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3 gennaio 2016 - 22 Tevet 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Jonathan Sacks, rabbino
Qualcuno crede che la libertà sia un'illusione. Ma non lo è. È ciò che ci rende umani.
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
L’ironia è una risorsa che hanno i liberi e chi ambisce a rimanerlo. Viceversa, per i fanatici, è il nemico da abbattere, la risorsa da essiccare. Giovedì prossimo, 7 gennaio, sarà il primo anniversario dell’attentato a Charlie Hebdo. Non so come ricorderemo quell’ evento. Se sapremo solo piangere, i fanatici incasseranno un altro punto a loro favore.
Tel Aviv, è caccia al killer
È ancora aperta, dopo la seconda notte di incessanti ricerche, la caccia all’uomo a Tel Aviv per arrestare l’autore dell’attentato del primo dell’anno nel pieno centro della città, identificato come Nashat Milhem, ventinovenne arabo israeliano. Milhem ha aperto il fuoco in un bar della frequentatissima rehov Dizengoff, uccidendo due persone, Alon Bakal, 26 anni, e Shimon Ruimi, 30, e ferendone altre sette. Il Messaggero tra gli altri riporta le voci di condanna della comunità arabo-israeliana, che ha preso le distanze dalla violenza, e l’intervento del primo ministro Benjamin Netanyahu, che si è recato personalmente sul luogo dell’attentato: “Non sono disposto ad accettare due Stati all’interno di Israele. Questo periodo è finito. Se si vuole essere cittadini di Israele e goderne dei diritti – le sue parole – bisogna rispettarne le regole”.

Un accordo che fa discutere. È ufficialmente in vigore da ieri l’accordo firmato a giugno con il quale, di fatto, la Santa Sede riconosce la Palestina come Stato e appoggia il disegno dei due Stati che vivono uno accanto all’altro “in pace e in sicurezza sulla base delle frontiere del 1967”. Già nel giugno scorso le autorità israeliane avevano dichiarato di non poter accettare “le decisioni unilaterali contenute nell’accordo, che non prendono in considerazione gli interessi fondamentali di Israele e lo speciale status storico del popolo ebraico a Gerusalemme”. “In un contesto cosi delicato il riconoscimento da parte del Vaticano non aiuta a semplificare il problema. Non è facile ma forse una linea più prudente avrebbe aiutato di più” dice il rav Giuseppe Laras a Repubblica. Diverso il parere dello scrittore israeliano Abraham Yehoshua, intervistato dal quotidiano: “Siccome nel merito della questione palestinese esso si pronuncia chiaramente a favore della soluzione dei due Stati, non posso che sostenerlo con tutto il mio cuore”.

Faida islamica. È in corso una nuova escalation di violenze tra sciiti e sunniti, che destabilizza ulteriormente il mondo islamico. A far scattare le nuove tensioni la decapitazione in Arabia Saudita dell’imam Nimr al Nimr, tra gli esponenti più rilevanti della minoranza sciita (circa il 25% dei sauditi), nell’ambito dell’esecuzione record di 47 prigionieri accusati di “terrorismo” ordinata dalla monarchia di Riad. Durissima reazione dell’Iran, il cui ministro degli Esteri annuncia che l’uccisione sarà pagata “a caro prezzo”. L’ambasciata saudita a Teheran è stata assaltata in nottata con molotov e saccheggi. Scontri di piazza sono avvenuti anche in altre città iraniane e in Barhein, e anche per oggi sono previste nuove manifestazioni (Corriere della sera).
 
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  davar
tel aviv - la città ferita
Paure, incognite, speranze
Il racconto degli Italkim

