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1 novembre 2015 - 19 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
Seguire i passaggi di un pallone ed il suo rotolare in un campo di calcio – sport in sé degnissimo e appassionante – è evidentemente per qualcuno una operazione intellettualmente troppo complessa. E così il cervello “svalvola”.
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Mercoledì prossimo 4 novembre alle 20.30 a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, in Piazza della Scala, verrà ricordato Yitzhak Rabin, a vent’anni dalla sua uccisione. La politica non è amministrazione, è visione, capacità di sogno, responsabilità di leadership. Forse nessuno l’ha detto meglio del sociologo tedesco Max Weber. “La politica – dice Max Weber nelle sue lezioni all’Università di Monaco nell’autunno 1919 – consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È del tutto esatto, e confermato da ogni esperienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all’impossibile. Ma colui che può farlo deve essere un capo e non solo questo, ma anche – in un senso assai poco enfatico della parola – un eroe. Pure coloro che non sono né l’uno né l’altro devono altresì armarsi di quella fermezza interiore che permette di resistere al naufragio di tutte le speranze, già adesso, altrimenti non saranno in grado di realizzare anche solo ciò che oggi è possibile. Soltanto chi è sicuro di non cedere anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole offrirgli, soltanto chi è sicuro di poter dire di fronte a tutto questo: ‘Non importa, andiamo avanti’, soltanto quest’uomo ha la ‘vocazione’ per la politica”.
L'eredità di Rabin
“Il tuo percorso nella vita è ancora il nostro percorso e su questo continueremo ad avanzare, innalzando due bandiere sventolanti: la bandiera della sicurezza e la bandiera della pace”. Il presidente israeliano emerito Shimon Peres ha ricordato così Yitzhak Rabin, a vent’anni dal giorno del suo assassinio, in un discorso pubblicato sulle pagine di Repubblica, che oggi dedica ampio spazio all’anniversario e a una grande manifestazione svoltasi ieri a Tel Aviv. “In questi giorni sentiamo la mancanza della leadership di Yitzhak, in grado di risvegliare la speranza di pace in un popolo che vuole la pace” ha quindi sottolineato Peres.
Oltre a lui, a due decenni da quel tragico 4 novembre, a rievocare la figura di Rabin in una piazza gremita di migliaia di persone sono stati tra gli altri il presidente israeliano Reuven Rivlin, l’ex primo ministro israeliano Ehud Barak, l’ex presidente statunitense Bill Clinton e quello attuale Barack Obama, intervenuto con un videomessaggio. Anche il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha sottolineato dalle colonne del Messaggero che “la lezione di Rabin è più viva che mai”, osservando come “garantire la sicurezza di Israele e la nascita di uno Stato palestinese” resti una “chiave di volta” per la stabilità del Medio Oriente. Sono infine amare le considerazioni – riportate da Repubblica – di Daliah Rabin, figlia di Yitzhak: “Già da vent’anni sappiamo con precisione che l’istigazione uccide. E da allora sto qui di guardia davanti ai tentativi di distorcere e falsificare la storia, di cancellare pagine gloriose e di ignorare quelle immagini di una realtà che fu e non è più”.
A Gerusalemme si è intanto registrato un nuovo attacco con coltello contro due studenti alla fermata del tram da parte di un palestinese di un quartiere est della capitale. Poco dopo un’altra civile è stata aggredita davanti a un supermercato di Gush Etzion.

Tragedia del Sinai, piste aperte. Erano 224 le persone a bordo dell’aereo civile russo della compagnia MetroJet schiantatosi ieri mattina sulle montagne del Sinai dopo 30 minuti dal suo decollo a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Poche ore dopo – riporta la Stampa – è arrivata la rivendicazione dello Stato Islamico, ma Il Cairo e Mosca smentiscono, parlando di un guasto tecnico. In attesa dell’analisi delle scatole nere, Air France e Lufthansa hanno fatto sapere che per il momento non sorvoleranno la zona del Sinai. Su Libero viene sottolineata la collaborazione del Magen David Adom con la Mezza Luna Rossa per mettere a disposizione dei soccorritori alcune ambulanze e l’appoggio offerto dall’aeronautica militare israeliana all’esercito egiziano con droni e aerei per aiutare nella ricerca dei resti dell’aereo. Nel paese, scrive il quotidiano, fin dai primi momenti dallo schianto “si dava alta la possibilità che l’aeromobile fosse stato abbattuto da un missile terra-aria lanciato dai ribelli affiliati ad Al Qaeda o al Califfato”.
 
