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13 Gennaio 2016 - 3 Shevat 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“…e sulla terra d’Egitto verrà l’oscurità e questa diverrà ancora più fitta”. (Shemòt 10, 21). Ha detto a proposito di questo verso il grande commentatore italiano Rabbì Ovadià Sforno: L’oscurità che noi conosciamo non è una creazione di per sé, bensì è la parte negativa della luce (la mancanza di luce). In un luogo dove non c’è luce è normale che ci sia l’oscurità, ed in essa non vi è consistenza poiché basta pochissima luce per allontanare molto buio. Però il buio d’Egitto è stata una creazione particolare del Creatore fatta per quell’evento specifico. È per questo che è scritto “e questa diverrà ancora più fitta”. Proprio per sottolineare che nessuna forma di luce poteva allontanare.
David
Assael,
ricercatore
Massimo Gramellini, nel suo “Buongiorno” quotidiano, riporta l’inquietante reazione comparsa sui social network italiani in seguito al suicidio di un extracomunitario, che si è buttato sotto un treno in corsa. Frasi all’insegna del “uno di meno da sfamare” e cose simili. Un clima che si somma a quello, ben peggiore, della caccia allo straniero che si sta scatenando in Germania e che si era già vista in Francia dopo il 13 novembre. Reazione in cui si contano brutali profanazioni dei luoghi di culto islamici, accoltellamenti simili a quanto si vede in Israele (le mode sono contagiose), sprangate che riducono in fin di vita le persone, non fa alcuna differenza se siriani, turchi, afghani, se integrati da decenni, se nati nei nostri stessi Paesi. Solitamente, queste aggressioni sono accompagnate da svastiche e simboli simili, giusto per capire a chi giova e dove potrà portare questo clima da caccia alle streghe. Il problema è che questi episodi cominciano a godere di una protezione politica, se consideriamo l’involuzione democratica e la propaganda identitaria di Peasi dell’Unione Europea come Ungheria e Polonia, di fatto fuori dal liberalismo europeo. Un cortocircuito che pare inarrestabile e che è il grande alleato del Daesh.
 
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Terrore a Istanbul,
Berlino reagisce
Società tedesca in lutto, ma ferma nella reazione, dopo i drammatici fatti di sangue avvenuti ieri a Istanbul. “I terroristi sono i nemici dell’umanità intera, che colpiscano in Francia o in Germania, in Siria o in Turchia: il loro bersaglio è la nostra vita libera, di liberi cittadini di democrazie moderne. Li combatteremo con tutta la determinazione necessaria” dice la cancelliera Angela Merkel. “Non ci lasceremo intimidire” incalza il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. I ripetuti appelli alla fermezza, scrive Repubblica, indicano che la Germania sa benissimo di essere un “bersaglio speciale” nella strategia del Daesh.

Il Concistoro israelitico di Marsiglia ha invitato a non indossare la kippah, “in attesa di giorni migliori”. L’appello è stato lanciato dopo l’agguato a un insegnante, aggredito da un adolescente arabo a colpi di machete. Non tutti sono d’accordo. “Continueremo a portarla”, ha detto ad esempio il gran rabbino di Francia Haim Korsia (Corriere e Il Fatto Quotidiano).
Di certo il clima in Francia è sempre più teso, scrive Repubblica, e facendo i conti risulta che oltre metà delle aggressioni razziste nel paese “sono a sfondo antisemita”. Ancora avvolto nel mistero l’assassinio di Alain Ghozland, 73 anni, consigliere comunale ebreo di Créteil, banlieue di Parigi, ritrovato morto nel suo appartamento. Secondo la polizia, Ghozland “è stato violentemente picchiato”. Anche se la pista privilegiata è quella dell’omicidio a scopo di rapina, l’Ufficio nazionale di vigilanza contro l’antisemitismo – si legge ancora – chiede che siano esplorate tutte le piste, compresa quella islamico-terrorista e quella antisemita.
 
