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21 ottobre 2015 - 8 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“Io benedirò chi ti benedirà e maledirò chi ti maledirà, si benediranno in te tutte le famiglie della terra”. (Bereshìt 12, 3). Hanno detto i Maestri che nonostante verranno benedetti gli uomini per merito di Avrahàm, ci saranno ancora uomini che ti malediranno. Questo perché non esiste al mondo luce senza ombra. Sappi però che la luce rimane sempre luce.
 
David
Assael,
ricercatore
In attesa delle temutissime elezioni polacche, non si arresta, in Europa, la marea nera spinta dai venti della crisi economica e dell'ondata migratoria. Le ultime notizie arrivano dalla Svizzera, dove si è registrata la più importante affermazione della destra xenofoba della storia della confederazione. La settimana precedente le elezioni viennesi hanno visto la destra guidata da Heinz-Christian Strache arrivare alla strabiliante soglia del 31%, davvero impensabile fino a pochi anni fa (ma, si temeva anche di peggio). Il canovaccio è sempre lo stesso: propaganda becera contro l'Europa ed islamofobia spinta fino al parossismo.  
 
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Kerry incontra Bibi
Rafforzare lo status quo sulla Spianata delle Moschee e riportare la calma dopo l’escalation di violenza del terrorismo palestinese nelle ultime settimane: è quanto si prefigge il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, arrivato ieri (a sorpresa) a Gerusalemme. Una missione, scrive la Stampa, che aprirebbe la strada al lavoro diplomatico del segretario di Stato americano John Kerry, che oggi a Berlino incontrerà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e venerdì il presidente palestinese Abu Mazen. Lo scopo della mediazione sarebbe quello di trasformare l’accordo verbale sulla gestione del sito religioso in un accordo sottoscritto da Netanyahu e dal re giordano Abdallah, a capo dell’ente Waqf che gestisce la Spianata. Intanto le tensioni sono proseguite anche ieri: un cittadino israeliano è stato ucciso a Hebron dopo lanci di pietre e un militare è stato accoltellato da due attentatori, mentre al confine con Gaza sono continuati gli scontri. Sventato inoltre un attentato terroristico nei pressi di un asilo. Sempre di ieri la notizia dell’arresto dello sceicco Hassan Yousef, uno dei più influenti leader di Hamas, il gruppo terroristico che controlla la Striscia. Yousef è stato accusato di aver incitato all’odio e alla violenza contro Israele.
 
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  davar
israele -  dopo le incaute valutazioni
Adolf Hitler e il Gran Muftì,

Bibi cerca di correggere il tiro
“Non volevo assolvere Hitler dalle sue responsabilità ma mostrare come il padre della nazione palestinese voleva distruggere gli ebrei anche senza un'occupazione, senza territori, senza insediamenti”. Cerca di chiarire la sua posizione il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo la pioggia di critiche ricevute per le sue affermazioni sul legame tra la decisione di sterminare gli ebrei da parte di Hitler e il muftì di Gerusalemme Haj Amin Al-Husseini. Parlando al Congresso Mondiale Sionista a Gerusalemme, Netanyahu ha affermato che Hitler fu convinto alla cosiddetta “soluzione finale” dal muftì Al-Husseini – un importante capo religioso islamico in Palestina – durante un loro incontro nel novembre del 1941, e che inizialmente voleva semplicemente espellere gli ebrei dalla Germania: “Hitler non voleva sterminare gli ebrei, all’epoca, voleva espellere gli ebrei. Amin al-Husseini andò da Hitler e gli disse: 'Se li espelli, verranno tutti qui (in Palestina, ndr). 'Cosa dovrei fare con loro?', chiese Hitler. Il Muftì rispose: 'Bruciali'”. Una ricostruzione contestata da molti storici così come da diversi esponenti politici israeliani e su cui Netanyahu è tornato a esprimersi alla vigilia del viaggio che lo porterà a Berlino, dove incontrerà il Segretario di Stato John Kerry per parlare dell'attuale escalation di violenza in Israele e nei territori palestinesi.