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  davar
l'intervento del presidente gattegna
"Parole di Tavecchio indecenti,
chi di dovere ne prenda atto" 

"Le indecenti affermazioni antisemite e omofobe del presidente della Federcalcio italiana Carlo Tavecchio costituiscono un fatto gravissimo e un danno d'immagine immenso per la credibilità dello sport nazionale e delle sue istituzioni. Un nuovo passo falso che mi auguro porti chi di dovere a fare le più opportune riflessioni".
Così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna in una nota diffusa alle agenzie di stampa e ai quotidiani (e dagli stessi riportato con grande evidenza) in seguito ad alcune vergognose dichiarazioni del numero uno del calcio nazionale al notiziario online Soccerlife, pubblicate oggi dal Corriere della sera.
"Non ho niente contro gli ebrei, ma meglio tenerli a bada", dice Tavecchio nel corso dell'intervista. O ancora usa un inqualificabile epiteto, riferito a un immobiliarista romano.
Dichiarazioni inequivocabili, che ledono l'intero movimento calcistico e che stanno suscitando molteplici reazioni nell'opinione pubblica.
"Nel calcio non può esserci spazio per antisemitismo, razzismo e omofobia. Lo sport italiano dovrebbe pretendere un passo indietro", afferma la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello.
comics&jews 
Il segno di Israele e l'identità
Pagine Ebraiche apre la strada

