Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Lekh
Lekhà, dice Dio ad Abramo. Vai verso il tuo specifico ed unico compito
nel mondo, spiega il rebbe di Slonim. E ciò vale per ciascuno di noi.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Non
mi scalda tanto la dichiarazione circa il Muftì come vero ispiratore
dello sterminio. Non mi preoccupano le boutades dei politici, ma le
loro ossessioni e lo share di consensi che registrano.
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Kerry e Abdallah:
“Sorvegliamo la Spianata” |
Telecamere
accese 24 ore su 24 a vigilare sulla Spianata delle Moschee. È la
decisione congiunta presa dal segretario di Stato americano John Kerry
e dal re di Giordania Abdallah, riportata oggi sui maggiori quotidiani.
Le telecamere servirebbero a dimostrare che Israele non vuole violare
in alcun modo lo status quo vigente sul sito sacro e dovrebbero porre
fine all’escalation di violenze palestinesi. Per placare le tensioni,
Kerry ha infatti assicurato che “Israele continuerà a rispettare
pienamente il ruolo della Giordania come custode della Spianata” e “a
garantire il fatto fondamentale che lì pregano i musulmani e gli altri
vanno solo in visita”. Nuove aggressioni intanto da parte di terroristi
palestinesi: due i tentativi di accoltellamento a Jenin e a Gerusalemme
(Corriere della sera, tra gli altri).
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claudio magris - non luogo a procedere "Dico no al veleno della Storia" Il
numero di novembre del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche,
in distribuzione nei prossimi giorni, dedica molte pagine a Non luogo a
procedere, il nuovo romanzo e probabilmente la più alta prova
letteraria dell'insigne scrittore e germanista Claudio Magris.
Anticipiamo ai lettori i contenuti di alcuni servizi, mentre lo stesso
Magris si accinge, questa sera alle 21, nel teatro Franco Parenti, a
chiudere, assieme a Ferruccio De Bortoli, le giornate culturali
milanesi di Bookcity.
Francoforte,
ottobre 2009. Nel giorno in cui la Buchmesse, il massimo momento
d’incontro dell’editoria mondiale, chiude i battenti, l’insigne
germanista e scrittore Claudio Magris attraversa la piazza dove nel
maggio del 1933 i nazisti bruciavano i libri, poi sale i gradini della
Paulskirche, il tempio della democrazia tedesca, per accettare il
Friedenspreis, primo italiano a ricevere il più prestigioso
riconoscimento culturale europeo. Ai mille invitati che assieme al
Nobel per la letteratura Herta Mueller lo accolgono calorosamente tocca
un discorso d’accettazione del tutto inatteso, l’evocazione di un
personaggio inquietante e per molti del tutto sconosciuto. “A Trieste –
esordisce Magris – nei grandi capannoni e cortili di una vecchia
caserma abbandonata, si possono vedere, affiancati o sparsi in
disordine come carcasse di mostri marini lasciati su una spiaggia dal
riflusso di un maremoto, carri armati, sommergibili squarciati, cannoni
anticarro, autoblinde, aeroplani dall’ala fracassata; in altri vani si
allineano relitti guerreschi più piccoli, gavette sfondate, cornette
telefoniche da campo strappate, bossoli, elmetti, manifesti di guerra.
Un tempo quello era il regno di un personaggio bizzarro, Diego de
Henriquez…”.
Sei anni dopo, all’indomani della pubblicazione della sua più recente e
probabilmente della sua più alta prova letteraria, il nostro incontro è
ancora a Francoforte e ancora al margine della grande fiera dove
l’editoria che conta si dà appuntamento. Il gruppo editoriale Mauri
Spagnol, che controlla le edizioni Garzanti, sfoggia con orgoglio
questo fresco di stampa Non luogo a procedere
in cui Magris dà corpo all’ossessionante ombra del professor De
Henriquez per poi prendere liberamente il largo della grande
letteratura. Lasciamo ad altre pagine del giornale l’analisi di una
prova letteraria di grande forza e di grande significato per il mondo
ebraico e per tutti coloro che amano la libertà e la pace, e ascoltiamo
il racconto dell’autore.
