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25 ottobre 2015 - 12 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
Lekh Lekhà, dice Dio ad Abramo. Vai verso il tuo specifico ed unico compito nel mondo, spiega il rebbe di Slonim. E ciò vale per ciascuno di noi.
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Non mi scalda tanto la dichiarazione circa il Muftì come vero ispiratore dello sterminio. Non mi preoccupano le boutades dei politici, ma le loro ossessioni e lo share di consensi che registrano.
 
 
 
Kerry e Abdallah:
“Sorvegliamo la Spianata”
Telecamere accese 24 ore su 24 a vigilare sulla Spianata delle Moschee. È la decisione congiunta presa dal segretario di Stato americano John Kerry e dal re di Giordania Abdallah, riportata oggi sui maggiori quotidiani. Le telecamere servirebbero a dimostrare che Israele non vuole violare in alcun modo lo status quo vigente sul sito sacro e dovrebbero porre fine all’escalation di violenze palestinesi. Per placare le tensioni, Kerry ha infatti assicurato che “Israele continuerà a rispettare pienamente il ruolo della Giordania come custode della Spianata” e “a garantire il fatto fondamentale che lì pregano i musulmani e gli altri vanno solo in visita”. Nuove aggressioni intanto da parte di terroristi palestinesi: due i tentativi di accoltellamento a Jenin e a Gerusalemme (Corriere della sera, tra gli altri).
 
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  davar
qui padova -  a 150 anni dalla scomparsa
Shadal, l'eredità di un maestro
È “l’omaggio modestissimo di un discendente dopo quattro generazioni” quello di Amos Luzzatto, ex presidente UCEI e della Comunità ebraica di Venezia nonché bisnipote di Samuel David Luzzatto, ad aprire il convegno dedicato alla figura del grande rabbino organizzato a Padova dalla Comunità ebraica con il patrocinio dell’Università cittadina, in occasione dei 150 anni dalla sua scomparsa. Una conferenza internazionale realizzata sulla scia dei nuovi studi legati alla pubblicazione del Commento alla Torah, dopo la riscoperta dei manoscritti prodotti dai suoi allievi, e in particolare dai fratelli Ya’aqov e Itzhaq Pardo.


Nell'immagine, un ritratto di Shadal. 
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claudio magris - non luogo a procedere
"Dico no al veleno della Storia"
Il numero di novembre del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, in distribuzione nei prossimi giorni, dedica molte pagine a Non luogo a procedere, il nuovo romanzo e probabilmente la più alta prova letteraria dell'insigne scrittore e germanista Claudio Magris. Anticipiamo ai lettori i contenuti di alcuni servizi, mentre lo stesso Magris si accinge, questa sera alle 21, nel teatro Franco Parenti, a chiudere, assieme a Ferruccio De Bortoli, le giornate culturali milanesi di Bookcity.