“Per aver saputo raccontare con ironia in un personale ‘diario grafico’ la quotidianità di una vita ‘normale’ nonostante tutto, grazie a una serie di tavole auto-conclusive che manipolano in maniera eccelsa la grammatica del fumetto, il Gran Guinigi come Miglior Autore Unico va a Asaf Hanuka”. Poche ore prima Asaf Hanuka camminando verso la sala dove poco dopo si sarebbe tenuta la presentazione del dossier Comics&Jews, che Pagine Ebraiche ogni anno dedica al rapporto fra fumetto e cultura ebraica, si guardava intorno un po’ stupito dalla folla, e raccontava come lo abbia sempre sorpreso il suo successo in Italia. Non sapeva che al vincitore del Gran Guinigi è dedicata la mostra principale dell’edizione successiva di Lucca Comics, e parlava della premiazione prevista per la serata come di una cosa che non lo riguardava affatto. Anche Boaz Lavie, sceneggiatore dell’ultimo lavoro pubblicato dai gemelli Asaf e Tomer, Il Divino, pareva prenderlo affettuosamente in giro: “Pensa, Asaf, potresti tornare a
Lucca il prossimo anno!”. Parevano discorsi lontani, una chiacchierata scherzosa passeggiando per Lucca, in una giornata incredibilmente calda e soleggiata. E, invece, di nuovo uno dei protagonisti del dossier Comics&Jews – distribuito in centinaia di copie insieme a Pagine Ebraiche, a cura del festival, è il vincitore del premio maggiore in uno dei maggiori festival internazionali dedicati al fumetto. Era stato Walter Chendi, nel 2010, autore di La porta di Sion (Edizioni BD), mentre nel 2013 il premio era andato a Rutu Modan, con La proprietà (Lizard-Rizzoli) protagonista sia del dossier Comics&Jews che di una grande intervista e che aveva partecipato alla presentazione del dossier in una intervista doppia insieme a un altro grande nome, il canadese Guy Delisle. L’anno successivo, protagonista sia della grande mostra organizzata dal Festival che di un documentario prodotto da Lucca Comics con l’aiuto sia dell’ambasciata israeliana in Italia che della redazione di Pagine Ebraiche, Rutu Modan era tornata a Lucca con la sua ritrosa allegria e disponibilità, partecipando anche a un laboratorio organizzato da DafDaf per Lucca Junior.
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comics&jews
Lucca, il fumetto fa sul serio 
Oltre 210mila biglietti venduti, i nuovi spazi integrati perfettamente nel sistema festival, padiglioni pieni, sale affollate e mostre che riscuotono l’apprezzamento e l’interesse dei visitatori. Nonostante non sia ancora chiusa, si può già dire che l’edizione 2015 di Lucca Comics and Games, uno dei maggiori appuntamenti internazionali dedicati a fumetto, animazione, giochi di ruolo e fantasy, è l’ennesimo successo. Sono ancora aumentati gli spazi, è vero, ma anche la scelta di mettere un tetto ai biglietti venduti è stata vincente, permettendo alle migliaia di persone accorse a Lucca di riuscire a visitare i padiglioni in maniera decisamente migliore rispetto agli scorsi anni. Era addirittura possibile avvicinarsi ai fumetti proposti dai tantissimi editori presenti nell’area comics, dove lunghe file segnalavano la presenza di autori di richiamo, che hanno firmato e disegnato centinaia se non migliaia di dediche. E il numero di novembre di Pagine Ebraiche con il dossier Comics&Jews, in distribuzione a cura dell’organizzazione di Lucca Comics, faceva capolino ovunque, alle mostre, nell’area Junior, al Family Palace, agli infopoint e nell’area stampa. Tra le centinaia di iniziative, due sono stati gli incontri organizzati dalla redazione, in una collaborazione sempre più stretta con la direzione dell’area Comics: la presentazione del dossier Comics & Jews al pubblico del festival ha mostrato una volta di più come le scelte della redazione sappiano anticipare grandi novità: come già successo altre volte negli scorsi anni, infatti, protagonista del dossier e dell’incontro è stato l’autore che poche ore dopo avrebbe vinto il premio principale della manifestazione, il Gran Guinigi.
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israele - vent'anni fa l'assassinio
Di nuovo in piazza per Rabin
“Shalom haver”, “ciao amico”. Furono le ultime parole con cui il presidente americano Bill Clinton salutò il 6 novembre 1995 l’ex primo ministro d’Israele Yitzhak Rabin, assassinato due giorni prima da un’estremista ebreo. A vent’anni di distanza, Clinton è tornato a ricordare l’amico Rabin. Lo ha fatto a Tel Aviv, davanti a centomila israeliani. Lo ha fatto dalla piazza dedicata all’uomo che in molti credevano avrebbe portato la pace tra israeliani e palestinesi. Tra i primi a crederci, proprio Clinton, che allora era coinvolto in prima persona negli accordi di Oslo siglati da Rabin e dal leader palestinese Yasser Arafat. Ma quel progetto di pace si è inabissato e due decenni dopo in Israele si continua a vivere e parlare di conflitto e di terrorismo. “Spetta a voi decidere di credere che Rabin avesse ragione – ha dichiarato Clinton rivolgendosi dal palco di Tel Aviv agli israeliani – credere che sia necessario condividere il vostro futuro con i vostri vicini, che sia necessario difendere la pace, che il rischio della pace non è tanto pericoloso quanto l’allontanarsene. Noi preghiamo perché prendiate la giusta decisione”.
“Venti anni sono passati, e siamo ancora troppo impegnati a scavare nelle ferite del passato invece di costruire il futuro – le parole in memoria di Rabin del presidente d’Israele Reuven Rivlin – troppo poco impegnati nella comprensione e l’ascolto dell’altra parte; troppo nella paura, troppo poco nella speranza. Noi non dobbiamo avere paura”. Un incoraggiamento a cui hanno fatto eco le dichiarazioni di Shimon Peres, ex presidente d’Israele e Nobel per la pace come Rabin: “Ti hanno ucciso, leader amato e fidato, ma la strada da te indicata rimarrà aperta e piena di vita. – ha affermato Peres, ricordando l’amico – Dobbiamo continuare a costruirla e a rafforzarla per unificare il popolo, a percorrerla finché arriveremo alla meta e non andare per la strada dell’istigazione e della frattura”. Un cauto ottimismo che invece non traspare nell’analisi per Pagine Ebraiche dello storico Tom Segev, considerato una delle voci più autorevoli d’Israele. In un’intervista pubblicata sul numero attualmente in distribuzione del giornale dell’ebraismo italiano, Segev parla con una buona dose di disillusione dell’eredità lasciata da Rabin e dei vent’anni successivi alla sua morte. Di seguito l’articolo integrale.

