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7 Gennaio 2016 - 26 Tevet 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
All’inizio della Parashà di Wa-Erà Ha-Qadòsh Barùkh Hu ricorda a Moshè di esserSi già maifestato ad Avrahàm, ad Itzchàq e a Ya’aqòv. Rashì spiega che si tratta degli “Avòth”, termine che designa i Patriarchi.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Nella mia vita ho fatto a pugni solamente una volta. È avvenuto alla Me’arat Hamachpelàh, il sito delle tombe dei Padri e delle Madri a Hebron, durante la preghiera pomeridiana (Minchàh), uno dei momenti culminanti di Yom Kippur, il giorno del digiuno di espiazione ebraico. Eravamo negli anni ’80 e io ero di turno con una compagnia di soldati riservisti di Zahal a fare la guardia allo storico luogo, in una grande sala che a lungo era stata straordinariamente condivisa da ebrei e musulmani nelle loro preghiere quotidiane. Una semplice divisoria nel luogo sacro alle due religioni era formata da un cordone sostenuto da paletti e demarcava lo spazio assegnato a ciascuna, i cui fedeli, generalmente in orari diversi, si alternavano nelle preghiere. Quel giorno però, e non era la prima volta, l’orario della preghiera coincideva, e tutto quello che si richiedeva ai due gruppi era di rispettare il silenzio o perlomeno di limitarsi a un discreto sussurro. Il compito dei soldati era di mantenere l’ordine e di vegliare alla separazione pacifica delle due parti, appunto mediante il cordone e i paletti. A un certo punto alcuni elementi chiaramente identificabili con la parte ebraica incominciavano a inveire contro la parte musulmana sostenendo che quest’ultima non rispettava abbastanza il silenzio. Prontamente giungeva una replica dall’altra parte, e da parte ebraica allora qualcuno scagliava degli oggetti che venivano subito rilanciati, seguiva un lancio di seggiole pieghevoli da parte di facinorosi ebrei, prontamente rilanciate dall’altra parte. Mentre si scatenava una rissa generale che coinvolgeva decine di persone, con in mezzo i militari nel tentativo di separare le parti, una di queste sedie di legno ripiegate volava e mi colpiva alla testa. A questo punto era inevitabile una mia reazione diretta contro un tipo paonazzo, ben più grosso di me, tra i più accesi provocatori da parte ebraica che inveiva contro i militari di Zahal. Con un buon movimento gli facevo perdere l’equilibrio e lui finiva a terra mentre la sua kippàh volava lontano: kippàh di un sedicente ebreo, invaso dall’odio contro Israele, cui non importava nulla della profanazione del luogo sacro proprio nel momento culminante della preghiera, pur di affermare con la forza la sua supremazia in barba all’ordine costituito. Anni dopo Baruch Goldstein, che non escludo potesse essere uno dei partecipanti alla rissa, avrebbe ucciso 29 musulmani nello stesso edificio delle Tombe dei Padri e delle Madri, e l’arrangiamento di convivenza nella preghiera a Hebron sarebbe stato abolito. Mi è venuto in mente l’episodio della scazzottatura di trent’anni fa nell’ascoltare dell’arresto delle persone accusate di aver dato fuoco a una casa nel villaggio palestinese di Duma causando la morte di tre persone. L’abbondante documentazione che accompagna l’arresto dei giovani imputati rivela come si sia evoluto e quanta strada abbia percorso il processo di presa di possesso della legge da parte di individui e di gruppi anarchici e terroristi che negano l’autorità costituita dello Stato d’Israele e aspirano a costruire un potere alternativo in Giudea e Samaria. Le carte sequestrate parlano apertamente di distruggere lo stato sionista e di instaurare al suo posto una monarchia messianica. Inerente alla proposta è anche il piano di riedificare e riaprire al culto il Santuario ebraico sulla spianata del Tempio, il cui sito primario è peraltro oggi occupato da quella che è nota come la Moschea di Omar (la cupola d’oro), e in posizione defilata sul lato meridionale dalla ben più importante Moschea Al Aqsa (la cupola d’argento). I seguaci di queste teorie fanno parte di una rete di giovani deliranti oggi spessi definite no’ar hageva’oth – i ragazzi delle colline. Molti di costoro sono ex-studenti che hanno abbandonato gli studi liceali o la yeshivah, quelli che in altri tempi sarebbero stati definiti teppisti o magari asinelli. La tendenza di molti osservatori, e non solo dei loro difensori, è di minimizzare la sindrome, riducendola a poche decine di ragazzi emarginati. In realtà le cose sono più complesse.
 