“La figura di De Henriquez che evocai allora a Francoforte – confessa
Magris – mi assillava già al tempo e ha continuato a seguirmi in questi
anni. Non luogo a procedere è dichiaratamente ispirato alla vita e al
dramma di questo personaggio. Detto questo è però necessario chiarire
che ho voluto scrivere un libro di creazione letteraria e di libero
pensiero, non la biografia di un personaggio realmente esistito.
Sarebbe arbitrario nei confronti di De Henriquez, che ebbe una vita
estremamente complessa, e nei confronti di quello che ho scritto”.
Questo personaggio, professore, lei lo incontrò più volte.
Certo, l’ho incontrato. Mi veniva incontro negli ultimi anni della sua
vita parlandomi in tedesco di tante sue ossessioni e di tante idee
smisurate, del progetto di costruire un museo della guerra per la pace,
di teorie scientifiche assai strampalate, della sua ossessione di
annotare ogni dettaglio della vita reale. Quei dettagli che oggi si
trovano nell’immenso corpus dei suoi diari.
Fu allora che cominciò a suscitare la sua curiosità?
A Trieste non è infrequente incontrare personaggi originali. Ma lui,
che si occupava di collezionare armamenti pesanti e altre diavolerie,
in realtà mi aiutò a comprendere meglio quello quello che aveva detto
Svevo: non c’è nulla di più originale della vita. La vita è così
originale che di inventare quasi ti passa la voglia.
Qualche esempio?
I Lager dell’Isola calva (Goli Otok) nell’alto Adriatico. Qui, a pochi
passi dal confine italiano, nella Jugoslavia di Tito finirono non solo
fascisti ustascia macchiatisi di orrendi crimini durante la Seconda
guerra mondiale e alcuni delinquenti comuni, ma anche e soprattutto
deportati politici e, quei comunisti, compagni nella lotta di
resistenza partigiana contro nazismo e fascismo che, quando Tito nel
1948 ruppe con Stalin, erano rimasti fedeli, per fede nell’idea
universale marxista, al comunismo ortodosso. Fra loro anche circa
duemila italiani, militanti comunisti che avevano conosciuto le galere
fasciste e i campi nazisti, che si erano battuti in Spagna contro
Franco ed erano andati con entusiasmo in Jugoslavia per contribuire a
edificare il socialismo nel Paese più vicino. In quell’inferno,
sottoposti a maltrattamenti e torture, ignorati da tutti, resistettero
eroicamente e paradossalmente in nome di Stalin, massimo inventore di
Gulag. Quando, dopo alcuni anni, i superstiti furono liberati e
tornarono in Italia, vennero tartassati dalla polizia quali pericolosi
comunisti provenienti dall’Est e osteggiati dal Pci quali scomodi
testimoni della politica stalinista del partito che si voleva
dimenticare. Ma il supremo paradosso è che infine trovarono le loro
abitazioni occupate dai profughi istriani, a loro volta giunti in
Italia per fuggire alla dittatura.
Non è la sola terribile beffa del Novecento.
No di certo. E incessantemente la realtà mette in guardia la
letteratura e travalica la fantasia. Nessuno avrebbe potuto inventare
la conferenza di Wannsee e soprattutto chi avesse immaginato la Shoah
sarebbe stato probabilmente preso per pazzo. È proprio la Shoah,
l’orrore che non può essere assimilato ad alcun altro orrore, il punto
più inimmaginabile dove la realtà ci ha condotti.
Eppure, come Non luogo a procedere mette in evidenza, neppure questo è bastato a metterci al riparo dall’odio e dalla guerra.
Proprio questa è la lezione che il Novecento ci ha riservato. La
speranza tradita, l’ideale di una nuova umanità che avrebbe posto fine
a ogni conflitto sono evidentemente idee destituite di fondamento.
