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Speciale Parigi - 14 Novembre 2015
PAGINE EBRAICHE 24

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JE SUIS PARIS
"È guerra di civiltà, bisogna restare uniti"

"Sulle nostre società democratiche grava una minaccia terribile, troppo a lungo sottovalutata. Una minaccia di fronte alla quale non sono possibili esitazioni, ma è anzi fondamentale unire gli sforzi per tutelare il bene più prezioso di cui disponiamo: la libertà. Oggi più che mai è importante ritrovarsi uniti per affrontare quella che è una vera propria guerra di civiltà. Oggi più che mai è importante dire 'Je suis Paris', ma soprattutto tradurre queste parole in un impegno concreto". Così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna nel commentare i molteplici attentati delle scorse ore a Parigi. "La strada è in salita, non illudiamoci, ma alla fine vinceremo. E questo perché abbiamo dei valori in cui credere e in cui riconoscerci. Il terrorismo islamico - afferma Gattegna - non passerà". Significative le rassicurazioni giunte dal Viminale, dove Gattegna ha incontrato il ministro dell'Interno Angelino Alfano. "Un incontro proficuo - dice - nel corso del quale è stata confermata l'assoluta priorità che le istituzioni italiane riservano al tema della sicurezza. Uno sforzo, capillarmente diffuso su tutto il territorio, che sarà ulteriormente rafforzato. Anche a tutela di scuole, luoghi di culto, istituzioni ebraiche". Il presidente dell'Unione era accompagnato dal consigliere speciale del Congresso ebraico europeo Alessandro Ruben. Il confronto si è esteso anche ai presidenti della Comunità ebraica milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani, alla presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, al responsabile operativo per la sicurezza delle comunità ebraiche italiane Gianni Zarfati. “È stato un incontro importante. Garantiamo, come sempre, il nostro massimo impegno a livello istituzionale e in particolare delle nostre forze dell'ordine. L'Italia è un grande Paese e la sicurezza - ha commentato Alfano - è una nostra priorità”.


Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
je suis paris
Parigi, Roma, noi. Il vascello dalle aspre vele