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Continuità nel dialogo
“La visita di Wojtyla, 30 anni fa, fu la rivoluzione, lo spartiacque. La seconda è stata fatta da un papa, Ratzinger, che aveva un particolare rapporto con l’ebraismo e che ha voluto sottolineare la continuità. Il suo stile era dottrinale, teologico, sapienzale, anche formale. Adesso credo che gli elementi principali siano la continuità, il particolare momento storico, ma anche il rapporto diverso, pastorale, che Francesco ha con il pubblico”. Così il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni in una intervista al Corriere della sera a pochi giorni dalla visita di Bergoglio in sinagoga (17 gennaio).
Ad accoglierlo – scrive il Sole 24 Ore – oltre ai rappresentanti del mondo ebraico italiano religioso e civile, tra cui il presidente dell’UCEI Renzo Gattegna e a un esponente del governo d’Israele, ci sarà soprattutto la gente, i giovani della comunità e anche gli ex deportati. “Sarà una visita all’insegna del dialogo e della cordialità. È una bella occasione – dice Ruth Dureghello, presidente delle Comunità romana – per continuare il percorso di dialogo che prosegue fra alti e bassi ma con la volontà consolidata di andare avanti”.

Cade oggi il primo anniversario dell’azione terroristica contro la redazione di Charlie Hebdo a Parigi. Tra le molte voci si leva quella del filosofo Alain Finkielkraut, la cui intervista a Figaro è oggi tradotta e proposta da Repubblica. “Gli attentati di gennaio – dice Finkielkraut – hanno chiuso la parentesi incantata della post-Storia. La festa è finita di fronte a un nemico temibile, la Repubblica è tornata a essere la cosa comune e la Francia una patria amata. Ma mentre il popolo scendeva in piazza, gli abitanti di quelli che la ‘neolingua’ chiama ‘quartieri popolari’ rimanevano a casa. Non avevano alcuna intenzione di brandire la matita della libertà di espressione. Charlie aveva insultato il Profeta”.
Questo, sottolinea, è il paradosso della grande manifestazione svoltasi pochi giorni dopo nella capitale francese. Un “momento commovente di unità nazionale”, che avrebbe rivelato “la spaventosa realtà della spaccatura francese”.
 
