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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Se
guardiamo al contesto storico e sociale degli anni prima di quei
fatidici 9 di Av nei quali per ben due volte fu distrutto il Tempio di
Gerusalemme ad opera dei Babilonesi prima e dei Romani poi, dobbiamo
affrontare la realtà di un popolo ebraico dilaniato da conflitti
politici, religiosi e sociali. Un popolo ebraico dove palpabile era la
distanza tra le persone, la tensione fratricida, la costante diffidenza
come elemento di relazione quotidiana. Il digiuno del 9 Av è forse la
migliore occasione per una riflessione sulle relazioni umane nelle
nostre comunità e società ebraiche in nome di un vero recupero di una
sana intimità ebraica così rarefatta dalla sovraesposizione mediatica,
politica e sociale alla quale ci esponiamo e siamo esposti. Una
intimità che fino ad una generazione fa era patrimonio identitario e
identificativo di molti ebrei nel mondo, anche in Italia. È nei primi
capitoli de “Il giardino dei Finzi Contini” che troviamo una
meravigliosa descrizione di una intimità ebraica che era al contempo
relazione tra persone e relazione ebraica con se stessi: “Per quanto
concerne me personalmente, nei miei rapporti con Alberto e Micol c’era
sempre stato qualcosa di più intimo. Le occhiate di intesa, i cenni
confidenziali che fratello e sorella mi indirizzavano ogniqualvolta ci
incontravamo nei pressi del Guarini non alludevano che a questo, lo
sapevo bene, riguardante noi e soltanto noi. Qualcosa di più intimo.
Che cosa propriamente? Si capisce: in primo luogo eravamo ebrei e ciò
era più che sufficiente. […]”. Il 9 di Av probabilmente viene a
ricordarci che essere ebrei è un dato più che sufficiente per
riconoscere il rispetto necessario all’interno delle nostre comunità,
un valore che è religioso per chi crede nella necessità della
ricostruzione del terzo Tempio, così come un laico modus vivendi di una
ebraicità naturale e quotidiana come ci insegna Giorgio Bassani.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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“Il
Nomade non è necessariamente qualcuno che si muove. I nomadi non sono
coloro che si spostano come emigranti; sono quelli che non si muovono,
sono quelli che diventano nomadi per restare nello stesso posto
sfuggendo ai codici”.
Emmanuel Lévinas
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I silenzi del sindaco
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AInquietante
silenzio da parte del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, cui ieri
la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di
Segni e la presidente della Comunità napoletana Lydia Schapirer hanno
inviato un messaggio chiedendo la revoca del conferimento della
cittadinanza onoraria del capoluogo campano a un terrorista
palestinese, per 14 anni nelle carceri israeliane. Nessuna replica
ufficiale al messaggio, riportato oggi con grande evidenza da
Repubblica e Corriere del Mezzogiorno.
“Gentile Sindaco – scrivevano ieri Di Segni e Schapirer – lei più volte
ha manifestato l’intenzione di fare della città che amministra un
laboratorio di pace e di convivenza tra i popoli e le religioni del
mondo. Un’ambizione che è nelle corde di Napoli, porta di accesso e tra
le grandi capitali del Mediterraneo.
Ci chiediamo però come possa coerentemente raggiungere questo obiettivo
se, al tempo stesso, la sua amministrazione continuerà a promuovere
iniziative di segno diametralmente opposto. L’ultima delle quali il
conferimento della cittadinanza onoraria al palestinese Bilal Kayed,
che tutto è fuorché un uomo di pace”.
“Si tratta infatti – si legge ancora – di un pericoloso estremista, che
ha trascorso 14 anni nelle carceri israeliane per le sue azioni
violente e gode del sostegno di un’organizzazione terroristica quale è
Hamas, che non esita a uccidere civili innocenti, compresi donne,
anziane e bambini, pur di alimentare un conflitto permanente nella
regione mediorientale. Siamo pertanto attonite e preoccupate da questa
iniziativa, ultima di una serie, quando oggi tutte le Istituzioni
italiane sono chiamate a collaborare per la garanzia dei fondamentali
valori costituzionali e a una rigorosa verifica di chi risiede e dimora
nelle nostre città”.
“Al fine di salvaguardare la storia e l’immagine di Napoli, quale città
sempre attenta ai valori della vera democrazia – concludevano il
messaggio – La preghiamo di intervenire al più presto per revocare tale
iniziativa. Ben venga il suo impegno per un dialogo costruttivo, di
conoscenza e di pace tra i due popoli, ma per conseguire tale fine
occorre dare voce e spazio a chi si dedica a dare senso e valore alle
nostre vite, da entrambe le parti”.
