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26 giugno 2016 - 20 Sivan 5776
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A roma netanyahu incontra kerry e firma il disgelo con i turchi

Accordo con la Turchia e dialogo sui negoziati
la diplomazia israeliana passa dalla Capitale

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Roma diventa snodo chiave per la diplomazia israeliana. Non tanto per l'incontro che in queste ore vedrà protagonisti il Premier Benjamin Netanyahu e il segretario di Stato Usa John Kerry (nell'immagine il vertice romano tra i due del 2014), che si incontreranno per parlare dello stallo dei negoziati di pace e della situazione in Medio Oriente. Sul primo per il momento, come ha sottolineato il Presidente d'Israele Reuven Rivlin intervenendo dagli scranni del Parlamento Ue in settimana, non c'è grande movimento. Il problema, ricordava Rivlin, è che una ripresa del dialogo è possibile solo sulla base di una fiducia reciproca. Condizione che al momento non c'è. Come dimostra il comportamento del leader palestinese Mahmoud Abbas. A Bruxelles negli stessi giorni di Rivlin, il leader dell'Anp ha rifiutato di incontrare il presidente israeliano nonostante il tentativo di mediazione dei diplomatici europei per poi attaccare lo Stato ebraico di fronte al parlamento Ue e lanciarsi in affermazioni dal sapore antisemita. Abbas ha infatti denunciato presunti rabbini israeliani che incitano “ad avvelenare i pozzi dei palestinesi in modo per ucciderli”. Molte voci hanno subito protestato per questi strali antisemiti e lo stesso Abbas ha fatto marcia indietro, dicendo di non aver avuto l'intenzione di offendere “gli ebrei e l'ebraismo”.
Ma se sul fronte israelo-palestinese poco o nulla sembra muoversi – e un certo pessimismo gravita anche attorno all'incontro Netanyahu-Kerry-, Roma sarà testimone in queste ore di una riappacificazione voluta e cercata da anni e ora arrivata alle ultime battute: quella tra Israele e Turchia.


Daniel Reichel

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come gli israeliani all'estero hanno un effetto positivo in patria 

Perché è un bene la fuga dei cervelli

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“Vorrei essere libero, libero come un uomo” cantava Giorgio Gaber, ricordandoci che “libertà è partecipazione”, è condivisione. Quella stessa libertà, di poter condividere le proprie idee, le proprie capacità è la stessa che secondo l'israeliana Orly Lobel, docente nella facoltà di legge dell'Università di San Diego ed esperta di diritti della proprietà intellettuale, rivendicano i talenti di tutto il mondo. Non è un caso se il suo libro, che negli Stati Uniti e non solo ha raccolto molte critiche favorevoli, si intitola Talent wants to be free, il talento vuole essere libero. A colloquio con Pagine Ebraiche, Lobel ha spiegato il perché della sua tesi: “È una questione di prospettiva. Quello che di solito chiamiamo fuga di cervelli, che so che per voi in Italia è un problema ma è anche in Israele è parzialmente vissuto come tale, viene percepito come una perdita. In realtà nel libro spiego, dati di economisti alla mano, come non lo sia. E come sarebbe meglio parlare di circolazione di cervelli”. Lei stessa peraltro ne è un esempio. “Io sono israeliana. Ho fatto l'esercito ed ero parte dei servizi di intelligence. So cosa significa dover custodire i segreti ma so anche cosa vuol dire lavorare in squadra, condividere. Ed è con questa formazione che sono partita per gli Stati Uniti. Ora ho una cattedra qui a San Diego ma non vuol dire che non ho più legami con Israele, anzi. Se sulla carta potrei essere un cervello in fuga, in realtà ho continuato ad avere un legame con il mio paese tanto che ho un ufficio a Tel Aviv dove tengo lezioni all'università. Ho un piede qui negli Stati Uniti e uno in Israele”.

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gli israeliani conquistati dalle calzature prodotte in tasmania

Dall'Australia a Tel Aviv, la moda dello stivale

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Cosa hanno in comune un contadino che lavora nella fattoria di un kibbuz e una diciottenne che frequenta la vita glitterata di Tel Aviv? È una domanda difficile, ma partendo dal presupposto che 'assolutamente niente di niente' non può essere quella giusta, la risposta è il fatto che entrambi indossano un paio di Blundstones, un paio di stivaletti di pelle alti fino alla caviglia, con due elasticoni laterali e due linguette di tessuto per calzarli meglio. Nati, come è facile intuire, più per i contadini che per le teenager, arrivano dalla lontana Australia ma in Israele sono il fenomeno fashion del momento, con un cittadino su 15 ad averne acquistato un paio nel 2015. Come sia avvenuto rimane ancora in parte un mistero, ma di sicuro ha aiutato l'intuizione di Amos Horowitz, un distributore cinematografico che aveva deciso di cambiare carriera e nel 1999, dopo averli visti indossati da un suo vicino di casa di ritorno da un viaggio, ha deciso di importare i Blundstones in Israele. E per capire quanto valide siano le sue intuizioni, basti pensare che è sempre lui ad aver importato per primo anche le Cros, le ciabatte di gomma colorata e bucherellata della cui eleganza di cui si può essergli grati o meno, ma sicuramente nel bene o nel male tutti conoscono..