Yitzhak Rabin, una lezione dimenticata

“Yitzhak Rabin rappresenta qualcosa che non è mai accaduto; più che un mito rappresenta la storia di un fallimento. E noi in Israele non ammiriamo i fallimenti”. Ruvido e diretto, il commento dello storico Tom Segev a Pagine Ebraiche apre lo spazio per una riflessione, a vent’anni dal suo assassinio, sull’eredità lasciata dal premier israeliano Yitzhak Rabin e su quale direzione abbia preso la società israeliana da quel 4 novembre 1995, giorno della sua uccisione. “Se allora mi avesse chiesto se nel 2015 ci sarebbe stata la pace con i palestinesi, le avrei detto di sì, le avrei detto che il conflitto sarebbe stato il passato”. Disillusione. “A differenza di allora, la maggioranza degli israeliani non crede più nella pace – spiega lo storico, considerato una delle voci più autorevoli d’Israele ma non per questo esente da critiche – Nemmeno Rabin in fondo era così convinto che gli accordi di Oslo sarebbero andati a buon fine. Era scettico, non si fidava di Arafat (il leader palestinese di allora, ndr). Basta vedere il linguaggio del suo corpo durante la famosa stretta di mano a Washington, piena di sospetto”. Al contempo, quella stretta di mano doveva segnare la realizzazione degli accordi, della soluzione dei due Stati per due popoli. Rabin forse era scettico ma, come conferma lo stesso Segev, aveva scommesso sulla possibilità di portare la pace. “Non sappiamo se ci sarebbe riuscito, morì prima di prendere le decisioni necessarie”.

da Pagine Ebraiche, novembre 2015
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milano saluta l'esposizione universale
L'eredità del dopo Expo 
Il clima del 31 ottobre di Expo Milano 2015 assomigliava molto all'atmosfera da ultimo giorno di scuola. Dopo sei lunghi mesi – preceduti da anni di preparazione e difficoltà – la felicità di aver portato a termine una sfida imponente. Una sfida che Milano e l'Italia hanno vinto insieme, ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso della cerimonia di chiusura dell'Esposizione universale. “La giornata di oggi – ha continuato Mattarella - non è un addio ma un passaggio. È l’inizio di un nuovo impegno civico”. E l'obiettivo deve essere quello di portare avanti quanto costruito nei mesi di Expo, l'auspicio del Presidente, ovvero un'intreccio di politiche alimentari e culturali che impongano una nuova attenzione sul futuro del nostro mondo. “Dobbiamo saper dire basta allo sfruttamento del presente, che toglie il futuro ai nostri figli e nipoti”, ha dichiarato Mattarella. E su queste basi si fondano le eredità morali dell'Expo milanese, la Carta di Milano e il Milan Urban Food Policy Pact.

