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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Motivi
personali e motivi nazionali mi hanno spinto in questi giorni a pensare
al senso delle eredità. Cosa ereditiamo dai nostri padri? Ereditiamo le
loro speranze? Le loro aspettative? Ereditiamo i loro rancori? I loro
egoismi? E cosa dobbiamo riscattare per noi e cosa dobbiamo ricevere in
maniera automatica? Dove inizia la nostra autonomia e dove finisce il
peso ereditario dei pensieri e delle opinioni? I “padri” sono un limite
o una partenza? E pensare da soli è un tradimento verso i padri o una
benedizione verso quelli che tra loro ci hanno insegnato a farlo? Viene
in mente un passaggio dei Pirkè Avot, 2,12: “Rabbi Yosè diceva: “Ti sia
caro il denaro del tuo compagno quanto il tuo e predisponiti a studiare
la Torà perché essa non ti viene data in eredità e tutte le tue azioni
siano per fini religiosi (leshem shammaim)”. La Torà, come il sapere,
come la conoscenza, come la coscienza, come il discernimento non sono
beni che si possono ereditare. Ditelo al professore e storico Benzion
Netanyahu, che riposi in pace.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Credo
che si potrebbe scrivere un libro sulla storia del rapporto fra civiltà
ebraica e il concetto di sicurezza. L’idea di poter vivere in un luogo
senza subire violenze e godendo di una sufficiente tranquillità per
poter esercitare le proprie attività serenamente è sempre stata un
elemento centrale. Una questione legata naturalmente allo status di
minoranza. Si potrebbe andare molto indietro nel tempo, ma pensiamo
alla richiesta che emerge nelle condotte ai prestatori ebrei
ashkenaziti nel medioevo: provenivano dalle tragiche esperienze
dell’epoca delle crociate, dai massacri della peste nera dovuti alla
falsa accusa dell’avvelenamento dei pozzi, e allora quando venivano
invitati in una città a fare i prestatori pretendevano clausole proprio
legate alla sicurezza.
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Washington critica Bibi: "Retorica pericolosa"
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Numerosi
gli incontri diplomatici in corso per trovare una soluzione al
complesso calderone mediorientale nei suoi diversi scenari di crisi.
Ieri a Berlino meeting tra il segretario di Stato americano John Kerry
e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, cui il portavoce
della Casa Bianca si è rivolto rimproverandogli – come riporta la
Stampa – “una retorica delle provocazioni che non giova al contenimento
delle violenze”.
Le recenti dichiarazioni del primo ministro sulla Shoah continuano ad
essere oggetto di valutazioni e approfondimenti. Sul Corriere della
sera Donatella Di Cesare, accusandolo di non aver capito il significato
di Auschwitz, descrive le sue parole come “agghiaccianti”.
“Hitler sapeva bene cosa voleva e da tempo, non si stava di certo
attardando a realizzarlo. Al contrario – scrive Tiziana Della Rocca sul
Fatto Quotidiano – stava mettendo a punto la sua macchina di
distruzione così da renderla più efficace”.
Spezza invece una lancia a favore Giulio Meotti (Il Foglio), che
riconosce a Netanyahu il merito di aver portato all’attenzione
dell’opinione pubblica la figura del Gran Mufti e il suo stretto legame
con Hitler. “Incolpando il Mufti – si legge sul Foglio – Netanyahu
indica l’origine dell’Intifada: non ‘l’occupazione’, ma
l’antisemitismo”.
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ISRAELE
Kerry, Netanyahu, Abu Mazen Dialogo per riportare la calma
Cauto
ottimismo. Ad esprimerlo il segretario di Stato americano John Kerry
dopo l'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Berlino.
Sul tavolo, il tentativo di riportare per vie diplomatiche la calma in
Israele e nei territori palestinesi, dopo giorni di attentati
terroristici e violenze. Il primo segno di apertura arriva da
Gerusalemme, con la decisione del governo Netanyahu di sospendere le
restrizioni legate all'accesso per i musulmani alla Spianata delle
Moschee (per l'ebraismo, Monte del Tempio). Nonostante il movimento
terroristico di Hamas abbia invocato per l'ennesima volta un “venerdì
della rabbia”, incitando la popolazione a colpire Israele, le autorità
hanno deciso di permettere a tutti i fedeli musulmani di recarsi al
complesso della moschea Al Aqsa per pregare. Proprio questo luogo nelle
scorse settimane è stato il teatro principale della rivolta
palestinese, con il lancio di molotov e massi poi trasformatisi in
un'ondata di attacchi terroristici contro civili e soldati israeliani.
