Elia Richetti,
rabbino
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All’inizio
della Parashà di Wa-Erà Ha-Qadòsh Barùkh Hu ricorda a Moshè di esserSi
già maifestato ad Avrahàm, ad Itzchàq e a Ya’aqòv. Rashì spiega che si
tratta degli “Avòth”, termine che designa i Patriarchi.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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Nella
mia vita ho fatto a pugni solamente una volta. È avvenuto alla Me’arat
Hamachpelàh, il sito delle tombe dei Padri e delle Madri a Hebron,
durante la preghiera pomeridiana (Minchàh), uno dei momenti culminanti
di Yom Kippur, il giorno del digiuno di espiazione ebraico. Eravamo
negli anni ’80 e io ero di turno con una compagnia di soldati
riservisti di Zahal a fare la guardia allo storico luogo, in una grande
sala che a lungo era stata straordinariamente condivisa da ebrei e
musulmani nelle loro preghiere quotidiane. Una semplice divisoria nel
luogo sacro alle due religioni era formata da un cordone sostenuto da
paletti e demarcava lo spazio assegnato a ciascuna, i cui fedeli,
generalmente in orari diversi, si alternavano nelle preghiere. Quel
giorno però, e non era la prima volta, l’orario della preghiera
coincideva, e tutto quello che si richiedeva ai due gruppi era di
rispettare il silenzio o perlomeno di limitarsi a un discreto sussurro.
Il compito dei soldati era di mantenere l’ordine e di vegliare alla
separazione pacifica delle due parti, appunto mediante il cordone e i
paletti. A un certo punto alcuni elementi chiaramente identificabili
con la parte ebraica incominciavano a inveire contro la parte musulmana
sostenendo che quest’ultima non rispettava abbastanza il silenzio.
Prontamente giungeva una replica dall’altra parte, e da parte ebraica
allora qualcuno scagliava degli oggetti che venivano subito rilanciati,
seguiva un lancio di seggiole pieghevoli da parte di facinorosi ebrei,
prontamente rilanciate dall’altra parte. Mentre si scatenava una rissa
generale che coinvolgeva decine di persone, con in mezzo i militari nel
tentativo di separare le parti, una di queste sedie di legno ripiegate
volava e mi colpiva alla testa. A questo punto era inevitabile una mia
reazione diretta contro un tipo paonazzo, ben più grosso di me, tra i
più accesi provocatori da parte ebraica che inveiva contro i militari
di Zahal. Con un buon movimento gli facevo perdere l’equilibrio e lui
finiva a terra mentre la sua kippàh volava lontano: kippàh di un
sedicente ebreo, invaso dall’odio contro Israele, cui non importava
nulla della profanazione del luogo sacro proprio nel momento culminante
della preghiera, pur di affermare con la forza la sua supremazia in
barba all’ordine costituito. Anni dopo Baruch Goldstein, che non
escludo potesse essere uno dei partecipanti alla rissa, avrebbe ucciso
29 musulmani nello stesso edificio delle Tombe dei Padri e delle Madri,
e l’arrangiamento di convivenza nella preghiera a Hebron sarebbe stato
abolito. Mi è venuto in mente l’episodio della scazzottatura di
trent’anni fa nell’ascoltare dell’arresto delle persone accusate di
aver dato fuoco a una casa nel villaggio palestinese di Duma causando
la morte di tre persone. L’abbondante documentazione che accompagna
l’arresto dei giovani imputati rivela come si sia evoluto e quanta
strada abbia percorso il processo di presa di possesso della legge da
parte di individui e di gruppi anarchici e terroristi che negano
l’autorità costituita dello Stato d’Israele e aspirano a costruire un
potere alternativo in Giudea e Samaria. Le carte sequestrate parlano
apertamente di distruggere lo stato sionista e di instaurare al suo
posto una monarchia messianica. Inerente alla proposta è anche il piano
di riedificare e riaprire al culto il Santuario ebraico sulla spianata
del Tempio, il cui sito primario è peraltro oggi occupato da quella che
è nota come la Moschea di Omar (la cupola d’oro), e in posizione
defilata sul lato meridionale dalla ben più importante Moschea Al Aqsa
(la cupola d’argento). I seguaci di queste teorie fanno parte di una
rete di giovani deliranti oggi spessi definite no’ar hageva’oth – i
ragazzi delle colline. Molti di costoro sono ex-studenti che hanno
abbandonato gli studi liceali o la yeshivah, quelli che in altri tempi
sarebbero stati definiti teppisti o magari asinelli. La tendenza di
molti osservatori, e non solo dei loro difensori, è di minimizzare la
sindrome, riducendola a poche decine di ragazzi emarginati. In realtà
le cose sono più complesse.
