Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Seguire
i passaggi di un pallone ed il suo rotolare in un campo di calcio –
sport in sé degnissimo e appassionante – è evidentemente per qualcuno
una operazione intellettualmente troppo complessa. E così il cervello
“svalvola”.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Mercoledì
prossimo 4 novembre alle 20.30 a Palazzo Marino, sede del Comune di
Milano, in Piazza della Scala, verrà ricordato Yitzhak Rabin, a
vent’anni dalla sua uccisione. La politica non è amministrazione, è
visione, capacità di sogno, responsabilità di leadership. Forse nessuno
l’ha detto meglio del sociologo tedesco Max Weber. “La politica – dice
Max Weber nelle sue lezioni all’Università di Monaco nell’autunno 1919
– consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà da
compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È del tutto
esatto, e confermato da ogni esperienza storica, che non si
realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre
all’impossibile. Ma colui che può farlo deve essere un capo e non solo
questo, ma anche – in un senso assai poco enfatico della parola – un
eroe. Pure coloro che non sono né l’uno né l’altro devono altresì
armarsi di quella fermezza interiore che permette di resistere al
naufragio di tutte le speranze, già adesso, altrimenti non saranno in
grado di realizzare anche solo ciò che oggi è possibile. Soltanto chi è
sicuro di non cedere anche se il mondo, considerato dal suo punto di
vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole offrirgli,
soltanto chi è sicuro di poter dire di fronte a tutto questo: ‘Non
importa, andiamo avanti’, soltanto quest’uomo ha la ‘vocazione’ per la
politica”.
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L'eredità di Rabin
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“Il
tuo percorso nella vita è ancora il nostro percorso e su questo
continueremo ad avanzare, innalzando due bandiere sventolanti: la
bandiera della sicurezza e la bandiera della pace”. Il presidente
israeliano emerito Shimon Peres ha ricordato così Yitzhak Rabin, a
vent’anni dal giorno del suo assassinio, in un discorso pubblicato
sulle pagine di Repubblica, che oggi dedica ampio spazio
all’anniversario e a una grande manifestazione svoltasi ieri a Tel
Aviv. “In questi giorni sentiamo la mancanza della leadership di
Yitzhak, in grado di risvegliare la speranza di pace in un popolo che
vuole la pace” ha quindi sottolineato Peres.
Oltre a lui, a due decenni da quel tragico 4 novembre, a rievocare la
figura di Rabin in una piazza gremita di migliaia di persone sono stati
tra gli altri il presidente israeliano Reuven Rivlin, l’ex primo
ministro israeliano Ehud Barak, l’ex presidente statunitense Bill
Clinton e quello attuale Barack Obama, intervenuto con un
videomessaggio. Anche il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni
ha sottolineato dalle colonne del Messaggero che “la lezione di Rabin è
più viva che mai”, osservando come “garantire la sicurezza di Israele e
la nascita di uno Stato palestinese” resti una “chiave di volta” per la
stabilità del Medio Oriente. Sono infine amare le considerazioni –
riportate da Repubblica – di Daliah Rabin, figlia di Yitzhak: “Già da
vent’anni sappiamo con precisione che l’istigazione uccide. E da allora
sto qui di guardia davanti ai tentativi di distorcere e falsificare la
storia, di cancellare pagine gloriose e di ignorare quelle immagini di
una realtà che fu e non è più”.
A Gerusalemme si è intanto registrato un nuovo attacco con coltello
contro due studenti alla fermata del tram da parte di un palestinese di
un quartiere est della capitale. Poco dopo un’altra civile è stata
aggredita davanti a un supermercato di Gush Etzion.
Tragedia del Sinai, piste aperte.
Erano 224 le persone a bordo dell’aereo civile russo della compagnia
MetroJet schiantatosi ieri mattina sulle montagne del Sinai dopo 30
minuti dal suo decollo a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Poche ore dopo –
riporta la Stampa – è arrivata la rivendicazione dello Stato Islamico,
ma Il Cairo e Mosca smentiscono, parlando di un guasto tecnico. In
attesa dell’analisi delle scatole nere, Air France e Lufthansa hanno
fatto sapere che per il momento non sorvoleranno la zona del Sinai. Su
Libero viene sottolineata la collaborazione del Magen David Adom con la
Mezza Luna Rossa per mettere a disposizione dei soccorritori alcune
ambulanze e l’appoggio offerto dall’aeronautica militare israeliana
all’esercito egiziano con droni e aerei per aiutare nella ricerca dei
resti dell’aereo. Nel paese, scrive il quotidiano, fin dai primi
momenti dallo schianto “si dava alta la possibilità che l’aeromobile
fosse stato abbattuto da un missile terra-aria lanciato dai ribelli
affiliati ad Al Qaeda o al Califfato”.
