David
Sciunnach,
rabbino
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“Io
benedirò chi ti benedirà e maledirò chi ti maledirà, si benediranno in
te tutte le famiglie della terra”. (Bereshìt 12, 3). Hanno detto i
Maestri che nonostante verranno benedetti gli uomini per merito di
Avrahàm, ci saranno ancora uomini che ti malediranno. Questo perché non
esiste al mondo luce senza ombra. Sappi però che la luce rimane sempre
luce.
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David
Assael,
ricercatore
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In
attesa delle temutissime elezioni polacche, non si arresta, in Europa,
la marea nera spinta dai venti della crisi economica e dell'ondata
migratoria. Le ultime notizie arrivano dalla Svizzera, dove si è
registrata la più importante affermazione della destra xenofoba della
storia della confederazione. La settimana precedente le elezioni
viennesi hanno visto la destra guidata da Heinz-Christian Strache
arrivare alla strabiliante soglia del 31%, davvero impensabile fino a
pochi anni fa (ma, si temeva anche di peggio). Il canovaccio è sempre
lo stesso: propaganda becera contro l'Europa ed islamofobia spinta fino
al parossismo.
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Kerry incontra Bibi |
Rafforzare
lo status quo sulla Spianata delle Moschee e riportare la calma dopo
l’escalation di violenza del terrorismo palestinese nelle ultime
settimane: è quanto si prefigge il segretario generale delle Nazioni
Unite, Ban Ki Moon, arrivato ieri (a sorpresa) a Gerusalemme. Una
missione, scrive la Stampa, che aprirebbe la strada al lavoro
diplomatico del segretario di Stato americano John Kerry, che oggi a
Berlino incontrerà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e
venerdì il presidente palestinese Abu Mazen. Lo scopo della mediazione
sarebbe quello di trasformare l’accordo verbale sulla gestione del sito
religioso in un accordo sottoscritto da Netanyahu e dal re giordano
Abdallah, a capo dell’ente Waqf che gestisce la Spianata. Intanto le
tensioni sono proseguite anche ieri: un cittadino israeliano è stato
ucciso a Hebron dopo lanci di pietre e un militare è stato accoltellato
da due attentatori, mentre al confine con Gaza sono continuati gli
scontri. Sventato inoltre un attentato terroristico nei pressi di un
asilo. Sempre di ieri la notizia dell’arresto dello sceicco Hassan
Yousef, uno dei più influenti leader di Hamas, il gruppo terroristico
che controlla la Striscia. Yousef è stato accusato di aver incitato
all’odio e alla violenza contro Israele.
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israele - dopo le incaute valutazioni
Adolf Hitler e il Gran Muftì,
Bibi cerca di correggere il tiro
“Non
volevo assolvere Hitler dalle sue responsabilità ma mostrare come il
padre della nazione palestinese voleva distruggere gli ebrei anche
senza un'occupazione, senza territori, senza insediamenti”. Cerca di
chiarire la sua posizione il Primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu dopo la pioggia di critiche ricevute per le sue affermazioni
sul legame tra la decisione di sterminare gli ebrei da parte di Hitler
e il muftì di Gerusalemme Haj Amin Al-Husseini. Parlando al Congresso
Mondiale Sionista a Gerusalemme, Netanyahu ha affermato che Hitler fu
convinto alla cosiddetta “soluzione finale” dal muftì Al-Husseini – un
importante capo religioso islamico in Palestina – durante un loro
incontro nel novembre del 1941, e che inizialmente voleva semplicemente
espellere gli ebrei dalla Germania: “Hitler non voleva sterminare gli
ebrei, all’epoca, voleva espellere gli ebrei. Amin al-Husseini andò da
Hitler e gli disse: 'Se li espelli, verranno tutti qui (in Palestina,
ndr). 'Cosa dovrei fare con loro?', chiese Hitler. Il Muftì rispose:
'Bruciali'”. Una ricostruzione contestata da molti storici così come da
diversi esponenti politici israeliani e su cui Netanyahu è tornato a
esprimersi alla vigilia del viaggio che lo porterà a Berlino, dove
incontrerà il Segretario di Stato John Kerry per parlare dell'attuale
escalation di violenza in Israele e nei territori palestinesi.
“Hitler
è responsabile dello sterminio di sei milioni di ebrei e nessuno lo
mette in dubbio. Ma non possiamo ignorare che Amin al-Husseini è stato
tra coloro che lo incoraggiarono ad adottare la 'soluzione finale'”.
