David
Sciunnach,
rabbino
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“…e
sulla terra d’Egitto verrà l’oscurità e questa diverrà ancora più
fitta”. (Shemòt 10, 21). Ha detto a proposito di questo verso il grande
commentatore italiano Rabbì Ovadià Sforno: L’oscurità che noi
conosciamo non è una creazione di per sé, bensì è la parte negativa
della luce (la mancanza di luce). In un luogo dove non c’è luce è
normale che ci sia l’oscurità, ed in essa non vi è consistenza poiché
basta pochissima luce per allontanare molto buio. Però il buio d’Egitto
è stata una creazione particolare del Creatore fatta per quell’evento
specifico. È per questo che è scritto “e questa diverrà ancora più
fitta”. Proprio per sottolineare che nessuna forma di luce poteva
allontanare.
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David
Assael,
ricercatore
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Massimo
Gramellini, nel suo “Buongiorno” quotidiano, riporta l’inquietante
reazione comparsa sui social network italiani in seguito al suicidio di
un extracomunitario, che si è buttato sotto un treno in corsa. Frasi
all’insegna del “uno di meno da sfamare” e cose simili. Un clima che si
somma a quello, ben peggiore, della caccia allo straniero che si sta
scatenando in Germania e che si era già vista in Francia dopo il 13
novembre. Reazione in cui si contano brutali profanazioni dei luoghi di
culto islamici, accoltellamenti simili a quanto si vede in Israele (le
mode sono contagiose), sprangate che riducono in fin di vita le
persone, non fa alcuna differenza se siriani, turchi, afghani, se
integrati da decenni, se nati nei nostri stessi Paesi. Solitamente,
queste aggressioni sono accompagnate da svastiche e simboli simili,
giusto per capire a chi giova e dove potrà portare questo clima da
caccia alle streghe. Il problema è che questi episodi cominciano a
godere di una protezione politica, se consideriamo l’involuzione
democratica e la propaganda identitaria di Peasi dell’Unione Europea
come Ungheria e Polonia, di fatto fuori dal liberalismo europeo. Un
cortocircuito che pare inarrestabile e che è il grande alleato del
Daesh.
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Terrore a Istanbul,
Berlino reagisce
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Società
tedesca in lutto, ma ferma nella reazione, dopo i drammatici fatti di
sangue avvenuti ieri a Istanbul. “I terroristi sono i nemici
dell’umanità intera, che colpiscano in Francia o in Germania, in Siria
o in Turchia: il loro bersaglio è la nostra vita libera, di liberi
cittadini di democrazie moderne. Li combatteremo con tutta la
determinazione necessaria” dice la cancelliera Angela Merkel. “Non ci
lasceremo intimidire” incalza il ministro degli Esteri Frank-Walter
Steinmeier. I ripetuti appelli alla fermezza, scrive Repubblica,
indicano che la Germania sa benissimo di essere un “bersaglio speciale”
nella strategia del Daesh.
Il Concistoro israelitico di Marsiglia ha invitato a non indossare la
kippah, “in attesa di giorni migliori”. L’appello è stato lanciato dopo
l’agguato a un insegnante, aggredito da un adolescente arabo a colpi di
machete. Non tutti sono d’accordo. “Continueremo a portarla”, ha detto
ad esempio il gran rabbino di Francia Haim Korsia (Corriere e Il Fatto
Quotidiano).
Di certo il clima in Francia è sempre più teso, scrive Repubblica, e
facendo i conti risulta che oltre metà delle aggressioni razziste nel
paese “sono a sfondo antisemita”. Ancora avvolto nel mistero
l’assassinio di Alain Ghozland, 73 anni, consigliere comunale ebreo di
Créteil, banlieue di Parigi, ritrovato morto nel suo appartamento.
Secondo la polizia, Ghozland “è stato violentemente picchiato”. Anche
se la pista privilegiata è quella dell’omicidio a scopo di rapina,
l’Ufficio nazionale di vigilanza contro l’antisemitismo – si legge
ancora – chiede che siano esplorate tutte le piste, compresa quella
islamico-terrorista e quella antisemita.
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ROMA - ALLA VIGILIA DELLA VISITA DI BERGOGLIO
Dialogo - Vian: 'Ancora insieme, di nuovo in cammino'
II
numero di gennaio del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche
pubblica diversi interventi sulla prossima visita di Bergoglio in
sinagoga. RIcco di posizioni e approfondimenti, a partire da una
intervista al presidente dei rabbini italiani Giuseppe Momigliano, il
mensile ospita anche un editoriale del direttore de L'Osservatore Romano Giovanni Maria Vian.
In
un tempo mediaticamente ossessionato dalle prime volte (che spesso
prime non sono affatto), che interesse e che senso può avere la visita
di papa Francesco alla Comunità ebraica di Roma? Non è difficile
rispondere che proprio la consuetudine degli incontri tra il pontefice,
capo visibile della chiesa cattolica, ed esponenti o comunità
dell’ebraismo mondiale, ormai moltiplicatisi soprattutto negli ultimi
anni, rendono questo nuovo incontro, dopo quelli dei suoi predecessori,
non meno significativo, ma al contrario ancora più rilevante nella
crescita irreversibile della reciproca conoscenza (ancora scarsa, per
la verità) e dell’amicizia.