Ricorda Il Foglio: “Non è la prima volta che De Magistris dà prova di
militanza antisraeliana. Il comune di Napoli ha concesso una sala al
documentario “Israele – Il Cancro”, per la cui proiezione De Magistris
ha dato addirittura la sala comunale in piazza del Gesù Nuovo,
intitolata a Tommaso Campanella. De Magistris ha poi ricevuto la
cittadinanza palestinese, ha dato quella di Napoli ad Abu Mazen e la
sua città ha fornito patrocinio alla Freedom Flotilla per Gaza.
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dopo l'intervento dei leader ebraici
Napoli e l'omaggio al terrorista
L'imbarazzo di De Magistris
Imbarazzato
silenzio da parte del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, cui ieri
la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di
Segni e la presidente della Comunità napoletana Lydia Schapirer hanno
inviato un messaggio chiedendo la revoca del conferimento della
cittadinanza onoraria del capoluogo campano a Bilal Kayed, un
terrorista palestinese per 14 anni nelle carceri israeliane. Nessuna
replica ufficiale al messaggio, riportato oggi con grande evidenza da Repubblica e Corriere del Mezzogiorno.
“Gentile Sindaco – scrivevano ieri Di Segni e Schapirer – lei più volte
ha manifestato l’intenzione di fare della città che amministra un
laboratorio di pace e di convivenza tra i popoli e le religioni del
mondo. Un’ambizione che è nelle corde di Napoli, porta di accesso e tra
le grandi capitali del Mediterraneo.
Ci chiediamo però come possa coerentemente raggiungere questo obiettivo
se, al tempo stesso, la sua amministrazione continuerà a promuovere
iniziative di segno diametralmente opposto. L’ultima delle quali il
conferimento della cittadinanza onoraria al palestinese Bilal Kayed,
che tutto è fuorché un uomo di pace”.
“Si tratta infatti – si legge ancora – di un pericoloso estremista, che
ha trascorso 14 anni nelle carceri israeliane per le sue azioni
violente e gode del sostegno di un’organizzazione terroristica quale è
Hamas, che non esita a uccidere civili innocenti, compresi donne,
anziane e bambini, pur di alimentare un conflitto permanente nella
regione mediorientale. Siamo pertanto attonite e preoccupate da questa
iniziativa, ultima di una serie, quando oggi tutte le Istituzioni
italiane sono chiamate a collaborare per la garanzia dei fondamentali
valori costituzionali e a una rigorosa verifica di chi risiede e dimora
nelle nostre città”.
“Al fine di salvaguardare la storia e l’immagine di Napoli, quale città
sempre attenta ai valori della vera democrazia – concludevano il
messaggio – La preghiamo di intervenire al più presto per revocare tale
iniziativa. Ben venga il suo impegno per un dialogo costruttivo, di
conoscenza e di pace tra i due popoli, ma per conseguire tale fine
occorre dare voce e spazio a chi si dedica a dare senso e valore alle
nostre vite, da entrambe le parti”.
Ricorda Il Foglio: “Non è la prima volta che De Magistris dà prova di
militanza antisraeliana. Il comune di Napoli ha concesso una sala al
documentario “Israele – Il Cancro”, per la cui proiezione De Magistris
ha dato addirittura la sala comunale in piazza del Gesù Nuovo,
intitolata a Tommaso Campanella. De Magistris ha poi ricevuto la
cittadinanza palestinese, ha dato quella di Napoli ad Abu Mazen e la
sua città ha fornito patrocinio alla Freedom Flotilla per Gaza.
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RIgetTATA LA PROPOSTA di washington Abu Mazen dice no a Kerry:
"Nessun incontro con Bibi"
Vano
è stato il tentativo del segretario di Stato americano di istituire un
nuovo tavolo negoziale diretto tra i leader israeliani e palestinesi
nella sua recente missione diplomatica a Parigi. A opporre un fermo
rifiuto, rivela in queste ore la stampa palestinese, è stato il leader
dell’Anp Abu Mazen. Da parte sua, viene riferito, nessun incontro con
Netanyahu fino a quando lo stesso “non congelerà gli insediamenti” e
fino a quando un gruppo di prigionieri palestinesi oggetto di un
recente accordo “non sarà rilasciato dal carcere”
Un rifiuto, quello di Abbas, che arriva a pochi mesi dall’importante
apertura di Netanyahu, che in maggio aveva manifestato la propria
disponibilità a incontrare il leader dell’Anp “oggi stesso, a
Gerusalemme, o se vuole anche a Ramallah”.
Stando a quanto viene ricostruito, anche sui media israeliani, al
futuro incontro avrebbero dovuto partecipare anche rappresentanti di
Egitto, Giordania, Russia, Giappone, Arabia Saudita ed Emirati Arabi
Uniti.
