I GRANDI LIBRI DEL 5776 – BLASFEMIE, DIRITTI E LIBERTA’
L’ora di compiere una scelta
Blasfemia, diritti e libertà.
Il serrato dibattito che si è svolto al Senato, a un anno di distanza
dai tragici fatti di Parigi del gennaio 2015, dalla strage nella
redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e all’- Hypercacher, ha
messo a confronto di fronte a un pubblico molto qualificato e con
l’adesione del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e della
presidente della Radiotelevisione italiana Monica Maggioni, voci
diverse sia per formazione che per vocazione. È questo lo spirito con
cui il professor Alberto Melloni, coordinatore di una formidabile,
ricchissima ricerca che appare oggi proprio con questo titolo (Il
Mulino editore), ha lavorato con il chiaro intento di dotare il
legislatore, il mondo politico, il giornalista, ma anche l’insieme
della pubblica opinione, di uno strumento di lavoro e di conoscenza che
potrebbe rivelarsi molto utile nei tempi a venire. In questo quadro la
prospettiva ebraica che tento di rappresentare, pur nella sua
tradizionale complessità, diversificazione interna e vera o apparente
contraddittorietà, resta centrale. Un passaggio obbligato non solo per
i chiari moventi di odio antisemita dei terroristi che hanno agito e
delle organizzazioni che li hanno sostenuti, ma anche per
l’insostituibile, plurimillenaria, libera riflessione che il mondo
ebraico porta alla necessità di equilibrio e di tutela fra tutti questi
valori in gioco. È utile ricordare su questo fronte il ruolo da
protagonisti di alcuni intellettuali ebrei, come il legale di Charlie
Hebdo Richard Malka, allievo del giurista Georges Kiejman,
sopravvissuto alla Shoah ed erede lunga tradizione ebraica di politica
laica.
Sua
la strenua difesa della libertà creativa della redazione. Sua la
vittoria nella causa all’asilo infantile francese difeso dall’accusa di
aver allontanato illegittimamente una dipendente che aveva deciso di
portare il velo. Processi che hanno generato sentenze fondamentali per
la difesa dei valori dello Stato laico. È importante conoscere da
vicino l’opera di Joann Sfar (autore della celebre serie Il gatto del
rabbino) che nei suoi Carnet ora nitidamente presentati a tutta pagina
dalla collega Ada Treves su Tuttolibri, l’autorevole supplemento
culturale de La Stampa, fa la cronaca del processo per le vignette su
Maometto, e nel volume ora apparso in italiano (Se D. esiste, Rizzoli
Lizard editore) sulla strage nella redazione. È necessario ricordare
come le innumerevoli azioni legali intentate contro il giornale
satirico e quasi immancabilmente concluse con una vittoria della
redazione, siano state mosse quasi esclusivamente da organizzazioni
islamiche e cattoliche, ma mai da organizzazioni ebraiche, che pure
avrebbero avuto titolo di lamentare la pesante ferocia satirica
espressa dal giornale. E sarebbe anche utile ribadire come il giornale,
al contrario di quanto molti mostrano di credere, non si sia mai
contraddistinto per un particolare intento di offesa all’Islam, quanto
piuttosto per una corrosiva e spesso greve satira nei confronti di
tutte le religioni. Si tratta di un tema estremamente delicato che una
volta di più non vede le voci ebraica concordi. Basti confrontare le
espressioni utilizzate per commentare la situazione da tre autorevole
rabbini europei. “Gli ebrei a cui non piace Charlie Hebdo (e io sono
fra quelli) - ha commentato il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di
Segni - non si identificano nella sua scurrilità. Questione prima di
tutto di buon gusto, prima che di divieti religiosi. Ma è evidente che
è ben difficile immaginare un ebreo che prende un mitra per fare strage
in una redazione di un giornale satirico. Non ce lo permette la nostra
religione e, con molta più forza di quanto possa la religione su di
noi, la nostra storia e la nostra coscienza”. “I giornalisti e i
disegnatori di Charlie Hebdo – ha detto poche settimane fa il Chief
Rabbi del Commonwealth Ephaim Mirvis - hanno un diritto legale, ma non
morale, di offendere ogni persona al mondo che crede in D.
caratterizzandolo come un assassino”. “Esiste – ha insegnato il Grand
rabbin de France Haim Korsia - una nozione di blasfemia per il
credente, ma non possiamo proiettare le nostre interdizioni sugli
altri. Se qualcosa è blasfemo per me, lo evito. Dire che Charlie Hebdo
si è spinto troppo in là significa cominciare a giustificare. Se si
comincia a dire la libertà di stampa, sì, ‘ma’, questo ‘ma’ è
colpevole. Non ci possono essere dei ‘ma’, la libertà d’espressione e
la libertà di stampa sono i fondamenti della nostra democrazia”.
Posizioni diverse, apparentemente inconciliabili, che possono forse
essere ricondotte a un’unità se si tiene conto che il mondo ebraico
ritrova poi un suo filo conduttore solo sulla base di un serio lavoro
di comprensione e di sintesi. Lo sdegno suscitato da vignette che
feriscono gli animi, infatti, può convivere con la preoccupazione che
l’informazione e la creazione siano energie utilizzate per fare il
bene. E tutto ciò può coesistere con l’interrogativo più attuale e più
autentico che cerca di sollevare il rav Korsia. Non come vogliamo noi
condizionare il mondo, ma in che mondo vogliamo effettivamente vivere?
In quale mondo, se non in quello di una strenua difesa della libertà di
stampa e di creazione, la specificità ebraica e la libertà di tutti
sarebbero meglio tutelate? Il dopo Charlie ha innescato una mutazione
sociale ancora difficile da interpretare. L’energia che si è condensata
a seguito di questi fatti drammatici può scaricarsi su diversi
orizzonti, come dimostrano anche fatti recenti, fra cui il caso del
Capodanno di Colonia: la riconquista degli ideali repubblicani,
nazionali e sovranazionali; la ridefinizione del quadro delle libertà
civili e dei diritti costituzionali; un sensibile rafforzamento dei
movimenti xenofobi, reazionari, qualunquisti, populisti e
potenzialmente antisemiti. In definitiva sarà necessario per tutti, e
anche per le identità religiose, decidere fra la tentazione di porsi al
di sopra o di sostituirsi alla legge, il diritto-dovere di avvalersi
delle norme vigenti o ancora l’opportunità di partecipare alla
ridefinizione di una legge comune in cui tutti possano riconoscersi,
con cui tutelare al meglio le nostre speranze e i nostri ideali e
costruire una società in cui le fedi e le idee costituiscano, nel
rispetto reciproco. Un patrimonio comune di ricchezza spirituale e di
fiducia.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, febbraio 2016