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  davar
israele
Tel Aviv, il Simta riapre le porte "Non ci pieghiamo al terrore"
Niente musica, qualche bottiglia di birra, una distesa di candele e due foto: quella di Alon Bakal e Shimon Ruimi, i due giovani uccisi lo scorso venerdì da un terrorista arabo-israeliano ancora ricercato dalla polizia. Dopo solo cinque giorni dall’attentato che lo ha colpito, il pub Simta, il locale sulla via Dizengoff, centro pulsante di Tel Aviv, ha riaperto i battenti e ha accolto numerosi ospiti. I proprietari raccontano di aver riflettuto a fondo sulla scelta di spalancare nuovamente le porte, soprattutto per rispetto della Shiva, i sette giorni di lutto previsti dalla religione ebraica, ma poi una spinta è stata più forte; quella di mandare un messaggio chiaro al mondo: “Il terrorismo non ci fermerà”. Un appello fatto proprio anche dal sindaco Ron Huldai che ieri non è voluto mancare e con una birra in mano ha preso posto tra i tavoli del pub, esaltando la resilienza della città bianca: “Il dolore e il trauma che portiamo nei nostri cuori – ha detto il sindaco – fa parte della vita quotidiana del nostro paese”. “Abbiamo affrontato casi simili – ha continuato – e siamo riusciti a superarli”. Huldai si è poi professato molto orgoglioso degli abitanti di Tel Aviv “che ancora una volta hanno dimostrato che questa città non si ferma mai e non conosce pause”. Città che dopo gli ultimi giorni di tensione che hanno visto il dispiegamento di migliaia di agenti e forze dell’ordine, sembra tornare alla normalità. Leggi
qui tel aviv - la testimonianza
"L'immagine di cosa è Israele"
Ieri sera, dopo una giornata di lavoro a Tel Aviv, ho ricevuto un messaggio di un’amica: “Ci incontriamo al Simta bar a Dizengoff. Ha riaperto. Vieni!” Se avessi ricevuto Il messaggio (che è simile a tanti altri che ho sul cellulare) una settimana fa, immagino che lo avrei semplicemente cancellato, rispondendo: “Sono un po’ stanco, ci vediamo domani”. Per chi non la conoscesse, Dizengoff è una delle strade principali a Tel Aviv, è un bel posto per prendere un aperitivo o una birra con amici. Esiste perfino un verbo speciale nello slang dei giovani per dire di andare a Dizengoff: “leizdangef”. Sono stato lì tante volte. Questa volta però era diverso e il messaggio aveva un significato diverso. Mi spiego: il Simta bar era chiuso da venerdì scorso; ma, attenzione, non era chiuso per ferie o per lavori in corso. Era chiuso perché venerdì scorso un arabo con cittadinanza israeliana ha sparato alla gente che era lì e ha ucciso due persone: Shimi e Alon, sia il loro ricordo di benedizione. Così, nonostante la pigrizia, ho deciso di andare. Camminando, sono passato dalla stazione della linea 5 dell’autobus (sempre a Dizengoff), e per la prima volta ho notato qualcosa che non avevo mai notato prima: una pietra. Avvicinandomi alla pietra ho capito che era un memoriale e ho letto quello che c’era scritto: erano nomi. Cercando su internet ho letto che proprio in quel punto un terrorista palestinese, nel 1994, aveva fatto saltare in aria un autobus. Nel attentato sono morte 23 persone e ne sono state ferite 104. Camminando poi verso il Dizengoff center, mi sembrava di camminare con la storia. Un’altra pietra, un altro memoriale, un altro attentato, altri nomi.


Michael Sierra
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MOSSAD - L'ESORDIO DI YOSSI COHEN
"Iran il pericolo più grande"
Esordisce con questo affondo Yossi Cohen, il nuovo capo del Mossad, investito ufficialmente dell’incarico nel corso di una cerimonia svoltasi ieri nella sede di Tel Aviv. “L’Iran continua a invocare la distruzione di Israele, mentre intensifica le sue capacità militari e rafforza il suo controllo sulla regione, utilizzando cellule terroristiche come mezzi per raggiungere questi obiettivi”, ha dichiarato Cohen. “Sono sicuro – ha tuttavia rassicurato – che il Mossad avrà la forza necessaria per rispondere appropriatamente”. Accanto alla minaccia israeliana, sono anche il conflitto intestino al mondo musulmano e il rafforzamento delle organizzazioni terroristiche a preoccuparlo in quanto minaccia per il mondo intero, e per Israele in particolare. Il paese, ha sottolineato, è infatti “all’epicentro dello scontro che ha coinvolto il Medio Oriente negli ultimi anni e l’integralismo islamico si sta insinuando in tutti i paesi, causando il loro crollo”.
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CITY ANGELS E COMUNITà EBRAICA INSIEME
Milano, solidarietà in tavola

Un pasto caldo, un’atmosfera accogliente e camerieri d’eccezione. Hanno trovato tutto questo i senzatetto milanesi invitati dall’associazione di volontari dei City Angels al pranzo organizzato in occasione dell’Epifania ieri all’hotel Principe di Savoia, servito ai tavoli da vari candidati sindaco della città, esponenti della cultura, e rappresentanti delle tre religioni monoteiste. Un messaggio positivo secondo il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach, il co-presidente (insieme a Milo Hasbani) della Comunità del capoluogo lombardo Raffaele Besso e l’assessore ai Giovani Ilan Boni, che hanno aderito all’iniziativa insieme a un gruppo di ragazzi del movimento sionistico Hashomer Hatzair (nell'immagine).