Francoforte, ottobre 2009. Nel giorno in cui la Buchmesse, il massimo momento d’incontro dell’editoria mondiale, chiude i battenti, l’insigne germanista e scrittore Claudio Magris attraversa la piazza dove nel maggio del 1933 i nazisti bruciavano i libri, poi sale i gradini della Paulskirche, il tempio della democrazia tedesca, per accettare il Friedenspreis, primo italiano a ricevere il più prestigioso riconoscimento culturale europeo. Ai mille invitati che assieme al Nobel per la letteratura Herta Mueller lo accolgono calorosamente tocca un discorso d’accettazione del tutto inatteso, l’evocazione di un personaggio inquietante e per molti del tutto sconosciuto. “A Trieste – esordisce Magris – nei grandi capannoni e cortili di una vecchia caserma abbandonata, si possono vedere, affiancati o sparsi in disordine come carcasse di mostri marini lasciati su una spiaggia dal riflusso di un maremoto, carri armati, sommergibili squarciati, cannoni anticarro, autoblinde, aeroplani dall’ala fracassata; in altri vani si allineano relitti guerreschi più piccoli, gavette sfondate, cornette telefoniche da campo strappate, bossoli, elmetti, manifesti di guerra. Un tempo quello era il regno di un personaggio bizzarro, Diego de Henriquez…”.
Sei anni dopo, all’indomani della pubblicazione della sua più recente e probabilmente della sua più alta prova letteraria, il nostro incontro è ancora a Francoforte e ancora al margine della grande fiera dove l’editoria che conta si dà appuntamento. Il gruppo editoriale Mauri Spagnol, che controlla le edizioni Garzanti, sfoggia con orgoglio questo fresco di stampa Non luogo a procedere in cui Magris dà corpo all’ossessionante ombra del professor De Henriquez per poi prendere liberamente il largo della grande letteratura. Lasciamo ad altre pagine del giornale l’analisi di una prova letteraria di grande forza e di grande significato per il mondo ebraico e per tutti coloro che amano la libertà e la pace, e ascoltiamo il racconto dell’autore.
“La figura di De Henriquez che evocai allora a Francoforte – confessa Magris – mi assillava già al tempo e ha continuato a seguirmi in questi anni. Non luogo a procedere è dichiaratamente ispirato alla vita e al dramma di questo personaggio. Detto questo è però necessario chiarire che ho voluto scrivere un libro di creazione letteraria e di libero pensiero, non la biografia di un personaggio realmente esistito. Sarebbe arbitrario nei confronti di De Henriquez, che ebbe una vita estremamente complessa, e nei confronti di quello che ho scritto”.


Questo personaggio, professore, lei lo incontrò più volte.
Certo, l’ho incontrato. Mi veniva incontro negli ultimi anni della sua vita parlandomi in tedesco di tante sue ossessioni e di tante idee smisurate, del progetto di costruire un museo della guerra per la pace, di teorie scientifiche assai strampalate, della sua ossessione di annotare ogni dettaglio della vita reale. Quei dettagli che oggi si trovano nell’immenso corpus dei suoi diari.

Fu allora che cominciò a suscitare la sua curiosità?
A Trieste non è infrequente incontrare personaggi originali. Ma lui, che si occupava di collezionare armamenti pesanti e altre diavolerie, in realtà mi aiutò a comprendere meglio quello quello che aveva detto Svevo: non c’è nulla di più originale della vita. La vita è così originale che di inventare quasi ti passa la voglia.

Qualche esempio?
I Lager dell’Isola calva (Goli Otok) nell’alto Adriatico. Qui, a pochi passi dal confine italiano, nella Jugoslavia di Tito finirono non solo fascisti ustascia macchiatisi di orrendi crimini durante la Seconda guerra mondiale e alcuni delinquenti comuni, ma anche e soprattutto deportati politici e, quei comunisti, compagni nella lotta di resistenza partigiana contro nazismo e fascismo che, quando Tito nel 1948 ruppe con Stalin, erano rimasti fedeli, per fede nell’idea universale marxista, al comunismo ortodosso. Fra loro anche circa duemila italiani, militanti comunisti che avevano conosciuto le galere fasciste e i campi nazisti, che si erano battuti in Spagna contro Franco ed erano andati con entusiasmo in Jugoslavia per contribuire a edificare il socialismo nel Paese più vicino. In quell’inferno, sottoposti a maltrattamenti e torture, ignorati da tutti, resistettero eroicamente e paradossalmente in nome di Stalin, massimo inventore di Gulag. Quando, dopo alcuni anni, i superstiti furono liberati e tornarono in Italia, vennero tartassati dalla polizia quali pericolosi comunisti provenienti dall’Est e osteggiati dal Pci quali scomodi testimoni della politica stalinista del partito che si voleva dimenticare. Ma il supremo paradosso è che infine trovarono le loro abitazioni occupate dai profughi istriani, a loro volta giunti in Italia per fuggire alla dittatura.

Non è la sola terribile beffa del Novecento.
No di certo. E incessantemente la realtà mette in guardia la letteratura e travalica la fantasia. Nessuno avrebbe potuto inventare la conferenza di Wannsee e soprattutto chi avesse immaginato la Shoah sarebbe stato probabilmente preso per pazzo. È proprio la Shoah, l’orrore che non può essere assimilato ad alcun altro orrore, il punto più inimmaginabile dove la realtà ci ha condotti.

