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23 Ottobre 2015 - 10 Cheshvan 5775
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Motivi personali e motivi nazionali mi hanno spinto in questi giorni a pensare al senso delle eredità. Cosa ereditiamo dai nostri padri? Ereditiamo le loro speranze? Le loro aspettative? Ereditiamo i loro rancori? I loro egoismi? E cosa dobbiamo riscattare per noi e cosa dobbiamo ricevere in maniera automatica? Dove inizia la nostra autonomia e dove finisce il peso ereditario dei pensieri e delle opinioni? I “padri” sono un limite o una partenza? E pensare da soli è un tradimento verso i padri o una benedizione verso quelli che tra loro ci hanno insegnato a farlo? Viene in mente un passaggio dei Pirkè Avot, 2,12: “Rabbi Yosè diceva: “Ti sia caro il denaro del tuo compagno quanto il tuo e predisponiti a studiare la Torà perché essa non ti viene data in eredità e tutte le tue azioni siano per fini religiosi (leshem shammaim)”. La Torà, come il sapere, come la conoscenza, come la coscienza, come il discernimento non sono beni che si possono ereditare. Ditelo al professore e storico Benzion Netanyahu, che riposi in pace.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Credo che si potrebbe scrivere un libro sulla storia del rapporto fra civiltà ebraica e il concetto di sicurezza. L’idea di poter vivere in un luogo senza subire violenze e godendo di una sufficiente tranquillità per poter esercitare le proprie attività serenamente è sempre stata un elemento centrale. Una questione legata naturalmente allo status di minoranza. Si potrebbe andare molto indietro nel tempo, ma pensiamo alla richiesta che emerge nelle condotte ai prestatori ebrei ashkenaziti nel medioevo: provenivano dalle tragiche esperienze dell’epoca delle crociate, dai massacri della peste nera dovuti alla falsa accusa dell’avvelenamento dei pozzi, e allora quando venivano invitati in una città a fare i prestatori pretendevano clausole proprio legate alla sicurezza.
 
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Washington critica Bibi: "Retorica pericolosa"
Numerosi gli incontri diplomatici in corso per trovare una soluzione al complesso calderone mediorientale nei suoi diversi scenari di crisi. Ieri a Berlino meeting tra il segretario di Stato americano John Kerry e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, cui il portavoce della Casa Bianca si è rivolto rimproverandogli – come riporta la Stampa – “una retorica delle provocazioni che non giova al contenimento delle violenze”.
Le recenti dichiarazioni del primo ministro sulla Shoah continuano ad essere oggetto di valutazioni e approfondimenti. Sul Corriere della sera Donatella Di Cesare, accusandolo di non aver capito il significato di Auschwitz, descrive le sue parole come “agghiaccianti”.
“Hitler sapeva bene cosa voleva e da tempo, non si stava di certo attardando a realizzarlo. Al contrario – scrive Tiziana Della Rocca sul Fatto Quotidiano – stava mettendo a punto la sua macchina di distruzione così da renderla più efficace”.
Spezza invece una lancia a favore Giulio Meotti (Il Foglio), che riconosce a Netanyahu il merito di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica la figura del Gran Mufti e il suo stretto legame con Hitler. “Incolpando il Mufti – si legge sul Foglio – Netanyahu indica l’origine dell’Intifada: non ‘l’occupazione’, ma l’antisemitismo”.
 