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DAFDAF E L'ARTE - MELAMED
Matisse, un giardino incantato
Da tempo DafDaf cerca ogni occasione per avvicinare i piccoli lettori all’arte, e la nuova collana nata dalla collaborazione fra la casa editrice Fatatrac e il prestigioso MoMa di New York era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Sono nate così nel numero del giornale ebraico dei bambini attualmente in distribuzione tre pagine speciali, in cui le illustrazioni di Cristina Amodeo portano alla scoperta delle opere del grande artista, anche grazie alle parole di Samantha Friedman, curatrice della mostra “Henri Matisse: The Cut Outs”.


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J-ciak
Star Wars, follie israeliane
Guerre Stellari trionfa anche in Israele. Mentre negli Stati Uniti Star Wars: Il risveglio della forza ha totalizzato finora 740 milioni di dollari, battendo un’infinità di record al box office, i primi tre giorni di programmazione israeliani hanno totalizzato centomila spettatori (le cifre delle vendite non sono state rese note): un risultato che gli esperti hanno subito definito incredibile. Fin dalle prime proiezioni, Milhemet HaKochavim, questo il titolo in ebraico fin dal 1977, anno del primo episodio della saga, si è candidato a diventare senz’altro un fenomeno di costume. E gli appassionati, il dj Mike Zof in testa, hanno fatto follie. Come in tutto il mondo, i fan hanno preso d’assalto i cinema vestiti da Darth Vader, Han Solo e via di seguito. I multisala della catena Cinema City, decorati con gadget e memorabilia spaziali di ogni genere, hanno riservato almeno metà delle sale migliori a Star Wars. Ma la caccia ai biglietti è stata tale che nei primi giorni si è scatenato addirittura un mercato nero on line, parallelo a quello ufficiale.

Daniela Gross
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  pilpul
Setirot - Minacce
Pierfrancesco Majorino, assessore al welfare della Giunta Pisapia e candidato alle primarie del centrosinistra, riceve minacce di morte insieme alla sua famiglia perché sostiene la necessità che la città abbia una moschea degna di questo nome e – immagino – ugualmente perché ha gestito più che egregiamente la difficile questione dei migranti nonché quella dei senzatetto. Milano non si merita una simile vergogna dato l’impegno profuso – pure nei confronti della nostra Comunità – nell’attuare politiche di integrazione e di solidarietà, nel nome dei diritti e della legalità. Mi piace così pensare che la presenza dei presidenti della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani e Raffaele Besso tra i camerieri d’eccezione al pranzo organizzato per duecento clochard dall’organizzazione di volontari City Angels all’hotel Principe di Savoia in occasione dell’Epifania sia, in qualche modo, anche una risposta a ignobili gesti di intolleranza e di violenza.

Stefano Jesurum, giornalista 
In ascolto - Capodanno
Parte il preludio al Te Deum di Marc Antoine Charpentier, la telecamera riprende le dita dei musicisti in movimento, l’oro degli ottoni e il legno pregiato degli strumenti ad arco, poi vaga sui tetti di Vienna e finalmente, quando con un cigolio si spalancano le porte del Musikverein ed entra nella Sala Grande, davvero mozzafiato. La voce fuori campo presenta il tradizionale Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker, diretto da Mariss Jansons, nato da madre ebrea a Riga nel 1943, in un nascondiglio, durante l’occupazione nazista. Jansons è un bambino prodigio e già all’età di 13 anni entra al conservatorio di San Pietroburgo. A 23 anni si trasferisce a Vienna per studiare con Hans Swarowsky e poi a Salisburgo con Von Karajan. Oggi è considerato uno dei più importanti direttori d’orchestra del mondo e nel 2013 ha vinto l’Ernst von Siemens Musikpreis.
Jansons è magnetico, ha una straordinaria mimica facciale, sorride volentieri, è attento alle dinamiche e ai colori, ha cura di ogni dettaglio e riesce a plasmare l’espressività di questi orchestrali che sono famosi soprattutto per la perfezione tecnica e il virtuosismo.


