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15 settembre 2016 - 12 Elul 5776
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SOCIETà

Demenza digitale, bugie e politica
La denuncia dell’Economist

img headerLo ha intitolato “Il mondo della post-verità” e ha dedicato una ventina di pagine a spiegare perché la sempre più frequente diffusione non soltanto di menzogne, ma di un totale disinteresse per la realtà, è preoccupante per il mondo intero. Così l’ultimo numero dell’Economist si occupa di politica e demenza digitale. Il settimanale britannico guarda all’America e all’Europa e fotografa una situazione fatta di leader e opinion maker che insinuano, distorcono, mentono. E di un pubblico che è sempre più disponibile a prestare loro ascolto, cullandosi in affermazioni che rafforzano le proprie convinzioni, spesso radicate in una rabbia profonda verso “élite” e istituzioni. In questo quadro, a far crescere il meccanismo in maniera esponenziale, sono inoltre i nuovi media.
“In America e altrove, si assiste a uno spostamento della politica verso una realtà in cui i sentimenti prevalgono sui fatti più liberamente e incontrando meno resistenza che in passato. Aiutati dalla tecnologia, da una iper-quantità di fatti, e da un pubblico sempre meno incline alla fiducia, molti politici raggiungono nuove e pervasive vette di falsità. Se questa situazione persiste, il potere della verità come strumento per risolvere i problemi della società potrebbe essere drasticamente ridotto per sempre” mette in guardia il giornale.
Tanti i casi portati a esempio: la campagna elettorale a favore di Brexit, molte affermazioni del candidato alla Casa bianca Donald Trump, la retorica nazionalista dell’attuale governo polacco, le teorie diffuse dopo il tentato golpe in Turchia.
A favorire questa tendenza, il fatto che “gli esseri umani non sono naturalmente portati alla ricerca della verità, ma, come mostrano numerose ricerche scientifiche, tendono a evitarla. La gente accetta istintivamente le informazioni a cui è esposta, e deve quindi impegnarsi a fondo per resistere alla tentazione di credere alle falsità”. Un fenomeno che lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman chiama “cognitive ease”: gli esseri umani tendono a tenersi lontani dai fatti che costringerebbero il loro cervello a lavorare più duramente.

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SOCIETà

I social media e l’incitamento all’odio
Quali responsabilità, quali rimedi

img header“Facebook ha la capacità, la responsabilità e la volontà di aiutare a placare l'incitamento all'odio e il terrorismo sulla sua rete”. È una presa di posizione ferma, che potrebbe determinare una vera e propria svolta, quella definita dai dirigenti del social network nel corso di una riunione con i ministri israeliani della Giustizia e della Pubblica sicurezza Ayelet Shaked e Gilad Erdan, che ne hanno comunicato l'esito in questi termini. Sono stati proprio loro a lanciare un appello ai vertici di Facebook, le derive dei cui utenti sarebbero secondo loro una delle cause dell'attività terroristica nel paese. Nell'ondata di violenza che ha caratterizzato l'ultimo anno, infatti, sono stati numerosi i terroristi che una volta interrogati hanno ammesso di essere stati influenzati dall'incitamento proveniente da social network come Facebook, YouTube, Twitter e altre piattaforme. Per questo, nel corso dell'incontro gli esponenti del governo israeliano hanno chiesto a Facebook di essere maggiormente sollecito nel rimuovere tali materiali, raggiungendo un accordo per cui due squadre congiunte saranno create al fine di studiare come lavorare insieme per fare gli interessi di entrambe le parti.

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STORIA E CIVILTà

La grande lezione di Momigliano

img headerIl ritorno in libreria, dopo trent’anni di Pagine ebraiche (ora per le Edizioni di Storia e Letteratura, nel 1987 il volume era stato edito da Einaudi) la raccolta degli scritti di Arnaldo Momigliano, magistralmente “creata” (più che redazionalmente curata) da Silvia Berti, per certi aspetti è di nuovo un evento (come trenta anni fa); per altri, ha la caratteristica di un contro evento. Sono più per la seconda ipotesi, perché il modello storiografico che dà significato alla ricerca di Momigliano corrisponde a un senso storico che oggi mi sembra latitare o procedere con circospezione. Prima di tutto il libro. Pagine ebraiche è la raccolta di saggi o anche di recensioni che hanno per tema la storia degli ebrei e il modo di discuterne o di scavarci intorno. Nel caso di Momigliano significa piccole “perle” - per esempio la recensione a Cecil Roth, Gli ebrei in Venezia, testo che attrae l’attenzione di Antonio Gramsci che ne scrive nei suoi Quaderni del carcere e qui riproposti a pp. 163-167. Per Momigliano si può ripetere ciò Scholem scriveva di Benjamin - come ricorda Silvia Berti: anche nell’accenno marginale, apparentemente eccentrico, s’intravede un tesoro di informazioni, ma anche di visioni. “Nel minimo si rivela il massimo”. Elemento che corrisponde a un metodo e che consiste nel guardare alle culture come macchine, come costruzione nel tempo e soprattutto come dialogo con altre culture con cui ci si misura, ma soprattutto da cui si assorbe, si riformula. L’idea di partenza è che nessuna cultura è un mondo a sé e dunque la storia della propria cultura non è mai la storia dello sviluppo naturale, del proprio codice interno.