“Se smettiamo di vivere le nostre vite liberamente, hanno vinto i terroristi. Domenica si riparte, chi al lavoro chi a scuola”. Come ricorda Daniela Fubini, la vita a Tel Aviv va avanti. Più forte di ogni minaccia terroristica. Più forte di chi vorrebbe distruggere i sogni e le speranze di un intero paese. Un impegno cui non si sottraggono gli Italkim, gli italiani di Israele. Ecco cosa ci hanno raccontato alcuni di loro. “Venerdì la Dizengoff era un po’ giù di corda, ma già da ieri è tornata apparentemente la normalità. D’altronde, si sa, questa è una città particolare” dice Manuela Dviri, 66 anni, scrittrice e attivista di origine padovana. La sua casa si trova a poche centinaia di metri dal luogo dell’attentato tanto che, ci spiega, praticamente ogni giorno passa davanti al locale preso d’assalto. Anche ieri. “Tel Aviv è veramente incredibile. Tutto tranquillo. Tutto normale. C’era persino una festa nel bar all’angolo tra Frishman e Dizengoff” racconta Manuela. I fatti di venerdì sembrano aprire nuovi interrogativi. Ma, avverte Dviri, nella consapevolezza di un punto a suo dire non negoziabile: Israele è un melting pot di anime e identità “che non possono e non devono staccarsi l’una dall’altra”.
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tel aviv - la città ferita
"La nostra resistenza è vivere"
Venerdì alle 14.40 ero a casa da un’ora, dopo una mattinata di commissioni e un caffè con un’amica. Mi apprestavo a rispondere a email e messaggi di buon anno arrivati in nottata, con radio Galgalaatz in sottofondo, a volume basso. Per puro caso ho prestato ascolto all’annunciatrice che con voce calma invitava tutti ad allontanarsi dlala zona Dizengoff / Ben Gurion (a pochi isolati da dove vivo) per via di una sparatoria. Nel giro di pochi secondi sono iniziate a passare ambulanze. Qualche minuto dopo già si sentivano gli elicotteri. Poco dopo le tre, i tre canali di notizie della televisione erano già in diretta. Il luogo effettivo dell’attentato non era all’angolo con Ben Gurion, ma fra Gordon e Frishman. Subito ho iniziato a fare il conto mentale di tutti gli amici che vivono in zona: per prima ho chiamato l’amica che vive nella prima parallela a Dizengoff, esattamente alle spalle del pub “Simta” – era a casa con la bambina piccola e lei e il marito avevano sentito gli spari. Sembrava tranquilla, tutto sommato. Vedeva dalla finestra poliziotti che setacciavano le case intorno, entravano e uscivano dai retri degli edifci. Intanto, uno ad uno, quasi tutti gli amici scrivevano su Facebook che stavano bene. Il suono delle sirene si calmava, ma in aria gli elicotteri non smettevano di girare, e chi vive qui sa che non è buon segno. Se loro sono in cielo, è per segnalare alla polizia a terra dover dirigersi per trovare i fuggitivi. All’inizio di shabbat ancora non si sapeva, terrorismo o atto criminale, ma i corrispondenti dal luogo della sparatoria cominciavano a parlare di attentato.

Daniela Fubini
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tel aviv - la città ferita
Alon Bakal (1989-2016)
“Shana chadasha. Atchala chadasha”. Un anno nuovo, un nuovo inizio.
Lo scriveva Alon Bakal, 26 anni, tre mesi prima di essere colpito a morte, lo scorso venerdì, da un terrorista arabo-israeliano nel locale Simta, dove aveva iniziato a lavorare come manager.
Alon, originario della città di Karmiel, si era trasferito a Tel Aviv il 4 ottobre dopo aver terminato gli studi ed essersi laureato in Law&Business Management a Netanya.
“Era un ragazzo speciale, rappresentava tutto il nostro mondo – ha raccontato il padre David, raggiunto dai giornalisti all’ospedale Ichilov – Alon era un ragazzo felice e ovunque andava riusciva a far sorridere chiunque, aveva una luce che illuminava tutto e tutti”. Solo qualche ora prima, il giovane aveva mandato un messaggio a suo papà per accogliere insieme il 2016: “Va alla grande, è divertente. Amo la vita” gli diceva.
Amava la vita, Alon, come un vero telavivi sa fare: tante serate in discoteca con gli amici, un amore speciale per la squadra del cuore, l’Hapoel Jerusalem (“Con te ovunque vada” aveva scritto sotto una foto nella quale mostrava fiero la sciarpa rossonera), e un nuovo lavoro elettrizzante al Simta, dopo un passato da barman e una lunga carriera da nottambulo.
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tel aviv - la città ferita 
Shimon Ruimi (1985-2016)
“Un uomo di pace e amore. Amore per la gente. Era giovane e ambizioso”. Era un concentrato di positività Shimon Ruimi, una delle due vittime dell’attentato di venerdì scorso. A descriverlo così è il cugino, Shimon anche lui. “Non so da dove cominciare” scrive su Facebook, mentre poco sotto una foto di qualche giorno prima ritrae i due ragazzi sugli spalti di una partita di calcio vestiti di rosso e bianco, i colori della squadra di Beer Sheva.
Shimon, detto Shimi, aveva trent’anni, veniva da Ofakim, non lontano da Beer Sheva, era impiegato civile delle Forze di difesa israeliane.
Ruimi si trovava a Tel Aviv per il weekend per festeggiare i 31 anni del suo amico Ariel Nusbacher insieme ad altri amici d’infanzia.
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avvenire pubblica la nostra intervista 
Combattere le disuguaglianze
La ricetta del Nobel Stiglitz

Il quotidiano
Avvenire pubblica oggi a tutta pagina la grande intervista di Pagine Ebraiche al Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz.
Nell’intervista, realizzata da Daniel Reichel, il celebre economista ripercorre le sue battaglie contro le disuguaglianze e rilancia la sfida di un sistema educativo che garantisca l’istruzione a tutti e permetta di accedere in seconda battuta al mercato del lavoro senza difficoltà.
“Mia madre mi incoraggiava a usare il cervello. E ho avuto la fortuna di avere grandi maestri nel corso del mio percorso scolastico”, riconosce Stiglitz.