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Continuità nel dialogo
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“La
visita di Wojtyla, 30 anni fa, fu la rivoluzione, lo spartiacque. La
seconda è stata fatta da un papa, Ratzinger, che aveva un particolare
rapporto con l’ebraismo e che ha voluto sottolineare la continuità. Il
suo stile era dottrinale, teologico, sapienzale, anche formale. Adesso
credo che gli elementi principali siano la continuità, il particolare
momento storico, ma anche il rapporto diverso, pastorale, che Francesco
ha con il pubblico”. Così il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni in
una intervista al Corriere della sera a pochi giorni dalla visita di
Bergoglio in sinagoga (17 gennaio).
Ad accoglierlo – scrive il Sole 24 Ore – oltre ai rappresentanti del
mondo ebraico italiano religioso e civile, tra cui il presidente
dell’UCEI Renzo Gattegna e a un esponente del governo d’Israele, ci
sarà soprattutto la gente, i giovani della comunità e anche gli ex
deportati. “Sarà una visita all’insegna del dialogo e della cordialità.
È una bella occasione – dice Ruth Dureghello, presidente delle Comunità
romana – per continuare il percorso di dialogo che prosegue fra alti e
bassi ma con la volontà consolidata di andare avanti”.
Cade oggi il primo anniversario dell’azione terroristica contro la
redazione di Charlie Hebdo a Parigi. Tra le molte voci si leva quella
del filosofo Alain Finkielkraut, la cui intervista a Figaro è oggi
tradotta e proposta da Repubblica. “Gli attentati di gennaio – dice
Finkielkraut – hanno chiuso la parentesi incantata della post-Storia.
La festa è finita di fronte a un nemico temibile, la Repubblica è
tornata a essere la cosa comune e la Francia una patria amata. Ma
mentre il popolo scendeva in piazza, gli abitanti di quelli che la
‘neolingua’ chiama ‘quartieri popolari’ rimanevano a casa. Non avevano
alcuna intenzione di brandire la matita della libertà di espressione.
Charlie aveva insultato il Profeta”.
Questo, sottolinea, è il paradosso della grande manifestazione svoltasi
pochi giorni dopo nella capitale francese. Un “momento commovente di
unità nazionale”, che avrebbe rivelato “la spaventosa realtà della
spaccatura francese”.
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israele
Tel Aviv, il Simta riapre le porte "Non ci pieghiamo al terrore"
Niente
musica, qualche bottiglia di birra, una distesa di candele e due foto:
quella di Alon Bakal e Shimon Ruimi, i due giovani uccisi lo scorso
venerdì da un terrorista arabo-israeliano ancora ricercato dalla
polizia. Dopo solo cinque giorni dall’attentato che lo ha colpito, il
pub Simta, il locale sulla via Dizengoff, centro pulsante di Tel Aviv,
ha riaperto i battenti e ha accolto numerosi ospiti. I proprietari
raccontano di aver riflettuto a fondo sulla scelta di spalancare
nuovamente le porte, soprattutto per rispetto della Shiva, i sette
giorni di lutto previsti dalla religione ebraica, ma poi una spinta è
stata più forte; quella di mandare un messaggio chiaro al mondo: “Il
terrorismo non ci fermerà”. Un appello fatto proprio anche dal sindaco
Ron Huldai che ieri non è voluto mancare e con una birra in mano ha
preso posto tra i tavoli del pub, esaltando la resilienza della città
bianca: “Il dolore e il trauma che portiamo nei nostri cuori – ha detto
il sindaco – fa parte della vita quotidiana del nostro paese”. “Abbiamo
affrontato casi simili – ha continuato – e siamo riusciti a superarli”.
Huldai si è poi professato molto orgoglioso degli abitanti di Tel Aviv
“che ancora una volta hanno dimostrato che questa città non si ferma
mai e non conosce pause”. Città che dopo gli ultimi giorni di tensione
che hanno visto il dispiegamento di migliaia di agenti e forze
dell’ordine, sembra tornare alla normalità. Leggi
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qui tel aviv - la testimonianza "L'immagine di cosa è Israele"
Ieri
sera, dopo una giornata di lavoro a Tel Aviv, ho ricevuto un messaggio
di un’amica: “Ci incontriamo al Simta bar a Dizengoff. Ha riaperto.
Vieni!” Se avessi ricevuto Il messaggio (che è simile a tanti altri che
ho sul cellulare) una settimana fa, immagino che lo avrei semplicemente
cancellato, rispondendo: “Sono un po’ stanco, ci vediamo domani”. Per
chi non la conoscesse, Dizengoff è una delle strade principali a Tel
Aviv, è un bel posto per prendere un aperitivo o una birra con amici.