“Hitler è responsabile dello sterminio di sei milioni di ebrei e nessuno lo mette in dubbio. Ma non possiamo ignorare che Amin al-Husseini è stato tra coloro che lo incoraggiarono ad adottare la 'soluzione finale'”.
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qui milano - la comunità si mobilita
Per Israele, contro il terrorismo
Al fianco dello Stato d'Israele, per opporsi a tutto ciò che il terrorismo rappresenta: violenza, odio, sopraffazione. È l'appello con cui la Comunità ebraica di Milano invita a partecipare alla manifestazione di oggi pomeriggio davanti al Tempio Centrale di via Guastalla. Sarà una fiaccolata accompagnata da una maratona oratoria per dare un segnale di solidarietà alla popolazione israeliana, duramente colpita in queste settimane dal terrorismo palestinese, per ribadire i valori e i principi democratici che Israele rappresenta e prendere fermamente posizione contro la violenza e contro chi istiga all'odio. Tutta la cittadinanza, sottolineano la Comunità e le altre associazioni promotrici dell'iniziativa, è invitata a partecipare all'appuntamento che avrà inizio alle 18 e vedrà la presenza tra gli altri dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, dei presidenti della Keillah milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani, del vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, assieme ad altri rappresentanti delle istituzioni, giornalisti, figure del panorama culturale della città, così come iscritti e non alla Comunità ebraica. L'obiettivo è sensibilizzare l'opinione pubblica di fronte alle violenze ma anche denunciare alcune storture dell'informazione: “Israele, l'unico paese democratico della regione, - si legge nella nota diffusa dalla Comunità - dove i diritti dell'uomo vengono rispettati e garantiti da una giustizia indipendente, dove la rappresentanza delle minoranze arabe è in parlamento, dove l'opposizione e i media hanno libertà di espressione e riunione, viene fatta passare per aggressore”. Da qui la richiesta degli organizzatori di “portare luce sulla verità” e ricordare la minaccia quotidiana che i terroristi di Hamas, di Hezbollah e ora anche dell'Isis, portano a Israele, agli ebrei ma anche a tutte le società democratiche.
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israele - dal web alla vita reale
Un sorriso contro la tensione
“Ti prego, ti prego continua a scherzare, altrimenti andremo fuori di testa”. “Abbiamo più che mai bisogno di ridere”. “Mantenere il senso dell’umorismo equivale a mantenere il senso delle proporzioni”. Sono solo alcuni dei commenti comparsi sulla pagina Facebook del comico texano Benji Lovitt, che oggi vive a Tel Aviv e ha fatto delle risate per stemperare i momenti di tensione nel paese un suo cavallo di battaglia. Il grande seguito che ha ottenuto è parte di una reazione sempre più diffusa in questi giorni, in particolare sui social network, all’ondata di violenze cominciata in Israele ai primi di ottobre e alla paura dovuta al ripetersi degli attentati terroristici. Decine di fotografie, video, testi e vignette canzonatori, satirici, a volte quasi dissacranti popolano dunque il web, portando una dimensione di normalità e di leggerezza nella vita degli israeliani.
Il maggior numero di spunti proviene dalla necessità di autodifendersi dagli attacchi terroristici, in particolare dai frequentissimi attacchi con coltelli, che ha portato nelle ultime settimane all’aumento esponenziale di richieste di porto d’armi nonché a una carenza di scorte di spray al peperoncino in tutto Israele. Ma oltre a questi metodi, per così dire, tradizionali, in una vignetta pubblicata dal noto programma televisivo satirico Eretz Nehderet, si suggerisce anche l’utilizzo di ombrelli, strani oggetti utilizzati nelle arti marziali, o anche, perché no, gli onnipresenti bastoni per i selfie.


(Nell'immagine, un fantastioso giubbotto anti-proiettile fittiziamente 'firmato' dal popolare marchio d'abbigliamento israeliano Castro)
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la maggiorità religiosa sul piccolo schermo
"Il mio Bar Mitzvah da divo"
A volte Twitter può riservare sorprese inaspettate. Tra i cinguettii che invadono il web, uno degli hashtag, le parole chiave di maggior successo, campeggia infatti il nome ebraico “Mendel”. “#Mendel mi ha ispirata. Quante persone non riescono a raggiungere un livello superiore perché non si sanno lasciare il passato alle spalle?” scrive Meliah. “Guardare #Mendel mettere i tefillin e leggere la Torah mi ha dato un colpo al cuore. Mazal Tov!” fa eco Tunya. “Ho amato molto la storia di #Mendel perché rappresenta il rito di passaggio. Bye bye infanzia” pubblica Oprah, che non è una utente di social network qualsiasi ma la regina della tv americana Oprah Winfrey.