Per la visita, come per quella di Benedetto XVI, è stato scelto il
giorno in cui in Italia si celebra il dialogo tra cattolici ed ebrei,
fissato non casualmente alla vigilia della settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani. In modo analogo, l’organismo della Santa sede
deputato ai rapporti con l’ebraismo è inserito in quello istituito per
favorire l’unione tra le confessioni cristiane tra loro separate. In
modo da esprimere una realtà antica e di cui si va sempre più prendendo
coscienza, e cioè che la prima dolorosa separazione è stata proprio tra
sinagoga e chiesa.
Separazione che ha portato a una storia complicata, fitta di
incomprensioni, inimicizie, disprezzo, violenze, persecuzioni, ma anche
di vicinanza e rapporti fecondi. Attraverso vicende, dialettiche e
tensioni fortissime, anche se queste mai hanno portato ebrei e
cristiani a troncare un legame che non può né potrà essere reciso e il
cui significato sarà rivelato soltanto alla fine dei tempi.
Meno di trent’anni dopo il supplizio sulla croce e la resurrezione di
Gesù, il maestro di Nazaret, è già Paolo a intuire questa storia
misteriosa quando detta la sua lettera alla comunità cristiana di Roma,
di origine ovviamente giudaica e che ancora non conosce.
Nell’età moderna e in quella contemporanea, nuove persecuzioni,
l’assimilazione in alcuni paesi europei, giudeofobie, antigiudaismi e
antisemitismi diversi s’intrecciano fino al maturare e allo scatenarsi
del male radicale nella Shoah, con lo sterminio di sei milioni di ebrei
nel vecchio continente. La tragedia, quasi indicibile nel suo orrore,
porta di fatto a una vicinanza e a una volontà di comprensione nuove
tra cristiani ed ebrei.
Fino alle intuizioni di Giovanni XXIII e soprattutto alla
determinazione di Paolo VI, che con pazienza porta il concilio a votare
quasi all’unanimità una dichiarazione apertamente positiva sulle
religioni non cristiane, e in particolare sull’ebraismo.
La visita del primo vescovo di Roma venuto dall’America alla più antica
comunità della diaspora giudaica avviene appunto cinquant’anni dopo
l’approvazione del testo conciliare.
Per ragioni anagrafiche Bergoglio è anche il primo papa a non avere
partecipato al Vaticano II, ma del concilio che ha cambiato il volto
della chiesa cattolica è figlio, viene da un paese, l’Argentina, dove è
radicata una forte minoranza ebraica, e come vescovo ha alle spalle una
storia di consuetudine e di amicizia con diversi esponenti
dell’ebraismo. Nei decenni successivi al Vaticano II i rapporti di
conoscenza, amicizia e collaborazione tra moltissimi cattolici ed ebrei
si sono intensificati al punto non solo di bilanciare ma addirittura di
soverchiare resistenze e opposizioni che si ritrovano comunque, anche
tenaci, in entrambe le parti.
Più difficile invece è superare l’indifferenza, l’ignoranza e la
diffidenza reciproche. In questo un uomo su tutti va ricordato per
quanto ha fatto a favore dell’avvicinamento tra le due comunità, e
questi è Elio Toaff, per mezzo secolo rabbino capo di Roma, ricordato
da Giovanni Paolo II nel suo testamento singolarmente dominato da una
visione mistica della storia.
Francesco arriva dunque nel Tempio Maggiore di Roma accompagnato da una
storia lunghissima e che nelle ultime settimane è stata segnata da due
documenti molto importanti: una dichiarazione, tanto breve quanto
importante, di venticinque rabbini ortodossi, in gran parte israeliani
e statunitensi, sul significato e sul valore del cristianesimo, da una
parte, e dall’altra un lungo documento della commissione della Santa
sede per i rapporti con l’ebraismo sulla irrevocabilità dei doni di Dio
al popolo della prima alleanza.
Testi che costituiscono un reciproco impegnativo riconoscimento,
nell’affermazione esplicita che una e indivisibile è la vocazione di
ebrei e di cristiani: un passo avanti che non è azzardato definire di
portata storica.