Per limitare gli scontri, Israele, che controlla l'accesso al Monte del
Tempio, aveva imposto un limite di età, permettendo solo ai fedeli con
più di quarant'anni di entrare nel sito, la cui gestione è affidata
alla Giordania. La sospensione delle restrizioni è stato interpretato
dalla stampa israeliana come un tentativo di apertura e di allentare la
tensione da parte di Gerusalemme. In cambio Netanyahu chiede alla
Giordania e all'Autorità palestinese di dichiarare pubblicamente che
Israele non ha violato lo status quo dell'area del Monte del Tempio.
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QUI PADOVA - A 150 ANNI DALLA SCOMPARSA
Shadal, luce per le generazioni
Il
costante dialogo fra tradizione e ricerca scientifica, fra le lezioni
del passato e la vita nella modernità. Fu questo l’aspetto predominante
nella vita e nel lavoro di Samuel David Luzzatto, noto con l’acronimo
di Shadal, Maestro italiano dell’Ottocento, personalità centrale del
Collegio Rabbinico di Padova, il cui pensiero divenne un punto di
riferimento a livello mondiale per gli studiosi di giudaismo. Ebraista
e poeta, storico ed esegeta biblico, traduttore e bibliografo, la sua
figura versatile sarà al centro di una conferenza internazionale
organizzata per questa domenica a Padova dalla Comunità ebraica con il
patrocinio dell’Università cittadina, in occasione dei 150 anni dalla
sua scomparsa, avvenuta la sera del giorno di Kippur del 1865. “Samuel
David Luzzatto – Opinioni a confronto” il tema della giornata, che si
svolgerà al Teatro Ruzzante e vedrà impegnati vari studiosi e rabbini,
coordinati dallo storico Gadi Luzzatto Voghera, diretto discentente di
Shadal, e da Shaul Bassi, professore all’Università Ca’ Foscari di
Venezia e presidente del Centro Veneziano di Studi Ebraici
Internazionali.
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QUI ROMA
Un calcio al pregiudizio
Per
vincere il pregiudizio reciproco, per abbattere barriere e
incomprensioni, poche strade portano a risultati tangibili come lo
sport. È il convincimento che ha animato gli ideatori delle Olimpiadi
interreligiose per la pace in programma domenica a Roma (Parco della
Madonnetta, il via alle 9).
Corsa, Calcio a 5, Pallavolo, Basket, Burraco, Tennis, Cricket. Sono le
discipline in cui giovani sportivi di diverse sensibilità religiose e
culturali si confronteranno per lanciare, singolarmente e
collettivamente, un messaggio di amicizia.
A tenere le redini del torneo, tra gli altri, il neo presidente della
Comissione Sport della Comunità ebraica romana Amos Tesciuba. “Siamo un
gruppo di amici, che credono nel valore dello sport come ponte tra i
popoli. Una sfida che – afferma – vorremmo alimentare e riempire di
nuovi significati”.
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QUI TORINO - lutto nel giornalismo italiano
Vera Schiavazzi (1960-2015)
Grande
cronista e interprete della Torino più autentica, Vera Schiavazzi
possedeva ogni chiave per comprendere e per raccontare lontano dagli
stereotipi i segreti di una città affascinante e difficile e
condivideva con gli amici e con i propri lettori l’arte di stare
immancabilmente e senza imbarazzi a proprio agio nei salotti più
impolverati o con gli operai delle periferie diseredate. È stata
un’amica straordinaria, ma soprattutto, per molti giovani, un esempio e
una maestra di rigore e di professionalità giornalistica.