Mendel è infatti il giovane protagonista di una puntata di “Belief”, il programma televisivo dedicato alle diverse fedi religiose in onda sull’emittente di proprietà della popolare presentatrice. Il documentario racconta la giornata di Mendel, un ebreo ortodosso ungherese che, raggiunta la soglia dei 13 anni, celebra il Bar Mitzvah, la maggiorità religiosa. Dopo essere stato svegliato da un nugolo di fratelli urlanti che lo abbracciano e lo festeggiano, il giovane Mendel spiega con inusitata saggezza il valore simbolico del rito che sta per compiere.
“In poche parole – racconta Mendel – questo è il mio bye bye alla fanciullezza. Questo è il momento in cui inizierò a farmi molte più domande su me stesso e il mondo circostante: perché il cielo è blu? Perché l’erba è verde? D-o è spirito?”. E infatti, aggiunge suo padre, il rabbino Shlomo Hurwitz: “Farsi domande è il cuore dell’ebraismo”. La telecamera segue poi il giovane mentre gira in bicicletta, studia per la parashà che dovrà leggere in pubblico, passeggia per le vie di Budapest e viene festeggiato animatamente in sinagoga.
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pilpul
Ticketless - Il Museo Lombroso
Vorrei spendere qualche parola in difesa del Museo Cesare Lombroso, una delle istituzioni più originali della recente Torino Renaissance. Il luogo, per l’intelligenza con cui è stato progettato, vale una deviazione fuori delle autostrade turistiche dei tour operators. Un assurdo carosello giudiziario tuttavia si accanisce contro il Museo mettendone a rischio la sopravvivenza.
Tutto ruota contro la palese (da decenni riconosciuta) radice lombrosiana del pregiudizio antimeridionale, che il Museo certo non disconosce. Con altrettanto palese spirito strumentale, qualcuno cerca di farsi pubblicità, non si capisce bene perché, in nome di quale astratta rivendicazione. Se ne scrivo qui è per una ragione evidente: Il grande antropologo di origine chierese, discendente di David Levi, si sa, non fu gentile contro i calabresi come non lo fu nei confronti dei ciclisti (considerava l’invenzione del biciclo uno strumento del demonio) e nemmeno fu tenero nei confronti degli ebrei, avvalorando in anticipo sui tempi la celebre barzelletta sugli ebrei e i ciclisti.
I quali ciclisti, a quanto pare, sono meno irascibili dei calabresi e degli ebrei: le pagine contro la bicicletta sono diventate un libretto cult che si porta in giro tenendolo sotto il sellino. Di qui a farlo un antisemita, però ce ne corre. Siccome da parte della storiografia ebraica mi è capitato di leggere spesso critiche velenosette contro di lui, vorrei qui segnalare i lavori di un giovane studioso di area veneta, cresciuto su alla scuola della non mai dimenticata Delia Frigessi.
Emanuele D’Antonio ha pubblicato qualche anno fa un importante studio sui legami del Nostro con il primo sionismo e ha messo in luce come occorra discernimento prima di liquidare come un arnese del passato chi fino prova contraria agì sempre in difesa dei deboli, fu vicino al socialismo, e, soprattutto, diede il suo contributo a rendere più moderno e aperto il Codice Zanardelli visitando le carceri e dialogando con i detenuti, di cui valorizzò l’inventività creativa.
I musei sono luoghi della memoria di una nazione civile. Lungi dall’essere perfetti possono essere perfezionati e migliorati, ma si mette su una brutta strada la cultura di quel paese in cui i musei rischiano di essere chiusi dalla sentenza di un tribunale.


Alberto Cavaglion
Periscopio - Educazione all'odio
Uno dei crimini più vili e ripugnanti che, da sempre, viene compiuto in larghe fasce del Medio Oriente, tra il compiacimento di buona parte del mondo e la beata indifferenza della rimanente, è la quotidiana, tenace, metodica educazione – a casa, all’asilo, a scuola, attraverso televisione, giornalini, fumetti, murales… – di milioni e milioni di bambini (palestinesi, libanesi, siriani, iraniani ecc.) a una cultura di odio e di morte.
Solo ieri Jibril Rajoub, membro del direttivo di Fatah, ha esortato tutte le scuole a illustrare ed esaltare le gesta dei terroristi, affinché gli scolari le possano al più presto imitare. “Salviamo i bambini palestinesi”, si leggeva in molti manifesti – esibiti domenica scorsa nel corso della manifestazione di sostegno di Israele – sotto fotografie che mostravano immagini di fanciulli di tenerissima età – sei anni, cinque, quattro… -, con in una mano una bandiera palestinese e, nell’altra, disegni di pugnali, mitra, bombe da usare contro l’odiatissimo nemico.
Come potrebbero mai questi bambini, una volta diventati adulti, distaccarsi da questa terribile intossicazione a cui vengono sottoposti fin dalla nascita? Anche se, per ipotesi, venissero sottratti al loro lugubre habitat familiare, e trasferiti nel più sereno, giocoso e amorevole degli ambienti, i danni da loro riportati sarebbero certamente irreversibili, non c’è bisogno di essere psicologi per capirlo.


Francesco Lucrezi, storico
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