Anzi, direi che con lo scorrere del tempo viene a nudo una sempre
maggiore mancanza di senso nelle cose. Parliamo di terza, di quarta
guerra mondiale, ma non sappiamo più chi combatte contro chi. Assad, è
un nostro nemico o un nostro amico? Le ondate di odio e distruzione cui
stiamo assistendo, da cosa sono realmente originate? E dove possono
condurci? E la filosofia, la letteratura tornano in gioco con i loro
segnali inquietanti, dall’ideale dell’Ultrauomo di Nietsche alle
catastrofiche previsioni di Svevo.
È il segno della fine degli ideali, delle speranze?
Una volta ho accompagnato alle porte di Trieste il grande storico
austriaco Adam Wandruszka, in un cimitero militare austroungarico dove
è sepolto suo padre, morto sul Carso per difendere i confini
dell’Impero. Allora mi ha raccontato che partendo per il fronte il
padre aveva lasciato alla moglie incinta il desiderio, se fosse nato un
maschio, di dargli il nome del primo uomo. Da quella guerra, diceva con
convinzione, sarebbe nato l’uomo nuovo, fraternamente amico di tutti
gli altri, perché dopo quella guerra non ce ne sarebbero state mai più
altre e il mondo sarebbe divenuto – o ritornato – un paradiso
terrestre. Sappiamo tutti quello che è seguito.
E sappiamo che ancora e ancora di nuovo la realtà ha superato agevolmente la fantasia.
Se così non fosse non avremmo l’incubo del ritorno agli orrori del
passato. Quello che avvenne cento anni fa con il primo conflitto
mondiale portò direttamente alla Seconda guerra. Se la realtà non
avesse sopravanzato la fantasia e il delirio hitleriano non avesse
concepito il tentativo mostruoso e demenziale di distruggere il popolo
ebraico, forse le dittature europee sarebbero rimaste al loro posto
molto a lungo.
La verità è che il popolo ebraico ha pagato per tutti e a costo di
indicibili sofferenze il prezzo della nostra libertà portando da solo
il peso della salvezza del mondo.
Si parla continuamente di Memoria, ma cosa dobbiamo davvero trasmettere ai giovani di quello che avvenne?
Dobbiamo dire loro che non si parla mai con chi ti punta il coltello
alla gola. Non c’è posto per il pacifismo quando si affronta una
minaccia mortale. Che quelli erano stati tempi, come ha spiegato Thomas
Mann, in cui tutto era facile proprio perché tutto era difficile.
Che cosa intendeva dire, effettivamente, il massimo rappresentante dell’Altra Germania?
Mann disse ironicamente che gli anni della durissima opposizione alla
dittatura furono i tempi più facili. Perché ogni scelta era chiara e
chi voleva stare dalla parte della morale sapeva bene cosa scegliere.
Nei suoi recenti interventi proprio in relazione a Non luogo a procedere ha evocato i nomi di altri grandi personaggi ingiustamente dimenticati, come Elody Oblath, Enrico Rocca ed Ercole Miani.
È vero. Hanno rappresentato in pieno la tragedia di chi è costretto a
scegliere fra la verità e la patria. La loro esistenza, il loro tragico
destino, il conflitto insanabile fra amore per la patria, amore per la
libertà, segno identitario. “Ogni nostra azione – scriveva Rocca,
l’ebreo goriziano, forse il germanista più geniale e misconosciuto che
ci fu donato e morì suicida nel 1944 di fronte alla vergogna della
patria – è un seme di cui non si conosce il frutto”.
È questo il non luogo a procedere, l’enigma ultimo del libro?
Sul territorio della scrittura, per ripercorrere i nostri destini ho
cercato di coniugare l’yiddish e il creolo. E in fondo volevo dire che
la letteratura non è una parentesi nella vita, ma è una forza che
cambia e trascina le esistenze. Può rappresentare la nostra ultima
speranza, la nostra ultima possibile via d’uscita, l’unica decisione
che ci dà la forza di opporci al male che ci opprime.
Guido Vitale
Il disegno è di Giorgio Albertini.