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qui milano - la comunità si mobilita
Per Israele, contro il terrorismo
Al
fianco dello Stato d'Israele, per opporsi a tutto ciò che il terrorismo
rappresenta: violenza, odio, sopraffazione. È l'appello con cui la
Comunità ebraica di Milano invita a partecipare alla manifestazione di
oggi pomeriggio davanti al Tempio Centrale di via Guastalla. Sarà una
fiaccolata accompagnata da una maratona oratoria per dare un segnale di
solidarietà alla popolazione israeliana, duramente colpita in queste
settimane dal terrorismo palestinese, per ribadire i valori e i
principi democratici che Israele rappresenta e prendere fermamente
posizione contro la violenza e contro chi istiga all'odio. Tutta la
cittadinanza, sottolineano la Comunità e le altre associazioni
promotrici dell'iniziativa, è invitata a partecipare all'appuntamento
che avrà inizio alle 18 e vedrà la presenza tra gli altri
dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, dei presidenti della
Keillah milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani, del vicepresidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, assieme ad
altri rappresentanti delle istituzioni, giornalisti, figure del
panorama culturale della città, così come iscritti e non alla Comunità
ebraica. L'obiettivo è sensibilizzare l'opinione pubblica di fronte
alle violenze ma anche denunciare alcune storture dell'informazione:
“Israele, l'unico paese democratico della regione, - si legge nella
nota diffusa dalla Comunità - dove i diritti dell'uomo vengono
rispettati e garantiti da una giustizia indipendente, dove la
rappresentanza delle minoranze arabe è in parlamento, dove
l'opposizione e i media hanno libertà di espressione e riunione, viene
fatta passare per aggressore”. Da qui la richiesta degli organizzatori
di “portare luce sulla verità” e ricordare la minaccia quotidiana che i
terroristi di Hamas, di Hezbollah e ora anche dell'Isis, portano a
Israele, agli ebrei ma anche a tutte le società democratiche.
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israele - dal web alla vita reale
Un sorriso contro la tensione
“Ti
prego, ti prego continua a scherzare, altrimenti andremo fuori di
testa”. “Abbiamo più che mai bisogno di ridere”. “Mantenere il senso
dell’umorismo equivale a mantenere il senso delle proporzioni”. Sono
solo alcuni dei commenti comparsi sulla pagina Facebook del comico
texano Benji Lovitt, che oggi vive a Tel Aviv e ha fatto delle risate
per stemperare i momenti di tensione nel paese un suo cavallo di
battaglia. Il grande seguito che ha ottenuto è parte di una reazione
sempre più diffusa in questi giorni, in particolare sui social network,
all’ondata di violenze cominciata in Israele ai primi di ottobre e alla
paura dovuta al ripetersi degli attentati terroristici. Decine di
fotografie, video, testi e vignette canzonatori, satirici, a volte
quasi dissacranti popolano dunque il web, portando una dimensione di
normalità e di leggerezza nella vita degli israeliani.
Il maggior numero di spunti proviene dalla necessità di autodifendersi
dagli attacchi terroristici, in particolare dai frequentissimi attacchi
con coltelli, che ha portato nelle ultime settimane all’aumento
esponenziale di richieste di porto d’armi nonché a una carenza di
scorte di spray al peperoncino in tutto Israele. Ma oltre a questi
metodi, per così dire, tradizionali, in una vignetta pubblicata dal
noto programma televisivo satirico Eretz Nehderet, si suggerisce anche
l’utilizzo di ombrelli, strani oggetti utilizzati nelle arti marziali,
o anche, perché no, gli onnipresenti bastoni per i selfie.
(Nell'immagine,
un fantastioso giubbotto anti-proiettile fittiziamente 'firmato' dal
popolare marchio d'abbigliamento israeliano Castro)
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la maggiorità religiosa sul piccolo schermo
"Il mio Bar Mitzvah da divo"
A
volte Twitter può riservare sorprese inaspettate. Tra i cinguettii che
invadono il web, uno degli hashtag, le parole chiave di maggior
successo, campeggia infatti il nome ebraico “Mendel”. “#Mendel mi ha
ispirata. Quante persone non riescono a raggiungere un livello
superiore perché non si sanno lasciare il passato alle spalle?” scrive
Meliah. “Guardare #Mendel mettere i tefillin e leggere la Torah mi ha
dato un colpo al cuore. Mazal Tov!” fa eco Tunya. “Ho amato molto la
storia di #Mendel perché rappresenta il rito di passaggio. Bye bye
infanzia” pubblica Oprah, che non è una utente di social network
qualsiasi ma la regina della tv americana Oprah Winfrey.
Mendel
è infatti il giovane protagonista di una puntata di “Belief”, il
programma televisivo dedicato alle diverse fedi religiose in onda
sull’emittente di proprietà della popolare presentatrice. Il
documentario racconta la giornata di Mendel, un ebreo ortodosso
ungherese che, raggiunta la soglia dei 13 anni, celebra il Bar Mitzvah,
la maggiorità religiosa. Dopo essere stato svegliato da un nugolo di
fratelli urlanti che lo abbracciano e lo festeggiano, il giovane Mendel
spiega con inusitata saggezza il valore simbolico del rito che sta per
compiere.