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l'intervento del presidente gattegna
"Parole di Tavecchio indecenti,
chi di dovere ne prenda atto"
"Le
indecenti affermazioni antisemite e omofobe del presidente della
Federcalcio italiana Carlo Tavecchio costituiscono un fatto gravissimo
e un danno d'immagine immenso per la credibilità dello sport nazionale
e delle sue istituzioni. Un nuovo passo falso che mi auguro porti chi
di dovere a fare le più opportune riflessioni".
Così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo
Gattegna in una nota diffusa alle agenzie di stampa e ai quotidiani (e
dagli stessi riportato con grande evidenza) in seguito ad alcune
vergognose dichiarazioni del numero uno del calcio nazionale al
notiziario online Soccerlife, pubblicate oggi dal Corriere della sera.
"Non ho niente contro gli ebrei, ma meglio tenerli a bada", dice
Tavecchio nel corso dell'intervista. O ancora usa un inqualificabile
epiteto, riferito a un immobiliarista romano.
Dichiarazioni inequivocabili, che ledono l'intero movimento calcistico
e che stanno suscitando molteplici reazioni nell'opinione pubblica.
"Nel calcio non può esserci spazio per antisemitismo, razzismo e
omofobia. Lo sport italiano dovrebbe pretendere un passo indietro",
afferma la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello.
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comics&jews
Il segno di Israele e l'identità
Pagine Ebraiche apre la strada
“Per
aver saputo raccontare con ironia in un personale ‘diario grafico’ la
quotidianità di una vita ‘normale’ nonostante tutto, grazie a una serie
di tavole auto-conclusive che manipolano in maniera eccelsa la
grammatica del fumetto, il Gran Guinigi come Miglior Autore Unico va a
Asaf Hanuka”. Poche ore prima Asaf Hanuka camminando verso la sala dove
poco dopo si sarebbe tenuta la presentazione del dossier
Comics&Jews, che Pagine Ebraiche ogni anno dedica al rapporto fra
fumetto e cultura ebraica, si guardava intorno un po’ stupito dalla
folla, e raccontava come lo abbia sempre sorpreso il suo successo in
Italia. Non sapeva che al vincitore del Gran Guinigi è dedicata la
mostra principale dell’edizione successiva di Lucca Comics, e parlava
della premiazione prevista per la serata come di una cosa che non lo
riguardava affatto. Anche Boaz Lavie, sceneggiatore dell’ultimo lavoro
pubblicato dai gemelli Asaf e Tomer, Il Divino, pareva prenderlo
affettuosamente in giro: “Pensa, Asaf, potresti tornare a Lucca
il prossimo anno!”. Parevano discorsi lontani, una chiacchierata
scherzosa passeggiando per Lucca, in una giornata incredibilmente calda
e soleggiata. E, invece, di nuovo uno dei protagonisti del dossier
Comics&Jews – distribuito in centinaia di copie insieme a Pagine
Ebraiche, a cura del festival, è il vincitore del premio maggiore in
uno dei maggiori festival internazionali dedicati al fumetto. Era stato
Walter Chendi, nel 2010, autore di La porta di Sion (Edizioni BD),
mentre nel 2013 il premio era andato a Rutu Modan, con La proprietà
(Lizard-Rizzoli) protagonista sia del dossier Comics&Jews che di
una grande intervista e che aveva partecipato alla presentazione del
dossier in una intervista doppia insieme a un altro grande nome, il
canadese Guy Delisle. L’anno successivo, protagonista sia della grande
mostra organizzata dal Festival che di un documentario prodotto da
Lucca Comics con l’aiuto sia dell’ambasciata israeliana in Italia che
della redazione di Pagine Ebraiche, Rutu Modan era tornata a Lucca con
la sua ritrosa allegria e disponibilità, partecipando anche a un
laboratorio organizzato da DafDaf per Lucca Junior.