(Pagine Ebraiche, novembre 2015)
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claudio magris - non luogo a procedere
Un libro, tre ombre da ritrovare
Elody
Oblath Stuparich, Enrico Rocca, Ercole Miani. Nei suoi scritti recenti
e nei suoi interventi pubblici Claudio Magris dissemina i ragionamenti
e i racconti di citazioni, di esempi, di frammenti della vita di
personaggi straordinari, ma ancora poco conosciuti al grande pubblico
che legge i suoi libri. Di fronte ai richiami che distribuisce con
elegante moderazione c’è chi raccoglie, ma molti altri restano
interdetti e in omaggio al perbenismo culturale italiano non hanno
nemmeno il coraggio di confessarlo. Ecco una piccola guida per
cominciare a districarsi fra i punti di riferimento che lo scrittore
lascia lungo il nostro itinerario. E per cominciare una autentica
ricerca. Elody Oblath fu amica
della prima voce dell’irredentismo triestino Scipio Slataper, autore di
Il mio Carso, e sposò Giani Stuparich. La sua forte identità ebraica,
il suo determinato rivendicare un destino libero e autonomo per il
mondo femminile e i documenti scritti ne fanno una testimone capace di
immenso valore letterario che visse troppo presto per il suo tempo e
mise in luce l’esaltazione collettiva dei giovani intellettuali a
favore della guerra. Un carattere nomade, dotato di forte aspirazione
alla libertà, di combattivo amore per la natura contrapposto al
conformismo imperante. “Essere nessuno e non avere più nulla” invocò,
deportata alla Risiera di San Sabba, in una poesia del 1944.
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claudio magris - non luogo a procedere La città dell'yiddish e del creolo
La
letteratura, quella vera, infligge cicatrici profonde. Invade la vita,
ne cambia il corso e si lascia contemporaneamente attraversare dalla
paradossale enormità dell’esistenza. La letteratura non è invenzione. A
quella, purtroppo, pensa già l’esistenza quotidiana, che è sempre più
grande e più dolorosa di ogni nostra più fervida fantasia. È piuttosto
un modo di regolare i conti con il nostro destino, di fissare la vita e
di farla scorrere in qualche modo negli argini che possono esserci
comprensibili. Giunto alla sua più difficile e più alta prova
letteraria, con questo Non luogo a procedere (Garzanti editore) che
arriva ora in libreria, Claudio Magris, già celebrato fra i massimi
scrittori esistenti e fra le voci più autorevoli della cultura europea,
prova a salire ancora un gradino. E lo fa con un romanzo che tenta di
coniugare l’estremo particolare con l’estremo universale. Non è infatti
la grandezza effettiva, la centralità geografica, che possa garantire
l’universalità di un’idea, così come non è la tronfia celebrazione fine
a se stessa del particolarismo esasperato, a dare a un’opera il respiro
dell’universalità. È piuttosto lo sguardo, la sensibilità di chi si
prende carico di scrivere, a fare del molto vicino un luogo dove tutti
i lettori possano ritrovarsi. Per avvicinarsi a Non luogo a procedere,
il romanzo che torna all’ossessione della guerra, della violenza, della
persecuzione e la legge come un maleficio inestricabile dalla vita
stessa, Claudio Magris riparte da Trieste, né avrebbe potuto fare
altrimenti. Triestino, e spaventosamente reale, terribilmente
raggiungibile eppure inevitabilmente straniante, lo sfondo da cui
prende le mosse. La Trieste contesa e calpestata, teatro delle peggiori
atrocità, dello scontro e dell’incontro delle tre anime d’Europa, la
latina, la germanica e la slava, casa apparentemente indifferente e
silenziosa dell’unico forno crematorio che offuscò il cielo italiano,
luogo per cento anni di indicibili sofferenze e inconfessabili passioni.