(Il disegno è di Giorgio Albertini). 

incriminati per il rogo omicida di duma
Israele e il terrorismo interno
Due estremisti alla sbarra

Formale incriminazione per due giovani estremisti ebrei ritenuti responsabili di un rogo appiccato in estate a Duma, in Cisgiordania, in cui morirono tre membri di una famiglia palestinese tra cui un bambino di un anno e mezzo, il piccolo Ali Saad Dawabsha.
Amiram Ben Oliel, 21 anni, è stato accusato di omicidio. L’altro giovane alla sbarra, che è minorenne e la cui identità non è stata resa nota, di complicità in omicidio.
Contestualmente altri tre estremisti sono stati incriminati per diversi episodi di violenza verificatisi negli scorsi mesi, a danni di cittadini arabi e contro luoghi di culto cattolici. Tutti e tre, stando alle carte, apparterrebbero a nuclei terroristici ispirati a una ideologia “razzista” e “nazionalista”.
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qui firenze
Carlo Lopes Pegna (1928-2016)
Comunità ebraica fiorentina in lutto per la scomparsa di Carlo Lopes Pegna, a lungo presidente della stessa a cavallo tra anni Ottanta e Novanta.
Da sempre impegnato nella vita comunitaria assieme alla moglie Ester, già presidente della sezione locale dell'Adei Wizo, Lopes Pegna era un personaggio molto amato per la sua schiettezza e per il suo carisma.
Alla moglie Ester e ai figli Massimo e Ruben, che dal padre hanno ereditato l'amore per i colori viola diventando entrambi apprezzati giornalisti sportivi, il commosso abbraccio della redazione del portale dell'ebraismo italiano www.moked.it e di Pagine Ebraiche.
I funerali di Carlo Lopes Pegna si svolgeranno domani mattina alle 12 al cimitero cittadino di via di Caciolle.
Sia il suo ricordo di benedizione.

pilpul
Un libro per il sultano
Per Recep Tayyip Erdogan, presidente della Repubblica turca ma anche un po’ sultano (il titolo di califfo, che pure non gli si confarebbe troppo per ragioni di dottrina, pare gli sia stato già scippato da terzi, agenti nella regione limitrofa a quella sulla quale il leader maximo, o caro leader, ovvero duce o qualcosa del genere, vedremo meglio quale titolo gli si addica nei tempi a venire), colui del quale si dicono le peggiori cose in fondo, a pensarci meglio, “ha fatto anche delle buone azioni”. La virgolettatura è di senso, non trattandosi delle vive parole dell’esponente politico di Ankara. Il riferimento è ad Adolf Hitler, già “imbianchino boemo” (così si era espresso Paul von Hindenburg, capo di stato maggiore dell’esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale, poi esponente del conservatorismo che aprì la porta ai nazisti, infine Presidente della Repubblica di Weimar e notaio degli interessi del fascismo tedesco), poi caporale ed infine Führer dell’impero che sarebbe dovuto durare mille anni. Di ritorno da un viaggio in Arabia Saudita, dove evidentemente di totalità e fondamentalismi una qualche cognizione debbono pure averla, ad una specifica domanda sulla preferibilità di un modello rigorosamente presidenziale – in un paese, va ricordato, di quasi ottanta milioni di anime, dove a tutt’oggi vige un sempre più precario sistema istituzionale basato sul parlamentarismo e nel quale le figure del presidente della Repubblica e quella del Primo ministro dovrebbero essere ancora rigorosamente separate – Erdogan, elogiandone le qualità, si è così espresso: “Ci sono esempi in tutto il mondo e ci sono esempi anche del passato. Quando guardate alla Germania di Hitler, lo vedete”.

Claudio Vercelli
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Il settimanaAle - La maledizione
Se la prendeva con Ezra lo scriba Gershom Schocken in un articolo del 29 Agosto 1985, ripubblicato da Haaretz il 1 gennaio. Schocken, che ha diretto il giornale per oltre mezzo secolo, dal 1939 fino alla morte nel 1990, era arrivato a vedere nella proibizione dei matrimoni misti, violentemente imposta da Ezra sui reduci da Babilonia, una maledizione per il popolo ebraico. Manifestatasi come maledizione non negli oltre duemila anni di assoggettamento alla dominazione altrui, che anzi allora ha preservato l’identità ebraica, bensì nei relativamente brevi periodi di indipendenza politica, con gli asmonei ma soprattutto poi con lo stato d’Israele, che quando scriveva Schocken non era neanche quarantenne. Vietare i matrimoni misti significa impedire non solo l’assimilazione ma anche rapporti normali con le minoranze presenti sul territorio nazionale; possono solo o essere cacciate o vivere in conflitto permanente, escluse dalla società, in regime di apartheid. Ciascuno di noi conosce amici arabi che vorrebbero integrarsi nella nostra società, scrive Schocken, se solo glielo permettessimo. Cita i noti esempi biblici e i pochi casi contemporanei di unioni fra ebree ed arabi, e si dice convinto che il fenomeno rimarrebbe comunque numericamente marginale; ma il divieto è “una maledizione da cui dobbiamo liberarci”.
Novello Ezra, il ministro dell’Istruzione Bennett ha ora esteso la proibizione dai rapporti sentimentali al semplice leggere a scuola di tali rapporti nel libro di Dorit Rabinyan Gader Haya, che racconta della storia d’amore fra una traduttrice israeliana e un artista palestinese. La lettura minerebbe i valori dell’ebraismo.


Alessandro Treves, neuroscienziato
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