Veleggia in cima a una colonna là dove si apre il Castro Pretorio, lambisce verso il cielo le finestre dell’Ordine nazionale dei giornalisti, la fiancata del Grand Hotel, il mattonato della chiesa di Maria degli angeli. Quel vascello corazzato, che dispiega in solitudine le vele di bronzo, da lì in alto benedice il passaggio dei giovani colleghi giornalisti che vanno senza degnarlo di uno sguardo a sostenere emozionati la prova di abilitazione professionale. E assiste impassibile alla tempesta disordinata della nostra vita di romani, il tumulto del traffico, i semafori impazziti, le soste vietate, le corse azzardate.
Ferma lassù, nel cielo di Roma, quella nave di ferro che ci dimentichiamo sempre di considerare, è un dono del gemellaggio fra la Città eterna e la Città della luce, è il simbolo di Parigi, e proprio per questo a Roma l’hanno ancorato fra le nuvole in prossimità della via Parigi. Per ricordare questa bella alleanza fra le due città senza le quali l’Europa non sarebbe l’Europa, abbiamo messo in piazza proprio quell’imbarcazione che costituisce il fregio della capitale francese. La collega Francesca Matalon racconta ora con un articolo di grande interesse la storia e il significato di questo simbolo, ma soprattutto nel motto “Fluctuat nec mergitur” (Fende il mare in tempesta senza mai affondare), che lo accompagna immancabilmente.
È un gran peccato che i manovali della morte arrivati a sterminare i ragazzi del Bataclan, quelli che si godevano una serata al ristorante, quelli che erano andati allo stadio, non ne fossero consapevoli. Hanno seminato indicibile dolore, ma ben difficilmente potranno spezzare gli alberi di questo vascello che chiamiamo Parigi. Non ci sono riusciti i nazisti, non ci riusciranno loro.
A noi, intanto, il dovere di prendere atto del vero volto del terrorismo che ci troviamo ad affrontare.
Sapevamo già della sua valenza profondamente antisemita, e il servizio della collega Ada Treves documenta ora nei particolari come proprio il Bataclan fosse da tempo nel mirino degli attivisti che si nascondono dietro a una difesa di comodo dei diritti del popolo palestinese per mandare avanti la loro contabilità di distruzione e di morte. Sapevamo che odiano gli ebrei e vogliono soffocare la libertà d’espressione e la libertà di stampa.
Oggi sappiamo, non possiamo far finta di non sapere, quello che avremmo dovuto sempre sapere. Questa gente intende porre una minaccia mortale all’intero mondo democratico, all’intera civiltà europea. Perché l’odio antiebraico non è mai fine a se stesso. Costituisce piuttosto una forma di rigetto e di abissale incapacità nei confronti della vita, dell’amore, della libertà, della cultura.
Chi vuole continuare ad ascoltare musica, chi vuole essere libero di andare allo stadio, di farsi due passi, di mangiare al ristorante, di studiare, di amare, davanti a questa dichiarazione di guerra deve decidere con chiarezza e spazzare via ogni sussulto di odio antisemita. È questa la migliore, l’unica possibile difesa dei valori che fanno bella l’Europa e che fanno bella Parigi. Dei valori che ci consentono di stare assieme.
Ma se la lezione di Parigi è in effetti determinante per ogni società che vuole continuare a credere nel futuro e nella vita, resta un passaggio importante anche per il mondo ebraico.
Ora possiamo comprendere che quello che sta avvenendo ci impone la conquista di una grande maturità e un vero e proprio salto di qualità nel nostro modo di stare assieme.
La difesa dell’identità e la sicurezza non potranno certo passare attraverso quella mutazione avvelenata che proprio le forze del terrore sperano di ingenerare. Non siamo e non potremo mai davvero essere una piccola minoranza accerchiata, incapace di vivere la gioia della vita quotidiana e della nostra identità, in balia di duci cinici e cialtroni, carica d’odio e di desiderio di vendetta.
Al contrario, è proprio restando noi stessi, conducendo rettamente la nostra vita quotidiana, vivendo appieno la gioia della vita ebraica autentica, dei valori di rettitudine, tolleranza e amore per lo studio che abbiamo ricevuto integri in consegna dalle generazioni che ci hanno preceduto, reagendo con estrema, inflessibile durezza, ma senza odio a ogni aggressione, che l’ebraismo della Diaspora e l’ebraismo di Israele vinceranno uniti la terribile sfida che si trovano di fronte.
L’attacco generalizzato a un’intera civiltà, di cui siamo da sempre orgogliosi protagonisti, ma di cui condividiamo i valori e la responsabilità con l’insieme dei cittadini, impone al mondo ebraico di rafforzare relazioni solide e trasparenti con le istituzioni e con l’opinione pubblica, di costituire per tutti un modello di rettitudine e di misura, di fornire esempi di concordia, di solidarietà, di rigoroso rispetto dei ruoli e delle responsabilità.
Lo stesso esempio di unità e solidarietà che la società civile in Francia, stretta coerentemente attorno al Primo ministro Hollande come al gran rabbino di Francia Haim Korsia, sta offrendo in queste ore strazianti a tutto il mondo.
Solo così potremo raccontare un giorno alle nuove generazioni di aver visto anche noi nel mare in tempesta brillare le aspre vele metalliche di quel vascello che reca nella stiva i destini e le speranze di tutti i cittadini. La nave di Parigi che con la sua prua deve fendere ad ogni costo l’odio e la minaccia. L’unica che può condurci a testa alta a un sicuro approdo.