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comics&jews
Lucca, il fumetto fa sul serio
Oltre
210mila biglietti venduti, i
nuovi spazi integrati perfettamente nel sistema festival, padiglioni
pieni, sale affollate e mostre che riscuotono l’apprezzamento e
l’interesse dei visitatori. Nonostante non sia ancora chiusa, si può
già dire che l’edizione 2015 di Lucca Comics and Games, uno dei
maggiori appuntamenti internazionali dedicati a fumetto, animazione,
giochi di ruolo e fantasy, è l’ennesimo successo. Sono ancora aumentati
gli spazi, è vero, ma anche la scelta di mettere un tetto ai biglietti
venduti è stata vincente, permettendo alle migliaia di persone accorse
a Lucca di riuscire a visitare i padiglioni in maniera decisamente
migliore rispetto agli scorsi anni. Era addirittura possibile
avvicinarsi ai fumetti proposti dai tantissimi editori presenti
nell’area comics, dove lunghe file segnalavano la presenza di autori di
richiamo, che hanno firmato e disegnato centinaia se non migliaia di
dediche. E il numero di novembre di Pagine Ebraiche con il dossier
Comics&Jews, in distribuzione a cura dell’organizzazione di Lucca
Comics, faceva capolino ovunque, alle mostre, nell’area Junior, al
Family Palace, agli infopoint e nell’area stampa. Tra le centinaia di
iniziative, due sono stati gli incontri organizzati dalla redazione, in
una collaborazione sempre più stretta con la direzione dell’area
Comics: la presentazione del dossier Comics & Jews al pubblico del
festival ha mostrato una volta di più come le scelte della redazione
sappiano anticipare grandi novità: come già successo altre volte negli
scorsi anni, infatti, protagonista del dossier e dell’incontro è stato
l’autore che poche ore dopo avrebbe vinto il premio principale della
manifestazione, il Gran Guinigi.
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israele - vent'anni fa l'assassinio
Di nuovo in piazza per Rabin
“Shalom
haver”, “ciao amico”. Furono le ultime parole con cui il presidente
americano Bill Clinton salutò il 6 novembre 1995 l’ex primo ministro
d’Israele Yitzhak Rabin, assassinato due giorni prima da un’estremista
ebreo. A vent’anni di distanza, Clinton è tornato a ricordare l’amico
Rabin. Lo ha fatto a Tel Aviv, davanti a centomila israeliani. Lo ha
fatto dalla piazza dedicata all’uomo che in molti credevano avrebbe
portato la pace tra israeliani e palestinesi. Tra i primi a crederci,
proprio Clinton, che allora era coinvolto in prima persona negli
accordi di Oslo siglati da Rabin e dal leader palestinese Yasser
Arafat. Ma quel progetto di pace si è inabissato e due decenni dopo in
Israele si continua a vivere e parlare di conflitto e di terrorismo.
“Spetta a voi decidere di credere che Rabin avesse ragione – ha
dichiarato Clinton rivolgendosi dal palco di Tel Aviv agli israeliani –
credere che sia necessario condividere il vostro futuro con i vostri
vicini, che sia necessario difendere la pace, che il rischio della pace
non è tanto pericoloso quanto l’allontanarsene. Noi preghiamo perché
prendiate la giusta decisione”.
“Venti anni sono passati, e siamo ancora troppo impegnati a scavare
nelle ferite del passato invece di costruire il futuro – le parole in
memoria di Rabin del presidente d’Israele Reuven Rivlin – troppo poco
impegnati nella comprensione e l’ascolto dell’altra parte; troppo nella
paura, troppo poco nella speranza. Noi non dobbiamo avere paura”. Un
incoraggiamento a cui hanno fatto eco le dichiarazioni di Shimon Peres,
ex presidente d’Israele e Nobel per la pace come Rabin: “Ti hanno
ucciso, leader amato e fidato, ma la strada da te indicata rimarrà
aperta e piena di vita. – ha affermato Peres, ricordando l’amico –
Dobbiamo continuare a costruirla e a rafforzarla per unificare il
popolo, a percorrerla finché arriveremo alla meta e non andare per la
strada dell’istigazione e della frattura”. Un cauto ottimismo che
invece non traspare nell’analisi per Pagine Ebraiche dello storico Tom
Segev, considerato una delle voci più autorevoli d’Israele. In
un’intervista pubblicata sul numero attualmente in distribuzione del
giornale dell’ebraismo italiano, Segev parla con una buona dose di
disillusione dell’eredità lasciata da Rabin e dei vent’anni successivi
alla sua morte. Di seguito l’articolo integrale.