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claudio magris - non luogo a procedere
Diari salvati, diari sommersi
"Anche
le opere diaristiche più estese non riescono ad eguagliare la mole dei
diari ancora inediti del professor Diego De Henriquez. Il corpus del
suo lavoro è valutabile in 300 volumi per un totale di circa 50mila
pagine. A questo va aggiunto il suo archivio, composto
approssimativamente da un milione di schede”. I mitici diari di Diego
De Henriquez trattano prevalentemente di ogni cosa abbia a che fare con
il concetto di ‘difesa’, dai microorganismi agli esseri umani. Ampi
spazi sono dedicati alla raccolta di graffiti da lui rinvenuti nelle
latrine di tutta Europa, tanto da formarne una sorta di almanacco
dell’erotismo popolare. Si tratta di un corpus immenso che quantomeno
sotto il profilo quantitativo non ha confronti con altri modelli della
letteratura europea, e di una combinazione con elementi di conoscenza
scientifica e di introspezione psicologica e parapsicologica. Le sue
ricerche portano all’esplorazione di una quarta dimensione. Gli
esperimenti diaristici di De Henriquez possiedono così una dimensione
magica e rendono visibile il confine, ma in effetti non hanno nulla a
che vedere con un’interpretazione mistica…”. Così Gustav René Hocke nel
suo leggendario studio enciclopedico Europaeische Tagebuecher aus vier Jahrhunderten (Quattro secoli di diaristica europea),
redatto in Roma e pubblicato a Wiesbaden nel 1963. Per la prima volta,
e mentre ancora il suo autore era alacremente all’opera, veniva alla
luce l’oceanica raccolta di diari di cui tanto si sarebbe parlato negli
anni seguenti e che secondo alcuni sarebbe costata infine la vita allo
stesso De Henriquez.
Nell'immagine, uno dei diari di Diego De Henriquez.
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claudio magris - non luogo a procedre Le lunghe ombre della Risiera
Il
suo primo incontro con Diego De Henriquez risale a trent’anni fa.
Allora Veit Heinichen non è ancora diventato il giallista di successo
che conosciamo. Fa l’editore e pubblica, per la Fisher Verlag, il
volume di René Hocke dedicato ai diari europei. Vi compaiono
memorialisti celebri e celebrati come Thomas Mann o Sigmund Freud e con
loro il collezionista triestino, autore del diario più voluminoso della
storia europea (oltre trecento quaderni). Sembra una di quelle
informazioni da Guinness che di solito si dimenticano subito. Se non
fosse che Heinichen inciampa di nuovo su De Henriquez, questa volta nei
panni di scrittore. Lui – che è laureato in economia, ha lavorato alla
Daimler Benz, è stato libraio e poi nell’editoria – si è messo a
scrivere e scala le classifiche con i suoi romanzi che dipanano storie
noir su sfondi di scottante attualità. Intanto, ha lasciato la Germania
e ha messo su casa a Trieste. Qui tutti sanno dello stravagante
professore che collezionava armi e dormiva in una bara, se non altro
perché ogni tanto una nuova polemica che lo richiama in causa.
Heinichen ne sente parlare e riparlare, s’incuriosisce. Sono però
soltanto chiacchiere. Finché su un giornale ritrova la storia
raccontata da un colonnello dei carabinieri, Ferdinando Musella.
Capitano al tempo delle indagini sulle morte di De Henriquez, Musella
dichiara a chiare lettere che non si è trattato di un incidente.
Daniela Gross
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claudio magris - non luogo a procedere
Dalla Shoah alle trame nere
Partiamo
dai diari di De Henriquez. Entriamo nelle celle della Risiera di San
Sabba e finiamo nel mezzo dell’omicidio di Gaetano Perusini, docente
universitario e possidente terriero di Ipplis, Friuli. Da qui ci
spostiamo nel cuore degli anni di piombo: a Peteano, dove nel maggio
1972 tre carabinieri sono ammazzati dai neofascisti; tra le file di
Gladio; all’alba della P2. Potremmo infine ritrovarci a Londra, sotto
il ponte dei Blackfriars, dove nell’82 viene impiccato il banchiere
Roberto Calvi. Sono alcune delle traiettorie, imprevedibili e a prima
vista incredibili seguite da Veit Heinichen in Le lunghe ombre della
morte. Lo scrittore non è però il solo a vedere nella morte di De
Henriquez il primo atto di una trama ancor oggi sottaciuta che dagli
anni dell’occupazione nazista si snoda fino al passato prossimo. A
pensarla così è anche Vincenzo Cerceo, settant’anni, colonnello in
congedo delle Fiamme gialle, vicepresidente dei Finanzieri democratici,
che a Diego De Henriquez e alla sua storia ha dedicato anni di lavoro.