Esiste perfino un verbo speciale nello slang dei giovani per dire di
andare a Dizengoff: “leizdangef”. Sono stato lì tante volte. Questa
volta però era diverso e il messaggio aveva un significato diverso. Mi
spiego: il Simta bar era chiuso da venerdì scorso; ma, attenzione, non
era chiuso per ferie o per lavori in corso. Era chiuso perché venerdì
scorso un arabo con cittadinanza israeliana ha sparato alla gente che
era lì e ha ucciso due persone: Shimi e Alon, sia il loro ricordo di
benedizione. Così, nonostante la pigrizia, ho deciso di andare.
Camminando, sono passato dalla stazione della linea 5 dell’autobus
(sempre a Dizengoff), e per la prima volta ho notato qualcosa che non
avevo mai notato prima: una pietra. Avvicinandomi alla pietra ho capito
che era un memoriale e ho letto quello che c’era scritto: erano nomi.
Cercando su internet ho letto che proprio in quel punto un terrorista
palestinese, nel 1994, aveva fatto saltare in aria un autobus. Nel
attentato sono morte 23 persone e ne sono state ferite 104. Camminando
poi verso il Dizengoff center, mi sembrava di camminare con la storia.
Un’altra pietra, un altro memoriale, un altro attentato, altri nomi.
Michael Sierra Leggi
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MOSSAD - L'ESORDIO DI YOSSI COHEN "Iran il pericolo più grande" Esordisce
con questo affondo Yossi Cohen, il nuovo capo del Mossad, investito
ufficialmente dell’incarico nel corso di una cerimonia svoltasi ieri
nella sede di Tel Aviv. “L’Iran continua a invocare la distruzione di
Israele, mentre intensifica le sue capacità militari e rafforza il suo
controllo sulla regione, utilizzando cellule terroristiche come mezzi
per raggiungere questi obiettivi”, ha dichiarato Cohen. “Sono sicuro –
ha tuttavia rassicurato – che il Mossad avrà la forza necessaria per
rispondere appropriatamente”. Accanto alla minaccia israeliana, sono
anche il conflitto intestino al mondo musulmano e il rafforzamento
delle organizzazioni terroristiche a preoccuparlo in quanto minaccia
per il mondo intero, e per Israele in particolare. Il paese, ha
sottolineato, è infatti “all’epicentro dello scontro che ha coinvolto
il Medio Oriente negli ultimi anni e l’integralismo islamico si sta
insinuando in tutti i paesi, causando il loro crollo”. Leggi
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J-ciak
Star Wars, follie israeliane
Guerre
Stellari trionfa anche in Israele. Mentre negli Stati Uniti Star Wars:
Il risveglio della forza ha totalizzato finora 740 milioni di dollari,
battendo un’infinità di record al box office, i primi tre giorni di
programmazione israeliani hanno totalizzato centomila spettatori (le
cifre delle vendite non sono state rese note): un risultato che gli
esperti hanno subito definito incredibile. Fin dalle prime proiezioni,
Milhemet HaKochavim, questo il titolo in ebraico fin dal 1977, anno del
primo episodio della saga, si è candidato a diventare senz’altro un
fenomeno di costume. E gli appassionati, il dj Mike Zof in testa, hanno
fatto follie. Come in tutto il mondo, i fan hanno preso d’assalto i
cinema vestiti da Darth Vader, Han Solo e via di seguito. I multisala
della catena Cinema City, decorati con gadget e memorabilia spaziali di
ogni genere, hanno riservato almeno metà delle sale migliori a Star
Wars. Ma la caccia ai biglietti è stata tale che nei primi giorni si è
scatenato addirittura un mercato nero on line, parallelo a quello
ufficiale.
Daniela Gross
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Setirot
- Minacce
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Pierfrancesco
Majorino, assessore al welfare della Giunta Pisapia e candidato alle
primarie del centrosinistra, riceve minacce di morte insieme alla sua
famiglia perché sostiene la necessità che la città abbia una moschea
degna di questo nome e – immagino – ugualmente perché ha gestito più
che egregiamente la difficile questione dei migranti nonché quella dei
senzatetto. Milano non si merita una simile vergogna dato l’impegno
profuso – pure nei confronti della nostra Comunità – nell’attuare
politiche di integrazione e di solidarietà, nel nome dei diritti e
della legalità. Mi piace così pensare che la presenza dei presidenti
della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani e Raffaele Besso tra i
camerieri d’eccezione al pranzo organizzato per duecento clochard
dall’organizzazione di volontari City Angels all’hotel Principe di
Savoia in occasione dell’Epifania sia, in qualche modo, anche una
risposta a ignobili gesti di intolleranza e di violenza.
Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Capodanno
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Parte
il preludio al Te Deum di Marc Antoine Charpentier, la telecamera
riprende le dita dei musicisti in movimento, l’oro degli ottoni e il
legno pregiato degli strumenti ad arco, poi vaga sui tetti di Vienna e
finalmente, quando con un cigolio si spalancano le porte del
Musikverein ed entra nella Sala Grande, davvero mozzafiato. La voce
fuori campo presenta il tradizionale Concerto di Capodanno dei Wiener
Philharmoniker, diretto da Mariss Jansons, nato da madre ebrea a Riga
nel 1943, in un nascondiglio, durante l’occupazione nazista. Jansons è
un bambino prodigio e già all’età di 13 anni entra al conservatorio di
San Pietroburgo. A 23 anni si trasferisce a Vienna per studiare con
Hans Swarowsky e poi a Salisburgo con Von Karajan. Oggi è considerato
uno dei più importanti direttori d’orchestra del mondo e nel 2013 ha
vinto l’Ernst von Siemens Musikpreis.
Jansons è magnetico, ha una straordinaria mimica facciale, sorride
volentieri, è attento alle dinamiche e ai colori, ha cura di ogni
dettaglio e riesce a plasmare l’espressività di questi orchestrali che
sono famosi soprattutto per la perfezione tecnica e il virtuosismo.
Maria Teresa Milano
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Time Out - L'accoglienza |
Le
violenze subite dalle donne di Colonia lasciano senza parole. Talmente
tanto che le reazioni sono di tenore troppo basso per sembrare vere.
Cosa ci frena dal dire che questo è un precedente pericolosissimo e che
il fatto che a compiere questo gesto fossero uomini di religione
musulmana inquieta ancora di più? Non sappiamo se sia un piano
organizzato per espandere il terrore con altri mezzi, sappiamo però che
non possiamo permetterci che un fatto del genere possa ripetersi. Di
certo dobbiamo decidere se difendere i nostri principi con ogni mezzo.
L’accoglienza è un valore sacrosanto, da affermare soprattutto quando
muoiono troppe persone mentre tentano di raggiungere i nostri paesi, ma
che sia ad alcune condizioni: nessun compromesso con i nostri valori
fondamentali.
Daniel Funaro
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Provaci ancora, Don |
Leggo
di tutto, o quasi. In orari differenti, su supporti diversi, di tutto.
Fiction e non fiction, contemporanei, classici, teatro poesia fumetto.
Leggo per leggere. E, per dire della gravità della mia malattia, che è
anche cura, non snobbo nemmeno Fabio Volo: la sua capacità di
banalizzare, di intercettare il minimo comun denominatore narrativo, è
notevole quanto è preoccupante il seguito che ottiene. Non ho
pregiudizi insomma. Beh, quasi: i libri di Bruno Vespa non li leggo, e
me ne vanto. Distinguo però, con acribia, i libri di passaggio da
quelli da fermata. E credo di saper valutare con buona approssimazione
sia la qualità sia la durata di un testo. Ce ne sono alcuni che,
tuttavia, mi sono difficili da classificare, come quello dell’odierno
Esercizio di Lettura, Il cartello, di Don Winslow (Einaudi, 22 Euro).
Proverò a capirlo mentre ne scrivo, seguitemi se vi va, vediamo dove
vado.
Valerio Fiandra
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Madri d'Israele - Yasmin |
Raggiante
racconta la sua storia con un tono di voce particolarmente acuto,
entusiasta, ovviamente. Ride e sorride, si accarezza quel pancione che,
per quanto grande, sembra portarlo con estrema leggerezza. Yasmin,
trentacinque anni, residente a Rosh Pina, assistente sociale di
professione, madre di due splendide bambine per hobby, in dolce attesa,
appunto, della terza. “Sono
una delle coordinatrici di un’organizzazione chiamata Bonim Atid
(costruiamo un futuro, in italiano), organizzazione che si occupa di
aiutare quei bambini provenienti da famiglie disadattate.” Scandisce la
parola “disadattate” con particolare fervore, come se il termine stesso
bastasse per raccontare le storie atroci che si celano dietro alcuni
volti angelici. “Bonim Atid si occupa inoltre di ragazzini provenienti
da famiglie molto numerose, solitamente con gravi problemi economici.
Ragazzini trascurati, chiusi ed insicuri. Tristi.”
David Zebuloni
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Lorenzo Milani |
Fresca
di questi giorni è la notizia della quasi (visto che dovremo attendere
sino a settembre) imminente pubblicazione dell’edizione degli scritti
di Don Lorenzo Milani per i Meridiani Mondadori. Per una curiosa
coincidenza, proprio al prete di Barbiana pensavo visitando la mostra
Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana in corso a Firenze a
Palazzo Strozzi, interrogandomi su due temi. Don Milani è nato da madre
ebrea, quindi era ebreo egli stesso, battezzato nell’infanzia nel
tentativo di sottrarlo all’antisemitismo di Stato e convertitosi poi
ventenne al cattolicesimo, dopo aver iniziato da un paio d’anni a
dipingere prima presso l’atelier fiorentino di Hans Joachin Staude, e
poi all’Accademia di Brera a Milano.
Sara Valentina Di Palma
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