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  davar
ROMA - ALLA VIGILIA DELLA VISITA DI BERGOGLIO 
Dialogo - Vian: 'Ancora insieme, di nuovo in cammino'

II numero di gennaio del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica diversi interventi sulla prossima visita di Bergoglio in sinagoga. RIcco di posizioni e approfondimenti, a partire da una intervista al presidente dei rabbini italiani Giuseppe Momigliano, il mensile ospita anche un editoriale del direttore de L'Osservatore Romano Giovanni Maria Vian.

In un tempo mediaticamente ossessionato dalle prime volte (che spesso prime non sono affatto), che interesse e che senso può avere la visita di papa Francesco alla Comunità ebraica di Roma? Non è difficile rispondere che proprio la consuetudine degli incontri tra il pontefice, capo visibile della chiesa cattolica, ed esponenti o comunità dell’ebraismo mondiale, ormai moltiplicatisi soprattutto negli ultimi anni, rendono questo nuovo incontro, dopo quelli dei suoi predecessori, non meno significativo, ma al contrario ancora più rilevante nella crescita irreversibile della reciproca conoscenza (ancora scarsa, per la verità) e dell’amicizia.
Per la visita, come per quella di Benedetto XVI, è stato scelto il giorno in cui in Italia si celebra il dialogo tra cattolici ed ebrei, fissato non casualmente alla vigilia della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. In modo analogo, l’organismo della Santa sede deputato ai rapporti con l’ebraismo è inserito in quello istituito per favorire l’unione tra le confessioni cristiane tra loro separate. In modo da esprimere una realtà antica e di cui si va sempre più prendendo coscienza, e cioè che la prima dolorosa separazione è stata proprio tra sinagoga e chiesa.
Separazione che ha portato a una storia complicata, fitta di incomprensioni, inimicizie, disprezzo, violenze, persecuzioni, ma anche di vicinanza e rapporti fecondi. Attraverso vicende, dialettiche e tensioni fortissime, anche se queste mai hanno portato ebrei e cristiani a troncare un legame che non può né potrà essere reciso e il cui significato sarà rivelato soltanto alla fine dei tempi.
Meno di trent’anni dopo il supplizio sulla croce e la resurrezione di Gesù, il maestro di Nazaret, è già Paolo a intuire questa storia misteriosa quando detta la sua lettera alla comunità cristiana di Roma, di origine ovviamente giudaica e che ancora non conosce.
Nell’età moderna e in quella contemporanea, nuove persecuzioni, l’assimilazione in alcuni paesi europei, giudeofobie, antigiudaismi e antisemitismi diversi s’intrecciano fino al maturare e allo scatenarsi del male radicale nella Shoah, con lo sterminio di sei milioni di ebrei nel vecchio continente. La tragedia, quasi indicibile nel suo orrore, porta di fatto a una vicinanza e a una volontà di comprensione nuove tra cristiani ed ebrei.
Fino alle intuizioni di Giovanni XXIII e soprattutto alla determinazione di Paolo VI, che con pazienza porta il concilio a votare quasi all’unanimità una dichiarazione apertamente positiva sulle religioni non cristiane, e in particolare sull’ebraismo.
La visita del primo vescovo di Roma venuto dall’America alla più antica comunità della diaspora giudaica avviene appunto cinquant’anni dopo l’approvazione del testo conciliare.
Per ragioni anagrafiche Bergoglio è anche il primo papa a non avere partecipato al Vaticano II, ma del concilio che ha cambiato il volto della chiesa cattolica è figlio, viene da un paese, l’Argentina, dove è radicata una forte minoranza ebraica, e come vescovo ha alle spalle una storia di consuetudine e di amicizia con diversi esponenti dell’ebraismo. Nei decenni successivi al Vaticano II i rapporti di conoscenza, amicizia e collaborazione tra moltissimi cattolici ed ebrei si sono intensificati al punto non solo di bilanciare ma addirittura di soverchiare resistenze e opposizioni che si ritrovano comunque, anche tenaci, in entrambe le parti.
Più difficile invece è superare l’indifferenza, l’ignoranza e la diffidenza reciproche. In questo un uomo su tutti va ricordato per quanto ha fatto a favore dell’avvicinamento tra le due comunità, e questi è Elio Toaff, per mezzo secolo rabbino capo di Roma, ricordato da Giovanni Paolo II nel suo testamento singolarmente dominato da una visione mistica della storia.
Francesco arriva dunque nel Tempio Maggiore di Roma accompagnato da una storia lunghissima e che nelle ultime settimane è stata segnata da due documenti molto importanti: una dichiarazione, tanto breve quanto importante, di venticinque rabbini ortodossi, in gran parte israeliani e statunitensi, sul significato e sul valore del cristianesimo, da una parte, e dall’altra un lungo documento della commissione della Santa sede per i rapporti con l’ebraismo sulla irrevocabilità dei doni di Dio al popolo della prima alleanza.
Testi che costituiscono un reciproco impegnativo riconoscimento, nell’affermazione esplicita che una e indivisibile è la vocazione di ebrei e di cristiani: un passo avanti che non è azzardato definire di portata storica.