“In
poche parole – racconta Mendel – questo è il mio bye bye alla
fanciullezza. Questo è il momento in cui inizierò a farmi molte più
domande su me stesso e il mondo circostante: perché il cielo è blu?
Perché l’erba è verde? D-o è spirito?”. E infatti, aggiunge suo padre,
il rabbino Shlomo Hurwitz: “Farsi domande è il cuore dell’ebraismo”. La
telecamera segue poi il giovane mentre gira in bicicletta, studia per
la parashà che dovrà leggere in pubblico, passeggia per le vie di
Budapest e viene festeggiato animatamente in sinagoga.
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Ticketless
- Il Museo Lombroso |
Vorrei
spendere qualche parola in difesa del Museo Cesare Lombroso, una delle
istituzioni più originali della recente Torino Renaissance. Il luogo,
per l’intelligenza con cui è stato progettato, vale una deviazione
fuori delle autostrade turistiche dei tour operators. Un assurdo
carosello giudiziario tuttavia si accanisce contro il Museo mettendone
a rischio la sopravvivenza.
Tutto ruota contro la palese (da decenni riconosciuta) radice
lombrosiana del pregiudizio antimeridionale, che il Museo certo non
disconosce. Con altrettanto palese spirito strumentale, qualcuno cerca
di farsi pubblicità, non si capisce bene perché, in nome di quale
astratta rivendicazione. Se ne scrivo qui è per una ragione evidente:
Il grande antropologo di origine chierese, discendente di David Levi,
si sa, non fu gentile contro i calabresi come non lo fu nei confronti
dei ciclisti (considerava l’invenzione del biciclo uno strumento del
demonio) e nemmeno fu tenero nei confronti degli ebrei, avvalorando in
anticipo sui tempi la celebre barzelletta sugli ebrei e i ciclisti.
I quali ciclisti, a quanto pare, sono meno irascibili dei calabresi e
degli ebrei: le pagine contro la bicicletta sono diventate un libretto
cult che si porta in giro tenendolo sotto il sellino. Di qui a farlo un
antisemita, però ce ne corre. Siccome da parte della storiografia
ebraica mi è capitato di leggere spesso critiche velenosette contro di
lui, vorrei qui segnalare i lavori di un giovane studioso di area
veneta, cresciuto su alla scuola della non mai dimenticata Delia
Frigessi.
Emanuele D’Antonio ha pubblicato qualche anno fa un importante studio
sui legami del Nostro con il primo sionismo e ha messo in luce come
occorra discernimento prima di liquidare come un arnese del passato chi
fino prova contraria agì sempre in difesa dei deboli, fu vicino al
socialismo, e, soprattutto, diede il suo contributo a rendere più
moderno e aperto il Codice Zanardelli visitando le carceri e dialogando
con i detenuti, di cui valorizzò l’inventività creativa.
I musei sono luoghi della memoria di una nazione civile. Lungi
dall’essere perfetti possono essere perfezionati e migliorati, ma si
mette su una brutta strada la cultura di quel paese in cui i musei
rischiano di essere chiusi dalla sentenza di un tribunale.
Alberto Cavaglion
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Periscopio
- Educazione all'odio |
Uno
dei crimini più vili e ripugnanti che, da sempre, viene compiuto in
larghe fasce del Medio Oriente, tra il compiacimento di buona parte del
mondo e la beata indifferenza della rimanente, è la quotidiana, tenace,
metodica educazione – a casa, all’asilo, a scuola, attraverso
televisione, giornalini, fumetti, murales… – di milioni e milioni di
bambini (palestinesi, libanesi, siriani, iraniani ecc.) a una cultura
di odio e di morte.
Solo ieri Jibril Rajoub, membro del direttivo di Fatah, ha esortato
tutte le scuole a illustrare ed esaltare le gesta dei terroristi,
affinché gli scolari le possano al più presto imitare. “Salviamo i
bambini palestinesi”, si leggeva in molti manifesti – esibiti domenica
scorsa nel corso della manifestazione di sostegno di Israele – sotto
fotografie che mostravano immagini di fanciulli di tenerissima età –
sei anni, cinque, quattro… -, con in una mano una bandiera palestinese
e, nell’altra, disegni di pugnali, mitra, bombe da usare contro
l’odiatissimo nemico.
Come potrebbero mai questi bambini, una volta diventati adulti,
distaccarsi da questa terribile intossicazione a cui vengono sottoposti
fin dalla nascita? Anche se, per ipotesi, venissero sottratti al loro
lugubre habitat familiare, e trasferiti nel più sereno, giocoso e
amorevole degli ambienti, i danni da loro riportati sarebbero
certamente irreversibili, non c’è bisogno di essere psicologi per
capirlo.
Francesco Lucrezi, storico
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