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  davar
ISRAELE
Kerry, Netanyahu, Abu Mazen Dialogo per riportare la calma
Cauto ottimismo. Ad esprimerlo il segretario di Stato americano John Kerry dopo l'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Berlino. Sul tavolo, il tentativo di riportare per vie diplomatiche la calma in Israele e nei territori palestinesi, dopo giorni di attentati terroristici e violenze. Il primo segno di apertura arriva da Gerusalemme, con la decisione del governo Netanyahu di sospendere le restrizioni legate all'accesso per i musulmani alla Spianata delle Moschee (per l'ebraismo, Monte del Tempio). Nonostante il movimento terroristico di Hamas abbia invocato per l'ennesima volta un “venerdì della rabbia”, incitando la popolazione a colpire Israele, le autorità hanno deciso di permettere a tutti i fedeli musulmani di recarsi al complesso della moschea Al Aqsa per pregare. Proprio questo luogo nelle scorse settimane è stato il teatro principale della rivolta palestinese, con il lancio di molotov e massi poi trasformatisi in un'ondata di attacchi terroristici contro civili e soldati israeliani. Per limitare gli scontri, Israele, che controlla l'accesso al Monte del Tempio, aveva imposto un limite di età, permettendo solo ai fedeli con più di quarant'anni di entrare nel sito, la cui gestione è affidata alla Giordania. La sospensione delle restrizioni è stato interpretato dalla stampa israeliana come un tentativo di apertura e di allentare la tensione da parte di Gerusalemme. In cambio Netanyahu chiede alla Giordania e all'Autorità palestinese di dichiarare pubblicamente che Israele non ha violato lo status quo dell'area del Monte del Tempio.
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QUI PADOVA - A 150 ANNI DALLA SCOMPARSA
Shadal, luce per le generazioni
Il costante dialogo fra tradizione e ricerca scientifica, fra le lezioni del passato e la vita nella modernità. Fu questo l’aspetto predominante nella vita e nel lavoro di Samuel David Luzzatto, noto con l’acronimo di Shadal, Maestro italiano dell’Ottocento, personalità centrale del Collegio Rabbinico di Padova, il cui pensiero divenne un punto di riferimento a livello mondiale per gli studiosi di giudaismo. Ebraista e poeta, storico ed esegeta biblico, traduttore e bibliografo, la sua figura versatile sarà al centro di una conferenza internazionale organizzata per questa domenica a Padova dalla Comunità ebraica con il patrocinio dell’Università cittadina, in occasione dei 150 anni dalla sua scomparsa, avvenuta la sera del giorno di Kippur del 1865. “Samuel David Luzzatto – Opinioni a confronto” il tema della giornata, che si svolgerà al Teatro Ruzzante e vedrà impegnati vari studiosi e rabbini, coordinati dallo storico Gadi Luzzatto Voghera, diretto discentente di Shadal, e da Shaul Bassi, professore all’Università Ca’ Foscari di Venezia e presidente del Centro Veneziano di Studi Ebraici Internazionali.
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QUI ROMA
Un calcio al pregiudizio
Per vincere il pregiudizio reciproco, per abbattere barriere e incomprensioni, poche strade portano a risultati tangibili come lo sport. È il convincimento che ha animato gli ideatori delle Olimpiadi interreligiose per la pace in programma domenica a Roma (Parco della Madonnetta, il via alle 9).
Corsa, Calcio a 5, Pallavolo, Basket, Burraco, Tennis, Cricket. Sono le discipline in cui giovani sportivi di diverse sensibilità religiose e culturali si confronteranno per lanciare, singolarmente e collettivamente, un messaggio di amicizia.
A tenere le redini del torneo, tra gli altri, il neo presidente della Comissione Sport della Comunità ebraica romana Amos Tesciuba. “Siamo un gruppo di amici, che credono nel valore dello sport come ponte tra i popoli. Una sfida che – afferma – vorremmo alimentare e riempire di nuovi significati”.
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ROMA - IL COMPLESSO MAGISTERO DI RAV HAZANQ
Tra emancipazione e tradizione, la traccia viva di un Maestro
Un personaggio scomodo e allo stesso tempo visionario. Israel Moshe Hazan fu il rabbino capo di Roma nella prima metà dell’Ottocento, uno dei primi ad arrivare dall’Oriente, e causò un vero e proprio scossone nella comunità millenaria. A tracciarne il profilo è stato uno dei suoi massimi studiosi, il professor Yaron Harel, direttore del dipartimento di storia ebraica alla Bar Ilan University, nel corso del seminario “The Role of Rabbis in Changing Times in the Thought of Rabbi Yisrael Moshe Hazan” organizzato dal Master Internazionale di II livello in didattica della Shoah dell’Università Roma Tre in collaborazione con l’International Colloquium “Between the East and the West- International Center for Modern Jewish Civilization and Israel Studies”, Europa Ricerca Onlus e il Collegio Rabbinico Italiano.
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A TRIESTE UN CONVEGNO INTERNAZIONALE
Da Finzi a Castelnuovo-Tedesco, spartiti e note contro l'oblio
“I compositori e i musicisti ebrei italiani durante il fascismo”. È il titolo di un denso e articolato convegno organizzato nell’ambito della seconda edizione del Festival Viktor Ullmann, dedicato alla musica concentrazionaria e degenerata, in collaborazione con il dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Trieste. L'appuntamento è per lunedì mattina, ore 9.30, presso la
sala Victor De Sabata del Teatro Lirico Giuseppe Verdi.