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il successo del reality israeliano
Ha-paytan, musica per l'anima
Inquadratura su Gerusalemme, musica liturgica di sottofondo e poi zoom su un gruppo di ragazzi ultraortodossi che esce di fretta dalla Yeshivah e cammina rasente i muri. Si apre così la puntata di Ha-paytan, il talent show che ha stregato Israele. Le regole sono simili alle decine e decine di format televisivi di tutto il mondo: chi partecipa deve cantare sfidando un avversario, viene giudicato da quattro giudici e se vince passa alla fase successiva del programma. Trasmesso sul canale 20 dedicato all’ebraismo e all’identità d’Israele, Ha-paytan ha però un elemento distintivo che lo fa essere un unicum: è il primo show in cui ad essere protagonista è la “neshama”, l’anima ebraica. O per lo meno si propone di esserlo. I cantanti in gara sono infatti ebrei osservanti e si esibiscono interpretando canzoni tipiche della liturgia da sinagoga, scegliendo brani intensi spesso dedicati all’accoglienza dello Shabbat. Ad essere al centro della scena sono i concorrenti che raccontano al microfono il loro legame con la religione e condividono i valori trasmessili dalla famiglia.
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qui roma - un ricordo alla facoltà valdese
Buonaiuti, l'intellettuale Giusto 
Il religioso, lo storico, l’intellettuale. Ma anche un uomo coraggioso al servizio della fratellanza e della dignità umana. Un’articolata occasione di incontro svoltasi presso la Facoltà Valdese di Teologia a Roma ha permesso di inquadrare, da molteplici punti di vista, la straordinaria figura di Ernesto Buonaiuti. Tra i principali esponenti del modernismo italiano, colpito dalla scomunica maggiore nel 1926 e allontanato dall’insegnamento nel 1931 per aver rifiutato di giurare fedeltà al regime, Buonaiuti è stato oggetto di una triplice indagine focalizzata sul circolo di allievi e amici, sulle relazioni con il mondo evangelico in Italia e in Svizzera, sui rapporti con la filosofia, la politica e l’editoria del tempo. È inoltre il ritratto di un eroe del Novecento quello emerso in queste ore, con riferimento in particolare al salvataggio del giovane ebreo romano Giorgio Castelnuovo (nascosto a lungo in casa) che gli è valso, nel 2013, l’iscrizione nel libro dei Giusti dello Yad Vashem.

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sorgente di vita
Yitzhak Rabin, un ricordo vivo
È dedicata a Yitzhak Rabin la copertina della puntata di Sorgente di vita di domenica 1 novembre. Il primo ministro di Israele veniva assassinato la sera del 4 novembre 1995 da un giovane israeliano durante una manifestazione per la pace. A venti anni dalla sua morte un ricordo dello scrittore Abraham B. Yehoshua. A Venezia seguiamo poi otto artisti di diversa provenienza. Si sono incontrati per lavorare tutti insieme su un unico progetto: la realizzazione di una nuova Haggadah, il libro che si legge durante la cena della Pasqua ebraica. Presso la Scuola Internazionale di Grafica preparano le illustrazioni prendendo ispirazione dai luoghi, dalla storia e dalle opere d’arte. Il progetto è una delle iniziative per ricordare i 500 anni dell’istituzione del primo ghetto della storia.
 
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pilpul
Comprendere e distinguere
Certe questioni sono complicate, non prestandosi a semplificazioni causali né, tantomeno, a banalizzazioni di sorta. La tentazione, da parte di certuni, di ricondurle immediatamente a fatti di bandiera, aderendo aprioristicamente ad una lettura precostituita dei fatti, è, alla resa dei conti, parte stessa del problema che si dice di volere altrimenti affrontare e quindi rimuovere. Il problema è quello delle nuove forme del razzismo e, non di meno, delle metamorfosi che accompagnano l’antisemitismo. Su quest’ultimo, peraltro, si sono versati fiumi d’inchiostro, vergate pagine su pagine, compilate enciclopedie e quant’altro. Tuttavia sta ancora lì.

Claudio Vercelli
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Il settimanAle - Ospedali
“Come potevo osare io, direttore non-ebreo, licenziare un medico ebreo?” …niente paura, non si tratta di intercettazioni. Lo racconta il dottor Masad Barhoum, da otto anni direttore dell’ospedale di Nahariya – Centro Sanitario della Galilea, a Smadar Shir su Ynet del 24 ottobre. Uno dei tanti episodi, nella sua esperienza di primo direttore di un ospedale statale israeliano scelto fra la minoranza araba, che illustrano, con quelli di molti altri medici, come le faglie intersecantesi di cittadinanza ed etnia non si fermino sulla soglia della casa di cura, dove teoricamente si segue solo il giuramento di Ippocrate.

Alessandro Treves, neuroscienziato
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