Eppure, come Non luogo a procedere mette in evidenza, neppure questo è bastato a metterci al riparo dall’odio e dalla guerra.
Proprio questa è la lezione che il Novecento ci ha riservato. La speranza tradita, l’ideale di una nuova umanità che avrebbe posto fine a ogni conflitto sono evidentemente idee destituite di fondamento. Anzi, direi che con lo scorrere del tempo viene a nudo una sempre maggiore mancanza di senso nelle cose. Parliamo di terza, di quarta guerra mondiale, ma non sappiamo più chi combatte contro chi. Assad, è un nostro nemico o un nostro amico? Le ondate di odio e distruzione cui stiamo assistendo, da cosa sono realmente originate? E dove possono condurci? E la filosofia, la letteratura tornano in gioco con i loro segnali inquietanti, dall’ideale dell’Ultrauomo di Nietsche alle catastrofiche previsioni di Svevo.

È il segno della fine degli ideali, delle speranze?
Una volta ho accompagnato alle porte di Trieste il grande storico austriaco Adam Wandruszka, in un cimitero militare austroungarico dove è sepolto suo padre, morto sul Carso per difendere i confini dell’Impero. Allora mi ha raccontato che partendo per il fronte il padre aveva lasciato alla moglie incinta il desiderio, se fosse nato un maschio, di dargli il nome del primo uomo. Da quella guerra, diceva con convinzione, sarebbe nato l’uomo nuovo, fraternamente amico di tutti gli altri, perché dopo quella guerra non ce ne sarebbero state mai più altre e il mondo sarebbe divenuto – o ritornato – un paradiso terrestre. Sappiamo tutti quello che è seguito.

E sappiamo che ancora e ancora di nuovo la realtà ha superato agevolmente la fantasia.
Se così non fosse non avremmo l’incubo del ritorno agli orrori del passato. Quello che avvenne cento anni fa con il primo conflitto mondiale portò direttamente alla Seconda guerra. Se la realtà non avesse sopravanzato la fantasia e il delirio hitleriano non avesse concepito il tentativo mostruoso e demenziale di distruggere il popolo ebraico, forse le dittature europee sarebbero rimaste al loro posto molto a lungo.
La verità è che il popolo ebraico ha pagato per tutti e a costo di indicibili sofferenze il prezzo della nostra libertà portando da solo il peso della salvezza del mondo.

Si parla continuamente di Memoria, ma cosa dobbiamo davvero trasmettere ai giovani di quello che avvenne?
Dobbiamo dire loro che non si parla mai con chi ti punta il coltello alla gola. Non c’è posto per il pacifismo quando si affronta una minaccia mortale. Che quelli erano stati tempi, come ha spiegato Thomas Mann, in cui tutto era facile proprio perché tutto era difficile.

Che cosa intendeva dire, effettivamente, il massimo rappresentante dell’Altra Germania?
Mann disse ironicamente che gli anni della durissima opposizione alla dittatura furono i tempi più facili. Perché ogni scelta era chiara e chi voleva stare dalla parte della morale sapeva bene cosa scegliere.

Nei suoi recenti interventi proprio in relazione a Non luogo a procedere ha evocato i nomi di altri grandi personaggi ingiustamente dimenticati, come Elody Oblath, Enrico Rocca ed Ercole Miani.
È vero. Hanno rappresentato in pieno la tragedia di chi è costretto a scegliere fra la verità e la patria. La loro esistenza, il loro tragico destino, il conflitto insanabile fra amore per la patria, amore per la libertà, segno identitario. “Ogni nostra azione – scriveva Rocca, l’ebreo goriziano, forse il germanista più geniale e misconosciuto che ci fu donato e morì suicida nel 1944 di fronte alla vergogna della patria – è un seme di cui non si conosce il frutto”.