David Bidussa, storico sociale delle idee
Pagine Ebraiche, settembre 2016

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ORIZZONTI 

Libeskind e il Ground Zero  "Oggi trionfa la vita"

«L’alternativa vivente» al terrorismo, alla violenza, all’intolleranza «è ancora una volta New York». Daniel Libeskind vive a pochi isolati dal nuovo One World Trade Center, sorto, così come lo aveva progettato, sull’area distrutta dagli attentati dell’11 settembre 2001.
Libeskind, 70 anni, super star dell’architettura mondiale, nato in Polonia, cittadino americano, osserva da una finestra la città rinata sul Ground Zero: la Freedom Tower, 541 metri, 1776 piedi: un numero che richiama l’anno della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America; l’Oculus, la stazione disegnata da Santiago Calatrava riprendendo la forma a lisca delle rovine; il museo del Memoriale che racconta le ore della catastrofe e i giorni della ricostruzione; le due grandi vasche nei crateri dove si sbriciolarono le Torri Gemelle.
«Abbiamo recuperato un’area che è più grande del centro di città come Baltimora o Filadelfia. Abbiamo restituito il cuore a New York, agli Stati Uniti e al mondo intero».

Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera
11 settembre 2016


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ORIZZONTI

Bernard-Henri Lévy: “Ecco la ricetta delle democrazie”

Siamo cambiati, ammette Bernard-Henri Lévy. L’imprevista dilatazione del secolo breve, il rinvio ad libitum della fine della Storia, il terrorismo, la rinascita di muri e identità ostili hanno fatto invecchiare precocemente le speranze di quanti come lui, la quintessenza del filosofo engagée, avevano sperato che l’Europa prima e poi l’evitabile mattanza balcanica mettessero un punto alla dialettica tra pace e guerra. Brillante, eclettico, sempre schierato contro i diritti negati, famoso come un brand e consapevole di esserlo al punto da destare molte antipatie in Francia, BHL parla con La Stampa delle paure, le sfide, le illusioni perdute e quelle ancora in piedi a 15 anni dall’11 settembre 2001.
 






Francesca Paci, La Stampa
11 settembre 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Questa notte noi leggiamo poesie

img headerMeir Wieseltier nasce a Mosca nel 1941 e all’età di otto anni arriva con la sorella a Natanya, in Israele, dopo aver vissuto da profugo in Siberia, Polonia, Germania e Francia. Il padre muore soldato combattendo tra le file dell’Armata Russa contro i nazisti, mentre la madre viene imprigionata per molti anni nei gulag sovietici.
Dal 1955 Meir vive a Tel Aviv, definita da molti, “Lo stato di Tel Aviv”, un’entità particolare e dalle caratteristiche culturali specifiche, che la rendono unica, non solo per Israele ma anche nei confronti delle altre metropoli culturali del mondo. Wieseltier, il poeta per eccellenza di Tel Aviv, ha sempre scritto in israeliano, un ebraico locale acuto e forte che amalgama le radici storiche, le tradizioni antiche, esprimendo una grande sensibilità nei confronti della ferita inferta dalla Shoah e verso le problematiche politiche insite nel modus vivendi israeliano.
Wieseltier, professore emerito in letteratura comparata presso l’Università di Haifa, vincitore del Premio Israele 2000, ha tradotto opere di Shakespeare e, dagli anni Settanta, è divenuto un punto di riferimento per il modernismo quale strumento espressivo della poesia israeliana.

La poesia di oggi è dedicata ad Alessandra Cambatzu, una giovane studiosa della lingua e della cultura yiddish che ci ha lasciati pochi giorni fa.
 
Questa notte noi leggiamo poesie, ma il mondo non 
legge poesie stanotte, e nemmeno nelle altre notti
legge poesie, neppure
le più belle; per nulla al mondo
il mondo sarà disposto a leggere,
neppure il più bello tra i cantici, 
E pur implorandolo, pur implorandolo tanto,
egli non accetterà.

(Antologia 1959-1969, Am Oved, 2016)


Sarah Kaminski, Università di Torino

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