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qui bologna
Gli ebrei e la Grande Guerra,
voci e studiosi a confronto
“Sono
convinta che verranno fuori cose molto interessanti. Il convegno
metterà a fuoco temi di grande interesse, ma non così conosciuti e
recepiti dall’opinione pubblica. La mostra analogamente è segnata da un
alto livello qualitativo. Un’occasione unica per ricostruire uno
spaccato sia della situazione in generale, sia nello specifico del
territorio emiliano-romagnolo”. Vincenza Maugeri, direttrice del Museo
ebraico di Bologna, dà appuntamento a due importanti iniziative
novembrine. L’inaugurazione della mostra “1915/1918 Noi c’eravamo – Gli
Ebrei italiani e la Grande Guerra”, progettata dalla Fondazione Cdec di
Milano con il sostegno dell’UCEI (apertura il 10 novembre, conclusione
17 gennaio). E un prestigioso convegno di studi sul tema che si
svolgerà il giorno successivo. Significativa, viene ricordato, è stata
la partecipazione ebraica al conflitto: combattenti di leva e
volontari, soldati semplici, sottufficiali e ufficiali hanno combattuto
su vari fronti.
Nell’immagine si riconosce primo a destra in piedi il soldato Lello Sonnino.
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Il presente come storia |
Le
recentissime, e vivacemente contestate, affermazioni del premier
Benjamin Netanyahu sulla responsabilità diretta del più importante
leader palestinese degli anni Quaranta nella strategica decisione
nazista di procedere allo sterminio totale di tutti gli ebrei presenti
sul pianeta, a partire da quelli posti sotto il tallone tedesco, non
sono negazioniste. Non negano nulla, infatti, semmai rilanciando, in
modo quasi ossessivo, la centralità del tema della Shoah nella
costruzione dell’identità ebraica contemporanea. E in quella
israeliana. La qual cosa, sta diventando una questione sulla quale
interrogarsi. Poiché diventa quasi una sorta di funzione sostitutiva,
alternativa a quel molto di ciò che l’ebraismo può offrire di sé.
Claudio Vercelli
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SettimanAle - Domande
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Concorso
riservato ai lettori: ma chi lo elegge il presidente del Keren Kayemeth
leIsrael? Al primo che mi saprà dare una risposta soddisfacente invierò
un pensierino. Perché in effetti, dopo aver letto l’articoletto di Zvi
Zrahiya del 20 ottobre ed essermi mentalmente congratulato per
l’elezione del nuovo presidente Daniel Atar (peraltro indagato, nel suo
precedente ruolo, per vicende simili a quelle del nostro sindaco
Marino) mi sono chiesto: ma perché mai il capo del Fondo Nazionale
Ebraico viene eletto, come diceva l’articolo, ad “un congresso del
Partito Laburista”? Apparentemente è stata un’elezione combattuta, con
l’altro candidato laburista Michael Biton ed il presidente uscente Efi
Stenzler che, insieme, hanno ottenuto più voti del vincitore. E tutte
le mie offerte a Sefer, le gestisce un laburista?
Allessandro Treves, neuroscienziato
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In ogni generazione |
Che
sia stato il Gran Muftì di Gerusalemme o Hitler a immaginare ed attuare
quella che sarebbe dovuta essere la soluzione finale, oggigiorno poco
mi importa. In ogni era c’è stato qualcuno – e probabilmente ci sarà –
che avrebbe voluto perpetrare l’eliminazione degli ebrei dalla faccia
dalla terra. Quello su cui oggi mi sono trovata a riflettere sono le
conseguenze della Shoah sulle nuove generazioni, su di noi, figli e
nipoti, anche a distanza di settant'anni.
Claudia Sermoneta
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