È questo il non luogo a procedere, l’enigma ultimo del libro?
Sul territorio della scrittura, per ripercorrere i nostri destini ho cercato di coniugare l’yiddish e il creolo. E in fondo volevo dire che la letteratura non è una parentesi nella vita, ma è una forza che cambia e trascina le esistenze. Può rappresentare la nostra ultima speranza, la nostra ultima possibile via d’uscita, l’unica decisione che ci dà la forza di opporci al male che ci opprime.

Guido Vitale

Il disegno è di Giorgio Albertini.

(Pagine Ebraiche, novembre 2015)
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claudio magris - non luogo a procedere
Un libro, tre ombre da ritrovare
Elody Oblath Stuparich, Enrico Rocca, Ercole Miani. Nei suoi scritti recenti e nei suoi interventi pubblici Claudio Magris dissemina i ragionamenti e i racconti di citazioni, di esempi, di frammenti della vita di personaggi straordinari, ma ancora poco conosciuti al grande pubblico che legge i suoi libri. Di fronte ai richiami che distribuisce con elegante moderazione c’è chi raccoglie, ma molti altri restano interdetti e in omaggio al perbenismo culturale italiano non hanno nemmeno il coraggio di confessarlo. Ecco una piccola guida per cominciare a districarsi fra i punti di riferimento che lo scrittore lascia lungo il nostro itinerario. E per cominciare una autentica ricerca. Elody Oblath fu amica della prima voce dell’irredentismo triestino Scipio Slataper, autore di Il mio Carso, e sposò Giani Stuparich. La sua forte identità ebraica, il suo determinato rivendicare un destino libero e autonomo per il mondo femminile e i documenti scritti ne fanno una testimone capace di immenso valore letterario che visse troppo presto per il suo tempo e mise in luce l’esaltazione collettiva dei giovani intellettuali a favore della guerra. Un carattere nomade, dotato di forte aspirazione alla libertà, di combattivo amore per la natura contrapposto al conformismo imperante. “Essere nessuno e non avere più nulla” invocò, deportata alla Risiera di San Sabba, in una poesia del 1944.


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claudio magris - non luogo a procedere
La città dell'yiddish e del creolo
La letteratura, quella vera, infligge cicatrici profonde. Invade la vita, ne cambia il corso e si lascia contemporaneamente attraversare dalla paradossale enormità dell’esistenza. La letteratura non è invenzione. A quella, purtroppo, pensa già l’esistenza quotidiana, che è sempre più grande e più dolorosa di ogni nostra più fervida fantasia. È piuttosto un modo di regolare i conti con il nostro destino, di fissare la vita e di farla scorrere in qualche modo negli argini che possono esserci comprensibili. Giunto alla sua più difficile e più alta prova letteraria, con questo Non luogo a procedere (Garzanti editore) che arriva ora in libreria, Claudio Magris, già celebrato fra i massimi scrittori esistenti e fra le voci più autorevoli della cultura europea, prova a salire ancora un gradino. E lo fa con un romanzo che tenta di coniugare l’estremo particolare con l’estremo universale. Non è infatti la grandezza effettiva, la centralità geografica, che possa garantire l’universalità di un’idea, così come non è la tronfia celebrazione fine a se stessa del particolarismo esasperato, a dare a un’opera il respiro dell’universalità. È piuttosto lo sguardo, la sensibilità di chi si prende carico di scrivere, a fare del molto vicino un luogo dove tutti i lettori possano ritrovarsi. Per avvicinarsi a Non luogo a procedere, il romanzo che torna all’ossessione della guerra, della violenza, della persecuzione e la legge come un maleficio inestricabile dalla vita stessa, Claudio Magris riparte da Trieste, né avrebbe potuto fare altrimenti. Triestino, e spaventosamente reale, terribilmente raggiungibile eppure inevitabilmente straniante, lo sfondo da cui prende le mosse. La Trieste contesa e calpestata, teatro delle peggiori atrocità, dello scontro e dell’incontro delle tre anime d’Europa, la latina, la germanica e la slava, casa apparentemente indifferente e silenziosa dell’unico forno crematorio che offuscò il cielo italiano, luogo per cento anni di indicibili sofferenze e inconfessabili passioni.
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claudio magris - non luogo a procedere
Diari salvati, diari sommersi
"Anche le opere diaristiche più estese non riescono ad eguagliare la mole dei diari ancora inediti del professor Diego De Henriquez. Il corpus del suo lavoro è valutabile in 300 volumi per un totale di circa 50mila pagine. A questo va aggiunto il suo archivio, composto approssimativamente da un milione di schede”. I mitici diari di Diego De Henriquez trattano prevalentemente di ogni cosa abbia a che fare con il concetto di ‘difesa’, dai microorganismi agli esseri umani. Ampi spazi sono dedicati alla raccolta di graffiti da lui rinvenuti nelle latrine di tutta Europa, tanto da formarne una sorta di almanacco dell’erotismo popolare. Si tratta di un corpus immenso che quantomeno sotto il profilo quantitativo non ha confronti con altri modelli della letteratura europea, e di una combinazione con elementi di conoscenza scientifica e di introspezione psicologica e parapsicologica. Le sue ricerche portano all’esplorazione di una quarta dimensione. Gli esperimenti diaristici di De Henriquez possiedono così una dimensione magica e rendono visibile il confine, ma in effetti non hanno nulla a che vedere con un’interpretazione mistica…”. Così Gustav René Hocke nel suo leggendario studio enciclopedico Europaeische Tagebuecher aus vier Jahrhunderten (Quattro secoli di diaristica europea), redatto in Roma e pubblicato a Wiesbaden nel 1963. Per la prima volta, e mentre ancora il suo autore era alacremente all’opera, veniva alla luce l’oceanica raccolta di diari di cui tanto si sarebbe parlato negli anni seguenti e che secondo alcuni sarebbe costata infine la vita allo stesso De Henriquez.

