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28 marzo 2016 - 18 Adar II 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Paolo Sciunnach,
insegnante
La guerra viene al mondo per la giustizia ritardata, per la giustizia corrotta e per coloro che interpretano la Legge non in modo conforme alla tradizione. (Pirkeh Avoth).
 
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Anna
Foa,
storica
No, il vero problema non è l’antisemitismo. Il vero problema sono i massacri dei cristiani nel mondo, in particolare in Pakistan: decine di bambini assassinati da una bomba in un parco giochi nel giorno di Pasqua. La prossima bomba sarà contro i neonati nelle nurseries degli ospedali?
 
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  davar
Venezia e i 500 anni del ghetto 
Riflettiamo sulla segregazione
per capire il nostro presente

Si apriranno ufficialmente martedì sera, al Teatro La Fenice, le iniziative per il Cinquecentenario del Ghetto di Venezia. In scena la Sinfonia n.1 in re maggiore Titano di Gustav Mahler, eseguita dall'orchestra diretta da Omer Meir Wellber. Mentre il compito di raccontare il Ghetto, la sua storia e le sue complessità, è stato affidato allo storico Simon Schama.
Un appuntamento molto atteso che segna l'avvio di un fitto calendario di eventi che renderanno la città lagunare e la sua comunità ebraica autentiche protagoniste della stagione culturale europea. 
Temi e sfide cui è dedicato un ampio dosser che appare sul numero di marzo del mensile UCEI Pagine Ebraiche sotto il titolo "Quando la storia vale una presa di coscienza". Curato da Ada Treves, il dossier sarà distribuito a tutti i presenti.

Provando a fare chiarezza sugli equivoci – nei quali spesso cadono i turisti meno accorti che si aggirano curiosi fra le calli e i campi di Venezia – è opportuno sottolineare che il Ghetto di Venezia non è stato il primo “ghetto” del mondo, e che non ha nulla a che fare con i ghetti istituiti dai nazisti. La prima affermazione fa scandalo (specie se espressa nell’ambito delle manifestazioni per ricordare i 500 anni dalla istituzione del Ghetto di Venezia), ma sul piano sociologico è così. Al più si può affermare che il Ghetto di Venezia è stato il primo luogo di residenza coatta per gli ebrei che è stato chiamato con questo nome, ma dev’essere chiaro che prima del 1516 esistevano quartieri separati di residenza per gli ebrei: Judengasse, Giudecche, Juderìas, a volte con regole non dissimili da quelle imposte dalla Serenissima. Ecco, così può funzionare. Sulla questione poi dei nazisti, va veramente avviato un percorso di acculturazione collettiva: Hitler e i suoi seguaci hanno coscientemente utilizzato quello che può essere definito in termini moderni un “brand” storico, per far passare un messaggio chiaro che mantiene purtroppo una sua efficacia nel tempo. Per lui gli ebrei potevano al più vivere (prima della soluzione finale) in Ghetti, indossando la loro stella gialla e mantenendosi ben divisi dalla popolazione. E nell’immaginario collettivo – complici alcuni film e una generalizzata ignoranza degli avvenimenti storici – purtroppo per molti fra i visitatori di Venezia “tutti gli ebrei vivono in ghetto e il ghetto l’ha istituito il Nazismo.” Non è così.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(Nell'immagine, un Bar mitzvah celebrato nella Sinagoga spagnola di Venezia - Foto di Paolo Della Corte)
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Venezia e i 500 anni del ghetto 
L'anniversario? Occasione giusta per ricordare i diritti negati
La storia dell’ebraismo è costellata di tormenti e persecuzioni a cadenza regolare. La Shoah ne è stata il culmine atroce. Il popolo ebraico ha rafforzato la propria identità anche (non certo soltanto!) esercitando la memoria del pregiudizio e della discriminazione di cui è stato oggetto nei secoli. Non credo che un’altra cultura, oltre alla nostra, abbia puntato tanto sulla memoria. La nostra non è mai celebrazione, ossia atto di esaltazione o glorificazione. È invece il ritrovarsi insieme nell’atto di co(m)-memorazione, l’unirsi nel ricordo che di norma, ove nel caso, si conclude con un kaddish.
L’istituzione del primo ghetto formale della storia costringe a riflessioni di vario genere. Non si tratta, in effetti, del primo ghetto in assoluto. In Marocco c’erano le mellah, a Tunisi la hira, che in Algeria si chiamava harrah, e al Cairo harat al yahud; in Spagna juderìa. Nessuno si è mai sognato di dire o di pensare che l’isolamento, la segregazione, fossero un privilegio di cui andare lieti e fieri, qualcosa da festeggiare con concerti e bei discorsi di inaugurazione. Nessuno ha mai pensato che vivere in posizione subalterna fosse una chance, una porta aperta sulla strada del successo e della gioia.
Solo a certi storici in cerca di originalità, cui non dispiace il revisionismo e la decontestualizzazione, solo a loro piace far credere che gli ebrei del 1500 e del 1600 e del 1700 fossero lieti di vivere come vivevano e di essere alle 12.51.21trattati come erano trattati. Ora, è vero che il Ghetto di Venezia non era il Ghetto di Roma. Non c’era la beneamata influenza del Papa, innanzitutto, e l’illuminata Repubblica Serenissima teneva alla sua indipendenza politica e alla sua moderazione religiosa. C’era tuttavia un’Inquisizione operante. E gli ebrei, dentro al Ghetto, erano dei paria, residenti stranieri senza diritto di cittadinanza, accettati finché ritenuti utili, ricattabili a scadenza regolare, sempre a rischio di cacciata, senza poter rivendicare alcun diritto, tranne quello di pagare laute tasse. Gente ammassata in un’area ridotta, costretta a una promiscuità talora indecente e indecorosa che – se volessimo anche noi rileggere la storia con gli occhi di oggi – definiremmo bestiale.