(Nell'immagine un precedente appuntamento del festival nella sinagoga triestina)Leggi
QUI TORINO - lutto nel giornalismo italiano 
Vera Schiavazzi (1960-2015)
Grande cronista e interprete della Torino più autentica, Vera Schiavazzi possedeva ogni chiave per comprendere e per raccontare lontano dagli stereotipi i segreti di una città affascinante e difficile e condivideva con gli amici e con i propri lettori l’arte di stare immancabilmente e senza imbarazzi a proprio agio nei salotti più impolverati o con gli operai delle periferie diseredate. È stata un’amica straordinaria, ma soprattutto, per molti giovani, un esempio e una maestra di rigore e di professionalità giornalistica.
Mancherà a noi, soprattutto ai colleghi che hanno avuto la fortuna di incontrarla agli inizi del loro praticantato. Ma mancherà, per l’amore e la coerenza da sempre rivolti alla propria città, a tutti i lettori che vogliono continuare a trovare sulle pagine dei giornali parole degne di essere lette.
Eravamo sul Monte dei Cappuccini nello splendore delle mezze stagioni che rende l’altra riva di Torino inimitabile a sfogliare assieme le pagine di Guido Gozzano, che della città piemontese e delle sfumature di una certa discreta identità fu forse l’interprete più alto. Solo un attimo rubato alla pressione del lavoro quotidiano, sospeso e ora fissato in eterno.
Una torinese orgogliosa della sua vita da cronista, coerente, onesta, che giorno dopo giorno ha tenuto alta la migliore tradizione giornalistica piemontese, ma con qualcosa in più che traspariva inconfessato, veniva dal mare, e scaturiva dalle sue origini dalmate. La necessità di chiamare le cose e le persone con il proprio nome, adottato proprio da lei, che aveva una profonda conoscenza dell’ambiente valdese ed ebraico di Torino, le consentiva a pieno titolo di definire con somma ragione e ammirevole franchezza “una temibile testa di c.” lo sciocco inopportuno e imprudente che pretendeva di smentire ingiustificatamente a suo comodo gli articoli da lei firmati. E soprattutto, soprattutto quel gusto di guardare più lontano, di offrirsi all’aria e al vento, di farsi trovare in piedi all’ultimo appuntamento.
A Olga, a Davide, agli amici, a tutti i lettori di Vera il commosso saluto di questa redazione. Che il suo ricordo sia di costante esempio e di benedizione per i giovani che continuano a credere nel lavoro del giornalista.


g.v
pilpul
Nemici variabili
Nel corso della storia ogni popolo incontra una serie di persecutori e nemici che poi magari in epoche successive diventeranno amici mentre varie ragioni spingeranno a indirizzare odio e ostilità in altre direzioni, anche a costo di ritoccare un po’ la storia. Noi ebrei siamo stati per due millenni vittime di una simile trasposizione, da quando il Cristianesimo, divenuto religione ufficiale dell’Impero Romano che lo aveva inizialmente perseguitato, dovendo inevitabilmente convivere con la cultura latina e, anzi, inglobarla nel proprio sistema di valori, ha avuto bisogno di trovare qualcun altro contro cui sfogarsi. A volte notiamo curiose continuità.

Anna Segre, insegnante
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Demenza digitale
Dalla recente intervista sull’Espresso al Rav Di Segni sul tema “Noi ebrei esempio di integrazione” emergono le seguenti domande, che per quanto forse scomode, non possono restare troppo a lungo tralasciate: Come si relazioneranno i “nuovi” europei di estrazione arabo-islamica nei confronti della componente ebraica e di Israele? Quale sarà la risposta delle destre radicali nei riguardi degli ultimi esodi? Quali nuovi o vecchi sentimenti continueranno a dominare in seno al mondo cattolico nei confronti della religione ebraica?
A questi quesiti, si aggiungono le reazioni degli internauti all’articolo di Di Segni sulla pagina Facebook dell’Espresso scandite da insulti, continui riferimenti alla questione palestinese (come se l’intervista fosse stata rivolta a un rappresentante dello stato israeliano), vecchi pregiudizi antisemiti sulla dubbia fedeltà degli ebrei alla “patria”…


Francesco Moises Bassano, studente
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Un progetto per lo Shabbat
Da stasera scatta "Shabbat Project", un progetto che vede coinvolte tutte le comunità ebraiche del mondo con un unico obiettivo comune: vivere uno shabbat tutti insieme. Da sempre, ogni venerdì ci auguriamo "shabbat shalom". Mai come in questi giorni questo augurio è tanto azzeccato. Domani si legge anche "Lech Lechà", comunemente tradotto con "Vai verso te stesso". Se tutti iniziassero ad andare verso se stessi, non ci sarebbe né tempo né bisogno di andare uno contro l'altro. Shabbat shalom.

Ilana Bahbout





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