Giovanni Maria Vian, direttore L'Osservatore Romano

(Pagine Ebraiche gennaio 2016)

DOPO I FATTI DI MARSIGLIA
"Kippah in testa, senza paura"

Il popolo della rete si mobilita
“Noi non dobbiamo cedere a niente. Continueremo a portare la kippà”. È il messaggio che appare sul profilo twitter del Gran rabbino di Francia Haim Korsia. Parole inequivocabili, diffuse in rete dopo le dichiarazioni del presidente del Consistoire di Marsiglia (l’organizzazione ebraica locale che gestisce i servizi religiosi) Zvi Ammar, a seguito dell’aggressione antisemita di un insegnante ebreo da parte di un 15enne di origine turca. Ammar – come riportato da le Figaro – ha infatti invitato i membri della comunità a non indossare il copricapo ebraico per questioni di sicurezza, adducendo l’importanza, per l’ebraismo, della sacralità della vita. Una posizione che ha aperto un vivace dibattito in rete e ha reso virale l’hashtag #kippa, inondando gli ebrei di Marsiglia di messaggi di solidarietà. Non solo rav Korsia ha sottolineato l’importanza di non cedere al ricatto estremista ma ha anche lanciato il guanto di sfida, invitando i tifosi dell’Olympique de Marseille a presentarsi con il capo coperto, in segno di solidarietà, nel corso del prossimo incontro con il Montpellier.

Un’iniziativa che sta già riscuotendo i primi successi con tanto di diffusione di kippot con il motto della squadra “Droit au bout”, dritti al punto. Il caso Marsiglia inoltre ha oramai assunto un carattere esemplificativo, spingendo il popolo del web a dire la propria e coinvolgendo volti noti e meno noti. Il filosofo Bernard-Henri Levy difende a spada tratta la libertà: “La Repubblica – scrive – ha il dovere di proteggere chi indossa la kippah. E chi la indossa ha il diritto di vivere il proprio ebraismo come meglio crede”. L’ex ministro dell’Istruzione francese Francois Bayrou sposa la causa: “Non dobbiamo cedere, come dice rav Korsia. Dobbiamo mostrare la nostra solidarietà”.
La vicenda scavalca i confini francesi e la social media manager israeliana Laura Ben-David si ribella: “Dire agli ebrei di non indossare la kippà per prevenire le aggressioni non è un po’ come dire alle donne di non indossare le gonne per evitare gli stupri?”. Tra indignazione e polveroni, non manca lo spazio per un po’ di amara ironia e leggerezza.
Da quando è avvenuta l'aggressione di Marsiglia, il celebre vignettista Joann Sfar, papà del best seller Il gatto del rabbino, pubblica irresistibili disegni sulla questione, disegnando un panorama paradossale nel quale gli ebrei francesi per vivere al sicuro indossano la tenuta di un capo indiano e rinunciano alla kippah ritrovandosi così coinvolti in improbabili avventure, oppure girano per le strade con un burqa. “Avrei giurato che quella signora con il burqa mi abbia detto shabbat shalom” dice un passante, mentre l’assistente del rabbino con il volto coperto gli sussurra: “Rav, deve stare più attento o ci farà beccare”.