Mancherà a noi, soprattutto ai colleghi che hanno avuto la fortuna di
incontrarla agli inizi del loro praticantato. Ma mancherà, per l’amore
e la coerenza da sempre rivolti alla propria città, a tutti i lettori
che vogliono continuare a trovare sulle pagine dei giornali parole
degne di essere lette.
Eravamo sul Monte dei Cappuccini nello splendore delle mezze stagioni
che rende l’altra riva di Torino inimitabile a sfogliare assieme le
pagine di Guido Gozzano, che della città piemontese e delle sfumature
di una certa discreta identità fu forse l’interprete più alto. Solo un
attimo rubato alla pressione del lavoro quotidiano, sospeso e ora
fissato in eterno.
Una torinese orgogliosa della sua vita da cronista, coerente, onesta,
che giorno dopo giorno ha tenuto alta la migliore tradizione
giornalistica piemontese, ma con qualcosa in più che traspariva
inconfessato, veniva dal mare, e scaturiva dalle sue origini dalmate.
La necessità di chiamare le cose e le persone con il proprio nome,
adottato proprio da lei, che aveva una profonda conoscenza
dell’ambiente valdese ed ebraico di Torino, le consentiva a pieno
titolo di definire con somma ragione e ammirevole franchezza “una
temibile testa di c.” lo sciocco inopportuno e imprudente che
pretendeva di smentire ingiustificatamente a suo comodo gli articoli da
lei firmati. E soprattutto, soprattutto quel gusto di guardare più
lontano, di offrirsi all’aria e al vento, di farsi trovare in piedi
all’ultimo appuntamento.
A Olga, a Davide, agli amici, a tutti i lettori di Vera il commosso
saluto di questa redazione. Che il suo ricordo sia di costante esempio
e di benedizione per i giovani che continuano a credere nel lavoro del
giornalista.
g.v
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Nemici variabili |
Nel
corso della storia ogni popolo incontra una serie di persecutori e
nemici che poi magari in epoche successive diventeranno amici mentre
varie ragioni spingeranno a indirizzare odio e ostilità in altre
direzioni, anche a costo di ritoccare un po’ la storia. Noi ebrei siamo
stati per due millenni vittime di una simile trasposizione, da quando
il Cristianesimo, divenuto religione ufficiale dell’Impero Romano che
lo aveva inizialmente perseguitato, dovendo inevitabilmente convivere
con la cultura latina e, anzi, inglobarla nel proprio sistema di
valori, ha avuto bisogno di trovare qualcun altro contro cui sfogarsi.
A volte notiamo curiose continuità.
Anna Segre, insegnante
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Demenza digitale |
Dalla
recente intervista sull’Espresso al Rav Di Segni sul tema “Noi ebrei
esempio di integrazione” emergono le seguenti domande, che per quanto
forse scomode, non possono restare troppo a lungo tralasciate: Come si
relazioneranno i “nuovi” europei di estrazione arabo-islamica nei
confronti della componente ebraica e di Israele? Quale sarà la risposta
delle destre radicali nei riguardi degli ultimi esodi? Quali nuovi o
vecchi sentimenti continueranno a dominare in seno al mondo cattolico
nei confronti della religione ebraica?
A questi quesiti, si aggiungono le reazioni degli internauti
all’articolo di Di Segni sulla pagina Facebook dell’Espresso scandite
da insulti, continui riferimenti alla questione palestinese (come se
l’intervista fosse stata rivolta a un rappresentante dello stato
israeliano), vecchi pregiudizi antisemiti sulla dubbia fedeltà degli
ebrei alla “patria”…
Francesco Moises Bassano, studente
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Un progetto per lo Shabbat |
Da
stasera scatta "Shabbat Project", un progetto che vede coinvolte tutte
le comunità ebraiche del mondo con un unico obiettivo comune: vivere
uno shabbat tutti insieme. Da sempre, ogni venerdì ci auguriamo
"shabbat shalom". Mai come in questi giorni questo augurio è tanto
azzeccato. Domani si legge anche "Lech Lechà", comunemente tradotto con
"Vai verso te stesso". Se tutti iniziassero ad andare verso se stessi,
non ci sarebbe né tempo né bisogno di andare uno contro l'altro.
Shabbat shalom.
Ilana Bahbout
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