Nell'immagine, uno dei diari di Diego De Henriquez.
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claudio magris - non luogo a procedre
Le lunghe ombre della Risiera
Il suo primo incontro con Diego De Henriquez risale a trent’anni fa. Allora Veit Heinichen non è ancora diventato il giallista di successo che conosciamo. Fa l’editore e pubblica, per la Fisher Verlag, il volume di René Hocke dedicato ai diari europei. Vi compaiono memorialisti celebri e celebrati come Thomas Mann o Sigmund Freud e con loro il collezionista triestino, autore del diario più voluminoso della storia europea (oltre trecento quaderni). Sembra una di quelle informazioni da Guinness che di solito si dimenticano subito. Se non fosse che Heinichen inciampa di nuovo su De Henriquez, questa volta nei panni di scrittore. Lui – che è laureato in economia, ha lavorato alla Daimler Benz, è stato libraio e poi nell’editoria – si è messo a scrivere e scala le classifiche con i suoi romanzi che dipanano storie noir su sfondi di scottante attualità. Intanto, ha lasciato la Germania e ha messo su casa a Trieste. Qui tutti sanno dello stravagante professore che collezionava armi e dormiva in una bara, se non altro perché ogni tanto una nuova polemica che lo richiama in causa. Heinichen ne sente parlare e riparlare, s’incuriosisce. Sono però soltanto chiacchiere. Finché su un giornale ritrova la storia raccontata da un colonnello dei carabinieri, Ferdinando Musella. Capitano al tempo delle indagini sulle morte di De Henriquez, Musella dichiara a chiare lettere che non si è trattato di un incidente.


Daniela Gross
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claudio magris - non luogo a procedere
Dalla Shoah alle trame nere
Partiamo dai diari di De Henriquez. Entriamo nelle celle della Risiera di San Sabba e finiamo nel mezzo dell’omicidio di Gaetano Perusini, docente universitario e possidente terriero di Ipplis, Friuli. Da qui ci spostiamo nel cuore degli anni di piombo: a Peteano, dove nel maggio 1972 tre carabinieri sono ammazzati dai neofascisti; tra le file di Gladio; all’alba della P2. Potremmo infine ritrovarci a Londra, sotto il ponte dei Blackfriars, dove nell’82 viene impiccato il banchiere Roberto Calvi. Sono alcune delle traiettorie, imprevedibili e a prima vista incredibili seguite da Veit Heinichen in Le lunghe ombre della morte. Lo scrittore non è però il solo a vedere nella morte di De Henriquez il primo atto di una trama ancor oggi sottaciuta che dagli anni dell’occupazione nazista si snoda fino al passato prossimo. A pensarla così è anche Vincenzo Cerceo, settant’anni, colonnello in congedo delle Fiamme gialle, vicepresidente dei Finanzieri democratici, che a Diego De Henriquez e alla sua storia ha dedicato anni di lavoro.
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qui bologna
Gli ebrei e la Grande Guerra,
voci e studiosi a confronto