Guido Vitale twitter @gvitalemoked

JE SUIS PARIS
Sicurezza, Israele tende la mano alla Francia

L’intelligence israeliana è a disposizione della Francia e darà tutto l’aiuto possibile alle forze di sicurezza transalpine. È quanto ha disposto il Primo ministro Benjamin Netanyahu alla luce degli attacchi terroristici a Parigi. “Israele è spalla a spalla con il presidente Francois Hollande e il popolo francese nella comune guerra contro il terrorismo – ha dichiarato Netanyahu – Porgo ai famigliari delle vittime il cordoglio di tutti gli israeliani e auguro ai feriti una pronta guarigione”. Il Premier ha condannato gli attacchi “sistematici e deliberati” contro innocenti, sottolineando che non può mai esserci una giustificazione per il terrorismo e invitando tutti i governi ad impegnarsi nel combatterlo. “Il terrorismo islamico – ha continuato il Premier – attacca le nostre società perché vuole distruggere la nostra civiltà e i nostri valori”.
In queste ore migliaia di persone si sono riunite a Tel Aviv, nel celebre piazza Rabin, per dimostrare la propria solidarietà al popolo francese. “Tel Aviv è al fianco di Parigi”, lo slogan della manifestazione con il municipio della città israeliana illuminato con i colori della bandiera francese. “Grazie per la vostra presenza – il saluto rivolto alla folla dall’ambasciatore francese in Israele Patrick Maisonnave – È una vivida testimonianza del fatto che la Francia non è sola in questa lotta”.
“Le democrazie non cercano vendetta ma giustizia – ha continuato l’ambasciatore – La lotta contro l’Islam radicale è la nostra lotta comune. Uniamoci attorno ai valori della liberté, égalité fraternité”.
“Ricordiamo gli attacchi a Tolosa, all’ Hypercacher, a Ilan Halimi. Ci hanno detto che sono solo attacchi contro gli ebrei. Abbiamo detto no, il terrorismo è terrorismo. Ieri in Francia – le parole del ministro dell’Interno Moshe Silvan dal palco - domani può accadere in altri paesi d’Europa”.
La preoccupazione di Gerusalemme, in queste ore di tensione e dolore, si è rivolta anche alla Comunità ebraica di Francia, con il mandato da parte del governo al ministero degli Esteri di collaborare e chiedere all’Eliseo di rinforzare la sicurezza attorno alle istituzioni dell’ebraismo transalpino così come all’ambasciata israeliana a Parigi.


Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
JE SUIS PARIS
Bataclan, quelle terribili minacce ignorate