Maria Teresa Milano
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Time Out - L'accoglienza
Le violenze subite dalle donne di Colonia lasciano senza parole. Talmente tanto che le reazioni sono di tenore troppo basso per sembrare vere. Cosa ci frena dal dire che questo è un precedente pericolosissimo e che il fatto che a compiere questo gesto fossero uomini di religione musulmana inquieta ancora di più? Non sappiamo se sia un piano organizzato per espandere il terrore con altri mezzi, sappiamo però che non possiamo permetterci che un fatto del genere possa ripetersi. Di certo dobbiamo decidere se difendere i nostri principi con ogni mezzo. L’accoglienza è un valore sacrosanto, da affermare soprattutto quando muoiono troppe persone mentre tentano di raggiungere i nostri paesi, ma che sia ad alcune condizioni: nessun compromesso con i nostri valori fondamentali.

Daniel Funaro

Provaci ancora, Don 
Leggo di tutto, o quasi. In orari differenti, su supporti diversi, di tutto. Fiction e non fiction, contemporanei, classici, teatro poesia fumetto. Leggo per leggere. E, per dire della gravità della mia malattia, che è anche cura, non snobbo nemmeno Fabio Volo: la sua capacità di banalizzare, di intercettare il minimo comun denominatore narrativo, è notevole quanto è preoccupante il seguito che ottiene. Non ho pregiudizi insomma. Beh, quasi: i libri di Bruno Vespa non li leggo, e me ne vanto. Distinguo però, con acribia, i libri di passaggio da quelli da fermata. E credo di saper valutare con buona approssimazione sia la qualità sia la durata di un testo. Ce ne sono alcuni che, tuttavia, mi sono difficili da classificare, come quello dell’odierno Esercizio di Lettura, Il cartello, di Don Winslow (Einaudi, 22 Euro). Proverò a capirlo mentre ne scrivo, seguitemi se vi va, vediamo dove vado.

Valerio Fiandra
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Madri d'Israele - Yasmin 
Raggiante racconta la sua storia con un tono di voce particolarmente acuto, entusiasta, ovviamente. Ride e sorride, si accarezza quel pancione che, per quanto grande, sembra portarlo con estrema leggerezza. Yasmin, trentacinque anni, residente a Rosh Pina, assistente sociale di professione, madre di due splendide bambine per hobby, in dolce attesa, appunto, della terza. “Sono una delle coordinatrici di un’organizzazione chiamata Bonim Atid (costruiamo un futuro, in italiano), organizzazione che si occupa di aiutare quei bambini provenienti da famiglie disadattate.” Scandisce la parola “disadattate” con particolare fervore, come se il termine stesso bastasse per raccontare le storie atroci che si celano dietro alcuni volti angelici. “Bonim Atid si occupa inoltre di ragazzini provenienti da famiglie molto numerose, solitamente con gravi problemi economici. Ragazzini trascurati, chiusi ed insicuri. Tristi.”

David Zebuloni
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Lorenzo Milani 
Fresca di questi giorni è la notizia della quasi (visto che dovremo attendere sino a settembre) imminente pubblicazione dell’edizione degli scritti di Don Lorenzo Milani per i Meridiani Mondadori. Per una curiosa coincidenza, proprio al prete di Barbiana pensavo visitando la mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana in corso a Firenze a Palazzo Strozzi, interrogandomi su due temi. Don Milani è nato da madre ebrea, quindi era ebreo egli stesso, battezzato nell’infanzia nel tentativo di sottrarlo all’antisemitismo di Stato e convertitosi poi ventenne al cattolicesimo, dopo aver iniziato da un paio d’anni a dipingere prima presso l’atelier fiorentino di Hans Joachin Staude, e poi all’Accademia di Brera a Milano.

Sara Valentina Di Palma
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