(Nell’immagine una vignetta di Joann Sfar. “Nel karate – dice l’insegnante – c’è la cintura bianca, gialla, rossa e nera”, “E poi?”, chiede il bambino. “Poi, quando sarai veramente invincibile, potrai sempre provare a indossare una kippah”, risponde lui)
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QUI ROMA - MEMORIA
Il coraggio della testimonianza
La musica come costante simbolo di vita, portatrice di note di speranza e allo stesso tempo di dolore, una musica che echeggia nel passato e nel futuro. È proprio lei il filo conduttore del film documentario scritto da Cesare Israel Moscati “Suonate ancora, il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere”, il punto in comune tra una serie di individui sparsi l’Europa e Israele che non si conoscono ma raccontano la loro vita e la presenza del fardello della tragedia della Shoah nella storia familiare attraverso il loro legame con la musica.
Il film, diretto da Beppe Tufarulo e prodotto da Global Vision Group con Rai Cinema, è stato proiettato ieri sera al cinema Barberini di Roma, primo di un ciclo di eventi dedicati al Giorno della Memoria e patrocinati dal Centro di cultura della Comunità ebraica e dalla fondazione Museo della Shoah.


(Nell'immagine il liutatio Amnon Weinstein)
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venezia - PRESENTATE LE INIZIATIVE IN LAGUNA
Memoria, un impegno diffuso
Conferenza stampa a Ca’ Farsetti per presentare il programma dedicato al Giorno della memoria di quest’anno. Presenti all’incontro il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro; la presidente del Consiglio comunale, Ermelinda Damiano; l’assessore comunale al Turismo, Decentramento e Rapporti con le Municipalità, Paola Mar; la presidente della Commissione Attività e politiche culturali, Giorgia Pea; Paolo Navarro Dina per la Comunità ebraica veneziana e i rappresentanti delle associazioni facenti parte del coordinamento cittadino per le iniziative legate al 27 gennaio.

Michael Calimani
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pilpul
Ticketless - Argonoctium
L’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (Iupac) ha convalidato ufficialmente la scoperta di quattro nuovi elementi chimici che vanno a completare il settimo periodo del Sistema periodico. I nomi provvisori dei quattro elementi sono: 113 (ununtrium, simbolo Uut), 115 (ununpentium, simbolo Uup), 117 (ununseptium, simbolo Uus) e 118 (ununoctium, simbolo Uuo). Quello che produce maggiori difficoltà è il 118: sembrerebbe assai simile a un gas nobile ovvero a un gas inserte. Un nipotino, si direbbe, di Argon, l’inoperoso. Unoargonoctium? Il dormiglione? I lettori del Sistema periodico di Levi potrebbero ricordare allo scienziato giapponesem cui si deve la straordinaria scoperta scientifica, che è tuttora aperta la questione posta dallo scrittore torinese. Tutti i nobili sono inerti? E tutti gli inerti sono nobili?

Alberto Cavaglion
Periscopio - Indifferenza
Nel mio intervento pubblicato sul notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24 della settimana scorsa, ho svolto qualche amara considerazione relativa all’ennesimo atto di discriminazione compiuto ai danni di cittadini israeliani (si trattava, stavolta, dei surfisti esclusi dalla competizione internazionale in Malesia), nell’indifferenza pressoché totale delle autorità sportive e dell’opinione pubblica, ormai completamente assuefatta a qualsiasi tipo di prepotenza e sopruso ai danni dei cittadini di Israele, considerati cose del tutto normali, non degne neanche di commento. Vorrei oggi prendere spunto da questo penoso episodio (che, com’è noto, non è che un esempio tra gli innumerevoli disponibili) per ribadire e argomentare quella che è da sempre una mia profonda convinzione

Francesco Lucrezi, storico
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