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25 febbraio 2016 - 16 Adar I 5776
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confronto apertO

Pochi ma buoni. O tenerissimi
La ricetta giusta per il rabbino

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I rabbini italiani e la giunta dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane stanno portando  avanti in queste settimane un confronto, caratterizzato da apertura e unità di intenti, alla ricerca di un assetto ordinato e coerente nella regolazione dei rapporti di lavoro fra rabbini e comunità ebraiche. A partecipare ai lavori, il presidente dell'Assemblea dei rabbini d'Italia rav Giuseppe Momigliano assieme ai rabbini capo di Roma e di Milano, Riccardo Di Segni e Alfonso Arbib, al rav Alberto Funaro (in rappresentanza dell'Ari) e al rabbino capo di Padova Adolfo Locci, che è anche componente della Giunta e della Consulta rabbinica dell'Unione (presente agli incontri anche il rabbino Ezra Hariri Raful, ospite della Giunta in quanto referente rabbinico per il progetto del marchio nazionale italiano della casherut "K.it" varato dall'UCEI). Pubblichiamo di seguito una riflessione per Pagine Ebraiche di rav Riccardo Di Segni, scritta nel periodo in cui si discuteva la riforma statutaria dell’UCEI che fu poi approvata nel dicembre 2010.

L’attuale assetto delle Comunità ebraiche in Italia prevede la presenza di un rabbino capo come “organo” istituzionale, accanto al presidente e al Consiglio. Nel tumulto transizionale di questi mesi è normale che questo ruolo sia messo in discussione. Il dibattito non è nuovo né locale ma dalle nostre parti, per gli assetti storici che ci siamo dati, assume caratteri particolari. Negli USA, dove vivono milioni di ebrei, c’è una grande possibilità di scelta: tutte le frange possibili dell’ortodossia, dalla più charedì alla modern, i conservative, i reform e quant’altro. Se il rabbino della sinagoga all’angolo ti sta antipatico, anche se è della tua “denomination”, perchè fa troppa politica o perché le sue derashot sono terribilmente noiose o perchè il gefilte fish del kiddush è troppo dolciastro e non come lo faceva tua nonna, hai un’altra schul a un isolato più lontano. Il mercato è libero, l’offerta abbondante. In Israele la situazione è un po’ differente. La scelta di denominazioni non tanto ortodosse è meno ampia, ma anche lì tra gli ortodossi puoi scegliere chi ti va più a genio. A confronto, la situazione dalle nostre parti è disarmante. Siamo come un supermercato di tipo discount dove la scelta è minima. O prendi o lasci. Con la differenza che almeno al discount qualcosa risparmi. Qui se il rabbino è noioso, il chazan stonato, la gente decisamente antipatica, la sorveglianza non cordiale, le possibilità di scelta sono poche.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Pagine Ebraiche, maggio 2010

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PROSPETTIVE da WASHINGTON

Il giudice e l'amicizia impossibile

img headerAntonin Scalia e Ruth Bader Ginsburg erano quelli che nella cultura popolare vengono comunemente definiti frenemies, nemici-amici. Divisi inequivocabilmente sulla lettura della Costituzione americana, i due giudici della Corte suprema trascorrevano insieme le vacanze e condividevano la passione per l'opera.
Il primo, scomparso il 13 febbraio scorso, era un campione delle posizioni conservatrici: cattolico credente, sottolineava che l'aborto non era un diritto contenuto nella Costituzione giustificando la sua posizione attraverso il XIV emendamento, dedicato alla cittadinanza e alla pari protezione dei cittadini. Aveva espresso più volte la sua contrarietà nei confronti del matrimonio omosessuale, specificando – dopo la sentenza dello scorso giugno che ha esteso il riconoscimento del matrimonio omosessuale a tutti gli Stati che non prevedevano nel loro ordinamento giuridico questa possibilità – che “un sistema di governo che rende le persone subordinate a un comitato di 9 giudici non merita di essere chiamata democrazia”. Per quanto riguarda il possesso di armi, polemica che da anni infiamma gli Stati Uniti – Scalia ritornava alle parole della Costituzione, specificando che essa “non permette divieti assoluti nel possesso di pistole a casa e nel loro uso per legittima difesa”.