Francesca Matalon

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la convivenza tra reshet e keshet

I canali separati in casa

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C’è una vecchia canzone israeliana che ogni tanto passa ancora in radio, intitolata Ze kol hakesem, ovvero “sta qui tutta la magia”. Racconta di un uomo e una donna che si sentono a metà l’uno senza l’altra: la magia, appunto, sta tutta lì. Detto di due amanti, ovviamente, è una banalità. Lo stesso concetto è un po’ meno scontato però se lo si applica a un canale televisivo, una delle più singolari storie di successo del mercato mediatico israeliano, e alle due società che lo gestiscono in condivisione alternata, con un equilibrio alchemico forse un po’ difficile da cogliere per un osservatore esterno, ma che funziona.
Dagli anni Novanta le due società di broadcasting Keshet e Reshet si spartiscono gli spazi sul Arutz 2, o Canale 2, la principale rete televisiva privata del Paese: ognuna delle due compagnie ha tre giorni della settimana e il settimo è a rotazione. A complicare ulteriormente le cose – sempre per l’osservatore esterno, perché in realtà le semplifica, e parecchio – c’è una terza media company, la divisione news di Arutz 2, che trasmette ogni giorno ed è considerata la punta di diamante dell’informazione in lingua ebraica.


Anna Momigliano, Link, 20 giugno 2016

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il progetto attorno alla striscia

Gaza, murare quei tunnel

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Diversi giornali israeliani sono convinti che l’esercito abbia approvato un piano per costruire un nuovo muro di recinzione intorno alla Striscia di Gaza, un territorio teoricamente controllato dal governo palestinese ma in realtà dal 2007 gestito dal gruppo politico e terroristico Hamas. Una recinzione esiste già dal 1994, ma si è dimostrata poco efficace nel prevenire la costruzione di tunnel sotterranei fra la Striscia e il territorio israeliano e quello egiziano, con cui confina a est, utilizzati da Hamas per il contrabbando di oggetti e persone: nel 2014 ce n’erano almeno 14 che collegavano la Striscia a Israele, e negli ultimi tre mesi ne sono stati scoperti altri due. Secondo diverse fonti il nuovo muro sarà costruito anche sottoterra, proprio per impedire ad Hamas di costruire nuovi tunnel. Il ministero della Difesa non ha commentato la notizia. La settimana scorsa un funzionario della difesa ha detto ad Haaretz che i lavori sarebbero cominciati nel giro di qualche settimana, mentre il Washington Post ha scritto che secondo alcune sue fonti sono già iniziati.
 



Il Post, 21 giugno 2016

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il destino delle spese militari usa

Quelle commesse a rischio

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Secondo alcune indiscrezioni pubblicate nelle scorse settimane dal quotidiano israeliano Globes, il governo di Washington avrebbe chiesto al Ministero della Difesa israeliano di spendere interamente presso aziende militari statunitensi i 3 miliardi di dollari di aiuti annui che Israele riceve dagli Stati Uniti. La notizia ha suscitato allarme presso l’industria militare israeliana, che fino ad ora era destinataria di un quarto di questi acquisti. Perché l’Amministrazione Obama è arrivata a questa decisione? Quali margini di trattativa ha Israele? Come è noto, da molti anni Israele riceve aiuti economici dagli Stati Uniti; l’importo non è elevato rispetto al Pil israeliano (3 miliardi di dollari su 300) ma gli aiuti si traducono in forniture militari all’avanguardia, che consentono a Israele di mantenere una superiorità e una deterrenza rispetto ai paesi vicini.


Aviram Levy, economista

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il futuro secondo shimon peres

Oltre la destra e la sinistra

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Statista raffinato che ha conosciuto le durezze della vita, pastore da ragazzo e poi ministro della Difesa, degli Esteri, premier e capo dello Stato, Shimon Peres contribuì da giovane a fondare nel 1948 lo Stato d'Israele e a 92 anni d'età mantiene alta la speranza. Già leader del Partito laburista, di fronte alla crisi della parte della sinistra nella quale è cresciuto è convinto che occorra esplorare strade nuove, diverse da prima. A chi gli domanda come fa a credere che progetti in apparenza irrealizzabili possano essere realizzati oppone una richiesta. Questa: "Calcola quanti risultati hai raggiunto nella vita e quanti sogni hai avuto. Se il numero dei tuoi sogni supera quello dei risultati, sei giovane".
Il laburismo ha perso colpi in Gran Bretagna e Israele. Tra i parenti non va meglio: il Partito socialista è in difficoltà in Francia, i socialdemocratici lo sono in Germania e Austria.


Maurizio Caprara, Corriere della Sera
22 giugno 2016


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