rav Benny Lau.
Non per incensare i rabbini italiani, che tendono a farsi trattare
moderatamente male dalle loro comunità, ma basta farsi un giro anche
breve per il mondo, per accorgersi che la profondità culturale, storica
e filosofica che abbiamo a disposizione noi ebrei italiani, attraverso
il nostro rabbinato, è qualcosa di completamente fuori dai criteri di
insegnamento di cose ebraiche altrove nel mondo. E quando uno riesce a
trovare il rav che si innalza lievemente dalla basilare tiritera della
Parasha settimanale, come niente torna a casa fischiettando un
"Halleluya" di Leonard Cohen, come me ieri sera.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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Il settimanAle - Sogni e realtà
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“Il
sindaco della piccola cittadina che potrebbe riaccendere il Sionismo:
bisogna che sia lui a dirigere il Keren Kayemeth” scrive Ari Shavit il
18 ottobre, offrendo un plateale appoggio a Michael Biton, il sindaco
di Yeruham nel deserto del Negev. Yeruham me la ricordo come il luogo
dimenticato da tutti e forse anche da Lui, dove erano stati schiaffati
negli anni ’50 immigrati dal Marocco e dall’India, dove le mie cugine
lavoravano volontarie nel sociale, e dove venne poi ambientata quella
piccola perla di film israeliano che è stato “Per la fine del mondo,
gira a sinistra”. Pare che sotto la guida di Biton si stia trasformando
in una perla di sviluppo economico declinato sull’hi-tech e sulla
formazione, un modello di come nel deserto, nel luogo dove si dice che
Hagar abbia trovato l’acqua per Ismaele, possano rifiorire anche le
componenti più reiette e svantaggiate della periferia israeliana.
Almeno così scrive Shavit, che credo si stia un po’ sforzando di
sognare un altro sogno.
Alessandro Treves, neuroscienziato
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