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21 febbraio 2017 - 25 shevat 5777
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narrativa

Eccoci con Segnalibro

img headerJonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda

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Guido Vitale

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Saperi digitali

Sefaria, il libro ebraico a portata di click

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memoria

Un museo per ricordare 'come se'

img headerMassimiliano Boni, Il museo delle penultime cose, 66th and 2nd

“Prima di raccontare, i sopravvissuti si prendevano sempre quella pausa […]. Come se sapessero che, una volta cominciato, non si sarebbe più potuti tornare indietro: come se fosse l’ultimo momento di quiete prima che tutti i fantasmi, tutti i dolori, tutti i ricordi del male provato laggiù tornassero alla vita dopo tanto silenzio.”
“… avevo paura come se i ricordi potessero contaminarmi. Come se rievocare il passato potesse rendere possibile che tutto accada di nuovo… come se i miei incubi fossero diventati realtà…”

Non è possibile accostarsi alla Shoah, provare a parlarne e nemmeno farne la storia, senza ricorrere al “come se”: ponte tra il passato e il presente, tra l’immaginazione e il reale inimmaginabile, tra l’esperienza di altri e il nostro vissuto. Ponte immaginativo che diventa ancor più necessario quanto più ci si allontana dall’evento e dalla sua esperienza diretta. Ma il “come se” è anche una “contaminazione” senza riparo, per la quale ancora le nuove generazioni di ebrei si identificano con quel passato, come se fosse un vissuto e una minaccia sempre presente (cfr. Raffaella Di Castro, Testimoni del non-provato. Ricordare, pensare, immaginare la Shoah nella terza generazione, Carocci 2008). 
Al “come se” – come leggiamo nei brani sopra citati - ricorre continuamente Pacifico Lattes, protagonista del romanzo di Massimiliano Boni, Il museo delle penultime cose (66th and 2nd, Roma 2017, pp.373). Storico, vicedirettore del Museo della Shoah di Roma che Boni immagina finalmente realizzato, Pacifico è testimone in un futuro prossimo - il romanzo è ambientato nel 2031 - del passaggio cruciale dalla memoria alla postmemoria, all’epoca cioè in cui gli ultimi sopravvissuti allo sterminio saranno scomparsi.
Gli ultimi sopravvissuti. Ma il romanzo si intitola “Il museo delle penultime cose”. E il senso è molteplice.

Raffaella Di Castro

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Storia

Il secolo breve nella casa dell'ebraismo

memoria

L’altra Anne, il suo diario finalmente ritrovato

Angelina Procaccia, Sandra Terracina, Ambra Tedeschi, Una storia nel secolo breve, Giuntina

Un libro di oltre 700 pagine per raccontare 115 anni di storia del Pitigliani, il più importante centro di cultura ebraica della capitale. «Per realizzare il volume - racconta Anna Tedeschi, 62 anni, che dirige la struttura di via Arco de' Tolomei - sono stati necessari 15 anni: l'idea nacque nel 2002 per il centenario, e ne è venuta fuori una delle grandi raccolte di storia orale mai fatte a Roma, con oltre cento interviste».

Gabriele Isman
La Repubblica Roma
19 febbraio 2017

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Eva Heyman, Io voglio vivere, Giuntina



Un diario ritrovato. La sofferenza di un’adolescente. La testimonianza di un’altra Anne che viene alla luce. “Ha vissuto appena tredici anni Éva Heyman, scrive Andrea Rényi nella postfazione di Io voglio vivere (Giuntina editore) «la ragazzina con quel meraviglioso visino da mela, con la sua avida curiosità, l’ambizione, la vanità, gli occhi luminosi che sprizzavano energia».


Pagine Ebraiche
febbraio 2017


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Memoria

Le ferite che a volte liberano

img headerHalina Grynberg, Memoria ferita aperta. Mameloshn, Giuntina

Certe cose è meglio saperle: costano molto, ma liberano.
La psicanaliscrittrice (non è un refuso, è una definizione) Halina Grynberg lo sa, e lo ha scritto in un libro che scotta e lenisce, pubblicato da Giuntina per la traduzione e la cura di Vincenzo Barca, dal titolo Memoria Ferita Aperta – Mamelshon. La donna nata un 14 luglio a Sciewodizsce in Polonia, e che sarebbe potuta rinascere a Parigi come Aline, diventa infine Halina a Rio de Janeiro anche grazie a questo notevole Esercizio di Scrittura e Autoanalisi. Ha cambiato se stessa mediante la sua Lingua; senza Mameloshn non sarebbe stata lei, ma ora può pensare, parlare e sognare in portoghese, in francese e forse anche in polacco, e senza tradirsi: ora ha “un nome con cui esser chiamata”.
La storia che racconta questo libro di memorie spezzate ma integrate è quella di “tre alleati nell’incoerenza”: la madre, il padre e lei stessa. L’ombra lunga della Shoah determina le loro vite; ne condiziona pensieri, parole e azioni; ne combina i viaggi e le relazioni, le fughe e i ritorni. Dalla Polonia alla Siberia, a Haifa, a Marsiglia, a Parigi, a Rio – il loro percorso è lo stesso, quello di chi lotta contro il destino; solo Halina lo capovolgerà, riscattandosi dopo aver dato l’addio a sua madre “nel ventre della notte”, quando si raccoglie “nell’estasi selvaggia di chi per perdonare non osa dimenticare”.

Valerio Fiandra

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