Giovanni Maria Vian, direttore L'Osservatore Romano
(Pagine Ebraiche gennaio 2016)
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DOPO I FATTI DI MARSIGLIA "Kippah in testa, senza paura"
Il popolo della rete si mobilita
“Noi
non dobbiamo cedere a niente. Continueremo a portare la kippà”. È il
messaggio che appare sul profilo twitter del Gran rabbino di Francia
Haim Korsia. Parole inequivocabili, diffuse in rete dopo le
dichiarazioni del presidente del Consistoire di Marsiglia
(l’organizzazione ebraica locale che gestisce i servizi religiosi) Zvi
Ammar, a seguito dell’aggressione antisemita di un insegnante ebreo da
parte di un 15enne di origine turca. Ammar – come riportato da le
Figaro – ha infatti invitato i membri della comunità a non indossare il
copricapo ebraico per questioni di sicurezza, adducendo l’importanza,
per l’ebraismo, della sacralità della vita. Una posizione che ha aperto
un vivace dibattito in rete e ha reso virale l’hashtag #kippa,
inondando gli ebrei di Marsiglia di messaggi di solidarietà. Non solo
rav Korsia ha sottolineato l’importanza di non cedere al ricatto
estremista ma ha anche lanciato il guanto di sfida, invitando i tifosi
dell’Olympique de Marseille a presentarsi con il capo coperto, in segno
di solidarietà, nel corso del prossimo incontro con il Montpellier.
Un’iniziativa
che sta già riscuotendo i primi successi con tanto di diffusione di
kippot con il motto della squadra “Droit au bout”, dritti al punto. Il
caso Marsiglia inoltre ha oramai assunto un carattere esemplificativo,
spingendo il popolo del web a dire la propria e coinvolgendo volti noti
e meno noti. Il filosofo Bernard-Henri Levy difende a spada tratta la
libertà: “La Repubblica – scrive – ha il dovere di proteggere chi
indossa la kippah. E chi la indossa ha il diritto di vivere il proprio
ebraismo come meglio crede”. L’ex ministro dell’Istruzione francese
Francois Bayrou sposa la causa: “Non dobbiamo cedere, come dice rav
Korsia. Dobbiamo mostrare la nostra solidarietà”.
La
vicenda scavalca i confini francesi e la social media manager
israeliana Laura Ben-David si ribella: “Dire agli ebrei di non
indossare la kippà per prevenire le aggressioni non è un po’ come dire
alle donne di non indossare le gonne per evitare gli stupri?”. Tra
indignazione e polveroni, non manca lo spazio per un po’ di amara
ironia e leggerezza.
Da quando è avvenuta l'aggressione di Marsiglia, il celebre vignettista Joann Sfar, papà del best seller Il gatto del rabbino,
pubblica irresistibili disegni sulla questione, disegnando un panorama
paradossale nel quale gli ebrei francesi per vivere al sicuro indossano
la tenuta di un capo indiano e rinunciano alla kippah ritrovandosi così
coinvolti in improbabili avventure, oppure girano per le strade con un
burqa. “Avrei giurato che quella signora con il burqa mi abbia detto
shabbat shalom” dice un passante, mentre l’assistente del rabbino con
il volto coperto gli sussurra: “Rav, deve stare più attento o ci farà
beccare”.
(Nell’immagine
una vignetta di Joann Sfar. “Nel karate – dice l’insegnante – c’è la
cintura bianca, gialla, rossa e nera”, “E poi?”, chiede il bambino.
“Poi, quando sarai veramente invincibile, potrai sempre provare a
indossare una kippah”, risponde lui)
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Ticketless - Argonoctium
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L’Unione
Internazionale di Chimica Pura e Applicata (Iupac) ha convalidato
ufficialmente la scoperta di quattro nuovi elementi chimici che vanno a
completare il settimo periodo del Sistema periodico. I nomi provvisori
dei quattro elementi sono: 113 (ununtrium, simbolo Uut), 115
(ununpentium, simbolo Uup), 117 (ununseptium, simbolo Uus) e 118
(ununoctium, simbolo Uuo). Quello che produce maggiori difficoltà è il
118: sembrerebbe assai simile a un gas nobile ovvero a un gas inserte.
Un nipotino, si direbbe, di Argon, l’inoperoso. Unoargonoctium? Il
dormiglione? I lettori del Sistema periodico di Levi potrebbero
ricordare allo scienziato giapponesem cui si deve la straordinaria
scoperta scientifica, che è tuttora aperta la questione posta dallo
scrittore torinese. Tutti i nobili sono inerti? E tutti gli inerti sono
nobili?
Alberto Cavaglion
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Periscopio
- Indifferenza
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Nel
mio intervento pubblicato sul notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24
della settimana scorsa, ho svolto qualche amara considerazione relativa
all’ennesimo atto di discriminazione compiuto ai danni di cittadini
israeliani (si trattava, stavolta, dei surfisti esclusi dalla
competizione internazionale in Malesia), nell’indifferenza pressoché
totale delle autorità sportive e dell’opinione pubblica, ormai
completamente assuefatta a qualsiasi tipo di prepotenza e sopruso ai
danni dei cittadini di Israele, considerati cose del tutto normali, non
degne neanche di commento. Vorrei oggi prendere spunto da questo penoso
episodio (che, com’è noto, non è che un esempio tra gli innumerevoli
disponibili) per ribadire e argomentare quella che è da sempre una mia
profonda convinzione
Francesco Lucrezi, storico
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