Yitzhak Rabin, una lezione dimenticata
“Yitzhak
Rabin rappresenta qualcosa che non è mai accaduto; più che un mito
rappresenta la storia di un fallimento. E noi in Israele non ammiriamo
i fallimenti”. Ruvido e diretto, il commento dello storico Tom Segev a
Pagine Ebraiche apre lo spazio per una riflessione, a vent’anni dal suo
assassinio, sull’eredità lasciata dal premier israeliano Yitzhak Rabin
e su quale direzione abbia preso la società israeliana da quel 4
novembre 1995, giorno della sua uccisione. “Se allora mi avesse chiesto
se nel 2015 ci sarebbe stata la pace con i palestinesi, le avrei detto
di sì, le avrei detto che il conflitto sarebbe stato il passato”.
Disillusione. “A differenza di allora, la maggioranza degli israeliani
non crede più nella pace – spiega lo storico, considerato una delle
voci più autorevoli d’Israele ma non per questo esente da critiche –
Nemmeno Rabin in fondo era così convinto che gli accordi di Oslo
sarebbero andati a buon fine. Era scettico, non si fidava di Arafat (il
leader palestinese di allora, ndr). Basta vedere il linguaggio del suo
corpo durante la famosa stretta di mano a Washington, piena di
sospetto”. Al contempo, quella stretta di mano doveva segnare la
realizzazione degli accordi, della soluzione dei due Stati per due
popoli. Rabin forse era scettico ma, come conferma lo stesso Segev,
aveva scommesso sulla possibilità di portare la pace. “Non sappiamo se
ci sarebbe riuscito, morì prima di prendere le decisioni necessarie”.
da Pagine Ebraiche, novembre 2015
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qui roma - un ricordo alla facoltà valdese
Buonaiuti, l'intellettuale Giusto
Il
religioso, lo storico, l’intellettuale. Ma anche un uomo coraggioso al
servizio della fratellanza e della dignità umana. Un’articolata
occasione di incontro svoltasi presso la Facoltà Valdese di Teologia a
Roma ha permesso di inquadrare, da molteplici punti di vista, la
straordinaria figura di Ernesto Buonaiuti. Tra i principali esponenti
del modernismo italiano, colpito dalla scomunica maggiore nel 1926 e
allontanato dall’insegnamento nel 1931 per aver rifiutato di giurare
fedeltà al regime, Buonaiuti è stato oggetto di una triplice indagine
focalizzata sul circolo di allievi e amici, sulle relazioni con il
mondo evangelico in Italia e in Svizzera, sui rapporti con la
filosofia, la politica e l’editoria del tempo. È inoltre il ritratto di
un eroe del Novecento quello emerso in queste ore, con riferimento in
particolare al salvataggio del giovane ebreo romano Giorgio Castelnuovo
(nascosto a lungo in casa) che gli è valso, nel 2013, l’iscrizione nel
libro dei Giusti dello Yad Vashem.
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Comprendere e distinguere |
Certe
questioni sono complicate, non prestandosi a semplificazioni causali
né, tantomeno, a banalizzazioni di sorta. La tentazione, da parte di
certuni, di ricondurle immediatamente a fatti di bandiera, aderendo
aprioristicamente ad una lettura precostituita dei fatti, è, alla resa
dei conti, parte stessa del problema che si dice di volere altrimenti
affrontare e quindi rimuovere. Il problema è quello delle nuove forme
del razzismo e, non di meno, delle metamorfosi che accompagnano
l’antisemitismo. Su quest’ultimo, peraltro, si sono versati fiumi
d’inchiostro, vergate pagine su pagine, compilate enciclopedie e
quant’altro. Tuttavia sta ancora lì.
Claudio Vercelli
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Il settimanAle - Ospedali
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“Come
potevo osare io, direttore non-ebreo, licenziare un medico ebreo?”
…niente paura, non si tratta di intercettazioni. Lo racconta il dottor
Masad Barhoum, da otto anni direttore dell’ospedale di Nahariya –
Centro Sanitario della Galilea, a Smadar Shir su Ynet del 24 ottobre.
Uno dei tanti episodi, nella sua esperienza di primo direttore di un
ospedale statale israeliano scelto fra la minoranza araba, che
illustrano, con quelli di molti altri medici, come le faglie
intersecantesi di cittadinanza ed etnia non si fermino sulla soglia
della casa di cura, dove teoricamente si segue solo il giuramento di
Ippocrate.
Alessandro Treves, neuroscienziato
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