“Se il Bataclan e il Migdal organizzeranno, come gli scorsi anni, un galà per il Magav, la polizia di frontiera dell’esercito israeliano, la gente non lo potrà più sopportare, e pagherete le conseguenze delle vostre azioni”. Sono parole di un gruppo di militanti pro-palestinesi, una decina di giovani dal volto nascosto con la kefiah – che però il loro portavoce ha avuto la cura di usare in aggiunta a un passamontagna nero – ripresi in un video di neppure cinque minuti quando, il 20 dicembre 2008, erano andati a cercare di parlare con “qualcuno dell’amministrazione” del Bataclan, il tempio del rock dove ha avuto luogo il peggiore fra gli attentati che hanno colpito Parigi. Un clima di pesante intimidazione, un’azione di minaccia nei confronti di un locale da tempo tenuto d’occhio, secondo le parole raccolte nel video girato sapientemente dagli stessi organizzatori dell’azione, perché ospita ogni anno a gennaio una raccolta fondi per sostenere il Magav, il corpo dell’esercito israeliano che ha come compito principale il controllo delle frontiere. Non l’unico tentativo di intimidazione subito dal locale, che già nel 2007 e nel 2008 era stato minacciato proprio perché aveva ospitato diverse conferenze e galà di organizzazioni ebraiche. Già nel 2007, in particolare, le minacce erano state pesanti, e dovute proprio alla serata organizzata dal Magav a cui, si sente spiegare nel video, i proprietari darebbero gratuitamente l’uso della sala. E uno dei collaboratori dei movimenti estremisti islamici sentiti dalla polizia avrebbe dichiarato durante un interrogatorio che un eventuale attacco contro il Bataclan era giustificato, perché “i proprietari sono degli ebrei”.
È calma la voce dell’unico giovane che parla nel video dell’azione intimidatoria del 2008, e sostiene che da anni i giovani di diversi quartieri della regione parigina “che sostengono il popolo palestinese” non possono più sopportare “la provocazione” che ha luogo ogni anno al Bataclan. Un messaggio pesante, rivolto innanzitutto ai proprietari del locale: “Pagherete le conseguenze delle vostre azioni” dichiarano alla fine del video, quando compare anche una scritta che invita a tenere d’occhio il sito “sionista e islamofobo” del Migdal, perché “I palestinesi contano su di noi”.
“Sappiate che nei quartieri, in questo momento, qualcosa si muove, qualcosa sta crescendo. Siamo venuti a far passare un piccolo messaggio, chiaro e fermo, e la prossima volta non verremo per parlare.”
Non sono così evidenti, però, i collegamenti fra il Bataclan e Israele, neppure secondo il francese Nicolas Shashani, un noto attivista pro-palestinese, che ha spiegato che il locale per i parigini è semplicemente una sala da concerti. In teoria un collegamento potrebbe esserci con la band che vi stava suonando quando è iniziata l’azione terroristica, gli Eagles of Death Metal, che si era esibita a luglio in Israele. Durante il concerto, a Tel Aviv, il cantante aveva raccontato come Roger Waters avesse chiesto loro di rinunciare al viaggio e sostenere il boicottaggio contro Israele, ottenendo in risposta solo una parolaccia, perché, aveva continuato Jesse Hughes, “Non boicotterei mai un posto come questo”. La Ligue de Défence Juive – la stessa organizzazione di estrema destra che nelle parole del video minatorio del 2008 viene identificata come uno dei gruppi che si occupano della sicurezza del Bataclan durante gli eventi organizzati dal Migdal ed è considerata responsabile di aggressioni razziste contro arabi e musulmani – ha dichiarato invece che “I gruppi pro-palestinesi identificano il Bataclan come una sala da concerti ‘sionista’, e ora vediamo il risultato”.
È invece del 18 settembre di quest’anno la notizia, pubblicata dal quotidiano francese Le Parisien, che un ex-jihadista appena rientrato dalla Siria stava progettando un attentato contro una o forse contro diverse sale da concerto, in Francia. In Siria aveva ricevuto istruzioni chiare: l’attacco a una sala da concerto avrebbe permesso di fare “un numero massimo di vittime”, data la sua caratteristica di luogo molto frequentato. Arrestato l’11 agosto, il trentenne non era ancora riuscito a procurarsi le armi necessarie, ma durante la detenzione ha alla fine ammesso di aver passato una settimana a Raqqa, nel nord del paese, feudo di un gruppo islamico, dove è stato istruito ad organizzare un attentato contro un luogo “ideale”, una sala da concerto, appunto. In Francia, ma anche in alcuni ben determinati paesi europei. Istruzioni chiare, che comprendevano il percorso da fare per rientrare in Francia, passando per Istanbul, Praga e Amsterdam fino a raggiungere Parigi, dove probabilmente è tornato per curare una ferita rimediata durante l’addestramento. Dopo il suo arresto è stata fermata in Polonia un’altra persona sospetta, con cui sarebbe rientrato in Europa: un doppio arresto che, scriveva il giornale in settembre, avrebbe evitato alla Francia di essere vittima di una nuova azione violenta a neppure otto mesi dall’attacco contro il giornale satirico Charlie Hebdo e poche settimane dopo l’attacco sventato sul treno ad alta velocità che collega Amsterdam a Parigi. Un’altra azione che avrebbe potuto avere un bilancio estremamente pesante. E non si tratta dei soli arresti che – sempre secondo le autorità francesi – avrebbero permesso di sventare nei mesi scorsi diverse azioni terroristiche compiute da combattenti dell’organizzazione dello stato islamico rientrati in Francia, una delle maggiori preoccupazioni dei servizi francesi, che tenevano la situazione sotto controllo. Ma, evidentemente, non è bastato.