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Orizzonte mondo

La strana guerra all’ISIS

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Ha dell'incredibile quanto l'Europa, nel tempo che intercorre tra un attentato islamista e quello successivo, sia incapace di essere all'altezza della situazione. Due giorni fa l'Isis ha compiuto stragi a Homs e Damasco provocando almeno centottanta morti e venti giorni prima ne aveva causati una settantina. Ma qui da noi è tempo di relax, al più di tranquille discussioni tra specialisti sulle prospettive militari in Siria o in Libia. L'Europa ama questo genere di pause ristoratrici. Dziwna wojna, (strano conflitto) fu la definizione che per primi diedero i polacchi del curioso clima sul fronte occidentale dopo che nel settembre del 1939 il loro Paese era stato occupato da tedeschi e sovietici, Francia e Inghilterra avevano dichiarato guerra alla Germania nazista, ma poi fino al maggio del 1940 le armi sulla linea Maginot avevano taciuto. Komischer Krieg fu lo sbeffeggiamento che giunse da Berlino. Finché il giornalista francese Roland Dorgelès, collaboratore del settimanale di estrema destra Gringoire, coniò un'espressione destinata a entrare nei libri di storia: drôle de guerre. Una strana guerra, effettivamente: per settimane e settimane nei caffè di Parigi si continuò a fare la vita di sempre e sui giornali se ne discuteva come se la conflagrazione non fosse già avvenuta.


Paolo Mieli, Corriere della Sera
23 febbraio 2016


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Orizzonte mondo

Cos’è un attentato

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Le analisi degli attentati, lo studio del la psicologia degli attentatori (penso al lavoro di Scott Atran sui “valori sacri”) si rivolgono soprattutto a politici e decision makers, dovrebbero informare e influenzare la decisione collettiva: scelte di politica interna ed estera, di istruzione pubblica, di politiche sociali. Non ci sono invece vere e proprie politiche rivolte ai cittadini, a parte qualche gesto poco più che simbolico, come certi pannelli con le istruzioni a fumetti per il comportamento da tenere in caso di attentato, affissi nei luoghi pubblici in alcuni Paesi accanto alle norme antincendio. Con differenze culturali di non poco momento: al francese «fuggire, nascondersi, segnalare» fa da contrappunto un assai più sanguigno «fuggire, nascondersi, combattere» statunitense. Senza esercitazioni, questi pannelli sono però soltanto decorativi; le routine psicologiche della paura intervengono nelle situazioni di pericolo, bloccano il comportamento e la valutazione della situazione. Come fanno i marinai nel caso dell’uomo in mare, ci si dovrebbe esercitar e periodicamente alle emergenze. Ma vale anche la pena di chiedersi quanto investire su questo problema. Gli attentati di varia natura e matrice ci accompagnano da decenni; potete utilmente guardare le varie liste disponibili su Wikipedia. Sono vicini alla nostra vita.

Roberto Casati, il Sole 24 Ore Domenica
21 febbraio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Il mio cuore è in Oriente

img headerYehudah Halevi (1075-1141) è stato uno dei più grandi studiosi, poeti e filosofi dell’era d’oro dell’ebraismo spagnolo. È nato a Toledo e morto a Il Cairo, o secondo alcuni studiosi, in Terra d’Israele. Era medico e musicista (fu nominato cantore di Sion) nonché grande e prolifico autore di componimenti lirici. Halevi è noto anche per il suo straordinario saggio in arabo Kuzari, ovvero “il libro dell’argomentazione e della prova in difesa della religione disprezzata”.  “Nelle sue liriche religiose”, scrive Luigi Cattani, “la verità e l’interiorità del sentimento si fondono e creano armoniosamente una perfezione formale”.  Le poesie di Halevi, che citano con sapienza le fonti bibliche, vengono chiamate “Sionidi”, una vasta opera poetica che fa parte del canto liturgico e si integra nella conoscenza secolare del patrimonio culturale ebraico.
                                

Il mio cuore è in oriente e io sono all’estremo occidente:
come potrei gustare quanto mangio, come potrei gradirlo?
In che modo scioglierò i miei voti e i miei vincoli,
finché Sion giace nei ceppi di Edom e io nelle catene
d’Arabia?
Poca cosa è ai miei occhi abbandonare tutti i beni di Spagna,
mentre è ad essi prezioso vedere la polvere i penetralia in rovina!

Sarah Kaminski, Università di Torino

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