“Sono convinta che verranno fuori cose molto interessanti. Il convegno metterà a fuoco temi di grande interesse, ma non così conosciuti e recepiti dall’opinione pubblica. La mostra analogamente è segnata da un alto livello qualitativo. Un’occasione unica per ricostruire uno spaccato sia della situazione in generale, sia nello specifico del territorio emiliano-romagnolo”. Vincenza Maugeri, direttrice del Museo ebraico di Bologna, dà appuntamento a due importanti iniziative novembrine. L’inaugurazione della mostra “1915/1918 Noi c’eravamo – Gli Ebrei italiani e la Grande Guerra”, progettata dalla Fondazione Cdec di Milano con il sostegno dell’UCEI (apertura il 10 novembre, conclusione 17 gennaio). E un prestigioso convegno di studi sul tema che si svolgerà il giorno successivo. Significativa, viene ricordato, è stata la partecipazione ebraica al conflitto: combattenti di leva e volontari, soldati semplici, sottufficiali e ufficiali hanno combattuto su vari fronti.

Nell’immagine si riconosce primo a destra in piedi il soldato Lello Sonnino.
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pilpul
Il presente come storia
Le recentissime, e vivacemente contestate, affermazioni del premier Benjamin Netanyahu sulla responsabilità diretta del più importante leader palestinese degli anni Quaranta nella strategica decisione nazista di procedere allo sterminio totale di tutti gli ebrei presenti sul pianeta, a partire da quelli posti sotto il tallone tedesco, non sono negazioniste. Non negano nulla, infatti, semmai rilanciando, in modo quasi ossessivo, la centralità del tema della Shoah nella costruzione dell’identità ebraica contemporanea. E in quella israeliana. La qual cosa, sta diventando una questione sulla quale interrogarsi. Poiché diventa quasi una sorta di funzione sostitutiva, alternativa a quel molto di ciò che l’ebraismo può offrire di sé.

Claudio Vercelli
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SettimanAle - Domande
Concorso riservato ai lettori: ma chi lo elegge il presidente del Keren Kayemeth leIsrael? Al primo che mi saprà dare una risposta soddisfacente invierò un pensierino. Perché in effetti, dopo aver letto l’articoletto di Zvi Zrahiya del 20 ottobre ed essermi mentalmente congratulato per l’elezione del nuovo presidente Daniel Atar (peraltro indagato, nel suo precedente ruolo, per vicende simili a quelle del nostro sindaco Marino) mi sono chiesto: ma perché mai il capo del Fondo Nazionale Ebraico viene eletto, come diceva l’articolo, ad “un congresso del Partito Laburista”? Apparentemente è stata un’elezione combattuta, con l’altro candidato laburista Michael Biton ed il presidente uscente Efi Stenzler che, insieme, hanno ottenuto più voti del vincitore. E tutte le mie offerte a Sefer, le gestisce un laburista?

Allessandro Treves, neuroscienziato
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In ogni generazione
Che sia stato il Gran Muftì di Gerusalemme o Hitler a immaginare ed attuare quella che sarebbe dovuta essere la soluzione finale, oggigiorno poco mi importa. In ogni era c’è stato qualcuno – e probabilmente ci sarà – che avrebbe voluto perpetrare l’eliminazione degli ebrei dalla faccia dalla terra. Quello su cui oggi mi sono trovata a riflettere sono le conseguenze della Shoah sulle nuove generazioni, su di noi, figli e nipoti, anche a distanza di settant'anni.

Claudia Sermoneta
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