Ada Treves twitter @atrevesmoked
JE SUIS PARIS
Mare in tempesta. La forza di non affondare

Fluctuat nec mergitur. È battuta dalle onde, ma non affonda. È il motto della città di Parigi e della nave a vele spiegate che costituisce il suo stemma, ma anche quello della mobilitazione delle ore che sono seguite agli attentati che hanno sconvolto la notte della capitale francese, colpita dal terrorismo nel suo cuore più pulsante. Al risveglio i parigini lo hanno ritrovato in place de la République sotto forma di nuovo, gigantesco, graffito dipinto da un collettivo di artisti, per ricordare loro quanto sono forti. E tutti i navigatori in rete lo hanno rivisto nelle vignette cariche di collera e allo stesso tempo di tenerezza di Joann Sfar, autore del celebre fumetto Le Chat du rabbin, che ha pubblicato una serie di dodici disegni sul suo profilo Instagram. Per lui quelle parole in latino dal valore antico significano guardare la morte con sufficienza e andare avanti a testa alta, perché è questo che ha sempre fatto Parigi. La sua è infatti la storia di una città che non affonda, ma resiste alle onde più anomale fin dalla sua nascita, ed esibisce con orgoglio la sua forza dal 1190, quando il re Filippo Augusto le concesse il primo blasone.
È un mare in tempesta quello in cui ‘fluctuat’ – letteralmente ‘è sconvolta’ ma anche ‘galleggia’ – il vascello di Parigi, ma non si fa certo sommergere. Del resto il suo nome è Scilicet, che significa ‘è evidente’. Si tratta dell’imbarcazione che da sempre è il simbolo della corporazione dei marchands de l’eau, i commercianti, che è stata all’origine della nascita della municipalità di Parigi. Nata come carica nel Medioevo e impostasi fin da subito come organo rappresentante di una sorta di oligarchia urbana, durante l’Ancien Régime il prévôt, il prevosto dei mercanti, accompagnato da quattro assessori, si occupava dell’approvvigionamento della città, dei lavori pubblici, delle tasse e aveva la giurisdizione sul commercio fluviale. Una carica che si avvicinava notevolmente, in pratica, a quella di un sindaco.
Con il re Luigi IX il vascello divenne nel XII secolo il sigillo di Parigi, che si trasformò poi nel XVI in un vero e proprio blasone. Poi con la Rivoluzione tutto cambiò, e con l’abolizione della nobiltà furono soppressi anche tutti gli emblemi fino alla Restaurazione. Nella sua rappresentazione completa lo stemma porta anche le decorazioni della città, cioè quello della Legione d’Onore, la Croix de guerre 1914-1918 e la Croix de la Libération. Il vascello è sormontato dai gigli e da una corona di mura d’oro con cinque torri, e circondato a destra da un ramo di quercia e a sinistra da un ramo d’alloro, mentre il motto è riportato al di sotto.
Oggi il vascello e le parole “fluctuat nec mergitur” campeggiano sull”Hôtel de Ville, il municipio di Parigi, quelli degli altri arrondissement, in stazioni, ponti e scuole, in alcuni francobolli, ma anche anche nel testo della canzone “Les Copains D’Abord” di Georges Brassens e nel simbolo dei giochi olimpici del 1924. E poi le si trova nel cuore dei parigini e di tutti quelli che desiderano dire un no deciso al terrore, urlandole fieri come slogan di una battaglia per la vita. Perché, come ha scritto Sfar in uno dei suoi disegni, “quelli che amano, quelli che amano la vita, alla fine sono sempre loro che vincono”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

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