Secondo gli analisti, il rifiuto di Abbas sarebbe motivato dalla
volontà di non scavalcare la proposta francese di tenere una conferenza
internazionale di pace con un focus proprio sul Medio Oriente. Una
proposta che piace molto dalle parti di Ramallah ma che è stata
rifiutata chiaramente da Gerusalemme, che punta a negoziati diretti e
bilaterali. Leggi
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RIO 2016 Monaco '72, un nuovo ricordo
nel giorno di Tishà Be Av
Gli
undici nomi saranno scanditi lentamente. E per ciascuno sarà accesa una
candela: undici luci a squarciare l’indifferenza che, per molti anni,
ha accompagnato questa tragica vicenda ai più alti livelli dello sport
mondiale.
Dopo la cerimonia di raccoglimento organizzata all’avvio del torneo nel
villaggio olimpico, un nuovo momento di raccolta in ricordo delle
vittime israeliane del massacro palestinese ai Giochi di Monaco del ’72
avrà luogo questa domenica all’interno del palazzo municipale di Rio de
Janeiro.
Una data non casuale, il 14 agosto, scelto perché nelle stesse ore il
calendario prevede la ricorrenza di Tishà Be Av, tra i giorni più
luttuosi dell’anno ebraico.
Ad accendere le candele saranno le vedove di Yossef Romano, sollevatore
di pesi, e di Andre Spitzer, allenatore di scherma. Anche in questo
caso si tratta di una scelta ben precisa, combattendo entrambe da anni
una difficile (e talvolta scoraggiante) campagna di sensibilizzazione
dell’opinione pubblica internazionale.
“Per noi è la chiusura di un capitolo. È qualcosa di estremamente
importante. Abbiamo aspettato 44 anni per ottenere questo ricordo e
riconoscimento dei nostri cari brutalmente uccisi a Monaco”, ha
affermato Ankie Spitzer.
Un momento di riflessione sul massacro del ’72 è previsto anche nel corso della cerimonia conclusiva di Rio 2016.
(Nell’immagine Ankie Spitzer e Ilana Romano)
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Rio, Atene e Gerusalemme
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Il
Talmud (Makkot 24a) racconta che Rabbì Akivà, vedendo una volpe che si
aggirava tra le rovine del Tempio distrutto, rideva: se si era avverata
la profezia relativa alla distruzione si sarebbe avverata anche quella
relativa alla rinascita. A Tishà Be-Av, che dovrebbe forse essere il
giorno più triste dell’anno, inizia la consolazione. Ekhà, il libro
delle Lamentazioni, si chiude con parole di speranza (al penultimo
verso, che si usa ripetere dopo l’ultimo): “Facci ritornare a Te,
Signore, e torneremo; rinnova i nostri giorni come prima.”
Intanto, mentre noi ebrei tingiamo di speranza il ricordo di una
tragedia nazionale, in Italia si vive come una tragedia nazionale
(prima notizia data mercoledì mattina da giornali radio e telegiornali)
il fatto che la nostra campionessa di nuoto sia risultata la quarta più
forte del mondo.
La coincidenza di Tishà Be-Av con le Olimpiadi può essere un’occasione
per guardare con un po’ di diffidenza ai valori dell’antica Grecia,
talvolta un po’ troppo idealizzata. Sarà perché insegno in un liceo
classico, in cui il mito della grecità è accolto spesso acriticamente,
sarà perché ho appena finito di leggere “Le Ateniesi” di Alessandro
Barbero, un romanzo che offre della democratica Atene del V secolo
a.e.v. un quadro fosco e terribilmente inquietante; mi scopro a
domandarmi se, mentre esaltiamo giustamente i valori di pace,
fratellanza, lealtà che dal mondo greco giungono a noi attraverso le
Olimpiadi, non dovremmo al contempo stare in guardia contro la
competizione fine a se stessa, la glorificazione del vincitore e
l’umiliazione del perdente (o di chi non vince abbastanza), la mancanza
di rispetto per l’impegno quando non è accompagnato da risultati. Un
mondo in cui gli uomini non sono tutti uguali, un mondo fatto di
vincitori e perdenti senza mezze misure, è anche un mondo che fatica a
conoscere la speranza e la consolazione.
Anna Segre, insegnante
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L'importanza della prevenzione
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A
differenza di Giovanni Belardelli, il quale scrive sul Corriere “che
rischia di portare fuori strada, continuare ad evocare la mancata
integrazione degli islamici europei di seconda generazione come un modo
per combattere il terrorismo”, io continuo a credere invece che la
lotta al terrorismo e la necessità di misure per l’integrazione non
siano due percorsi su strade così distanti. Oltre a sostenere la solita
tesi che prevenire è meglio che curare, è improponibile pensare di
combattere il terrorismo islamico se non cerchiamo anche di includere
quella parte di popolazione di origine musulmana che se non
perfettamente integrata può cadere facilmente preda del radicalismo.
Del resto non mi è neanche chiaro cosa proporrebbe all’opposto
Belardelli per arginare il fenomeno, a parte equiparare giustamente
l’Isis ai totalitarismi del XX secolo ed ufficializzare una guerra in
corso.
Francesco Moises Bassano
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