Dario Calimani, anglista

(Nell'immagine, uno scorcio del Ghetto - Foto di Paolo Della Corte)
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Venezia e i 500 anni del ghetto 
Un microcosmo vivo e colorato
La data del 29 marzo 1516 è un momento forte nella storia ebraica nel suo complesso. Il decreto del Senato della Repubblica Veneta che destinava agli ebrei una porzione della città, nella contrada di San Girolamo – sede in precedenza di una fonderia semi-abbandonata (“geto”) – costituiva un tornante significativo per la vita di tutti gli ebrei, non solo veneziani. Questo perché, dopo tante espulsioni o conversioni forzate – in analogia con quanto avvenuto nella città lagunare – da allora un po’ dappertutto, nei paesi del Mediterraneo, si moltiplicarono i “Ghetti” che davano asilo a quanti erano obbligati a risiedere in una ben precisa zona recintata della città.
Anche in precedenza, a Venezia avevano abitato ebrei, ma l’ammissione di residenti ebrei era stata sempre contrastata, sia da parte delle autorità religiose (sempre attente a proteggere dalla contaminazione i loro fedeli) sia da parte dei patrizi, che desideravano custodire il mercato di Rialto da potenziali concorrenti. In passato, nel periodo medievale – comunque – qualsiasi raggruppamento ebraico doveva essere di piccole proporzioni e quanto mai provvisorio. Dal 29 marzo 1516, invece, un qualche precario equilibrio tra due forze contrastanti si era venuto a raggiungere, tra una via di accesso più o meno stabile per gli ebrei a Venezia, e una recinzione che li tenesse all’esterno della città.

Enrico Levis, psicoterapeuta
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INFORMAZIONE – INTERNATIONAL EDITION
Riflettori accesi su Venezia
È Venezia la grande protagonista dell’uscita odierna di Pagine Ebraiche International Edition. Il 29 marzo 2016 infatti si apriranno ufficialmente le iniziative per ricordare i 500 anni dall’istituzione del Ghetto della città.
“Il cinquecentesimo anniversario del Ghetto di Venezia, il più antico al mondo, segna uno spartiacque di consapevolezza fondamentale. Si tratta infatti di un'occasione, davvero unica, per approfondire una storia secolare che parla la lingua amara della negazione, della sopraffazione e del disprezzo. E soltanto molto dopo - con l'abbattimento di mura e cancelli - quella dolce del riscatto e della libertà” ha scritto il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, in un intervento pubblicato sul dossier dedicato all’appuntamento pubblicato sul numero di Pagine Ebraiche di marzo, a cura della giornalista Ada Treves. Diversi gli approfondimenti del dossier proposti ai lettori internazionali grazie al contributo delle studentesse della Scuola superiore interpreti e traduttori di Trieste che stanno svolgendo il proprio tirocinio presso la redazione di Pagine Ebraiche: a occuparsi del testo di Gattegna è stata Giulia Paris.
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pilpul
 Oltremare - Nebbia
Si narra che quando cala la nebbia sulla manica gli inglesi dicano “il continente è isolato”. Vera o non vera, l’immagine si sposa benissimo con il modo inglese di guardare l’Europa. Oggi, tocca a me. Di solito penso e scrivo i miei “Oltremare” con l’idea che io sono quella che vive oltremare rispetto a chi legge. Ma a vedere la bandiera israeliana fatta a pezzi da un’attivista indisturbata in piazza a Bruxelles, oggi mi sento di dire “Oltremare siete voi”. Lontani, oltre il Mediterraneo che si riempie di migranti, alcuni ce la fanno altri no, ma provarci devono. Remoti, oltre al mare nostrum dei Romani, che avevano assicurato brevemente una unità pur guerrafondaia e fittizia di questi due lati che oggi sono così distanti e separati.
Di bandiere israeliane maltrattate se ne son viste tante, negli ultimi trent’anni. Ne ho viste anche coi miei occhi, era il ’90 e su Israele cadevano gli skud di Saddam Hussein. È stata l’ultima manifestazione di piazza cui ho mai partecipato in Italia. Ricordo come fosse oggi l’istante in cui ho girato le spalle al corteo e sono scomparsa in una via laterale nella mia Torino Savoia tutta ordine e incroci a quadretti, insultata dalla violenza dei manifestanti.
In Israele, noi curiamo malati gravi siriani che rotolano letteralmente in territorio israeliano, sapendo che è la loro unica speranza. In Israele, noi facciamo passare tonnellate di medicinale, cibo e materiali da costruzione a Gaza, area dalla quale siamo usciti definitivamente e che non è in alcun modo sotto il nostro controllo
.

Daniela Fubini, Tel Aviv
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