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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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In
pochi si rendono conto, nel veloce passaggio delle letture bibliche per
Shemini Atzeret- Simchat Torah, che in quel giorno di festa e gioia
rileggiamo e rinnoviamo il racconto della morte di Moshè Rabbenu.
È il ricercatore e studioso Avraham Yairi che ci fa notare nel suo
testo “Toledot Chag Simchà Torah” che: “L’uso della Francia del Nord e
della Germania ancora è sopraffatto dalla gioia e dalla malinconia
(tristezza) e lo stesso vale per il minhag di Aram (Aleppo in Siria)
Yemen, Cochin… per i minhaghim di Provenza, Nord Africa, Italia dove
invece la tristezza ha la meglio sulla gioia e molti componimenti
poetici, pyutim, che vengono detti dopo la lettura della Torah sono
pyutim sulla dipartita di Moshe che in parte sono chiamati con il nome
di kinot ( componimenti in stile di lamentazioni) e sono anche recitati
da dei lamentatori e così si capovolge la gioia della fine della
lettura della Torah in lutto per la morte di Moshe.”
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Lo
andiamo ripetendo da anni in tanti: il bene culturale, il retaggio
materiale del passato umano, è un elemento imprescindibile per la
civiltà in generale e per la conoscenza dei fondamenti delle singole e
diverse identità. Chi nel recente passato ha voluto suscitare parole
divisive, contrapponendo alle politiche di salvaguardia la necessità di
investire sui vivi e sul futuro, di fronte alle polemiche suscitate
dalle mozioni dell’Unesco su Gerusalemme si dovrebbe interrogare sul
senso di quello che sta accadendo. L’investimento di risorse nelle
politiche sociali e educative non solo non è in contrapposizione, ma
per come la penso io è inevitabilmente legato a un lavoro attento di
recupero, conservazione e gestione del patrimonio culturale che abbiamo
ereditato dal passato. In questo senso assume un rilievo importante a
livello nazionale l’evento che fra qualche giorno ricorderà – grazie al
lavoro della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici Italiani – la
tragedia dell’alluvione di Firenze e il duro lavoro di salvataggio dei
libri ebraici antichi conservati da quella comunità. Una scuola senza
la sua biblioteca e un archivio da studiare, una comunità religiosa che
crede di poter fare a meno dei suoi antichi cimiteri (e di chi lì è
sepolto), un gruppo che crede di poter guardare avanti dimenticandosi
della sua storia (che non sempre contiene espressioni coerenti con quel
che vorrebbe fosse il suo presente) è condannato a perdersi
rapidamente. Oggi è la volta del Monte del Tempio, cui viene negato un
rapporto storico e materiale diretto con il passato ebraico.
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Lettera aperta
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In
una lettera aperta pubblicata sulla prima pagina de La Stampa la
presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni
si rivolge al capo dello Stato Sergio Mattarella a pochi giorni dalla
sua visita in Israele. Il tema è il recente voto della vergogna
all’Unesco che (con l’astensione dell’Italia) ha riscritto millenni di
storia ebraica. “Diverse – scrive Di Segni – le civiltà del passato che
hanno violato e distrutto il nostro Tempio. Diverse le ragioni che nei
secoli hanno fatto percorrere ai pellegrini la lunga distanza dai
remoti luoghi di provenienza. Come non comprendere che oggi gruppi
estremisti e aggregazioni di ogni genere, che di civile nulla
detengono, cercano la distruzione e l’annientamento? Come accettare che
l’Unesco, agenzia preposta allo sviluppo della cultura, si esprima in
tal modo? Per ben due volte, a distanza di pochi giorni, nonostante
chiari segnali d’allarme, il rappresentante italiano ha scelto
attraverso l’astensione di rimanere in silenzio. Un silenzio che
dimentica le raffigurazioni riportate sull’Arco di Tito. Un silenzio
assordante. Un silenzio che concorre ad un negazionismo contro il quale
oggi tutti alziamo la voce”.
“Illustre Presidente – sottolinea Di Segni nella conclusione del suo
intervento – le scrivo perché gli ebrei italiani restano fiduciosi che
dall’alto del suo prestigio il Quirinale possa risvegliare un
orientamento di saggezza ed equilibrio, l’unico che possa rappresentare
i sentimenti di tutte le identità e di tutti i cittadini, e affermare i
nostri più importanti valori costituzionali. Non abbiamo altro da
chiedere che tenere in alto l’onore dell’Italia e garantire al nostro
Paese un ruolo da protagonista nell’immenso lavoro di costruzione della
pace che ci deve vedere tutti impegnati”.
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DOPO L'INTERVENTO DELLA PRESIDENTE UCEI L'Italia e il voto della vergogna
Il Governo ora si muove
Qualcosa
si muove e il Governo italiano ha chiaramente avviato una seria
riflessione su quanto avvenuto all’Unesco dove, nei giorni scorsi, era
stato approvato un grottesco e vergognoso documento volto a negare
l’identità ebraica di alcuni luoghi sacri di Gerusalemme.
Erano trascorse solo poche ore dalla diffusione dall’invito alla
riflessione rivolto dalla Presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la
reazione è subito rimbalzata su Palazzo Chigi. Prima ancora di
rientrare in serata a Roma da Bruxelles, il Presidente del Consiglio
Matteo Renzi ha scelto di rompere il silenzio, manifestando una netta
contrarietà a quanto avvenuto all’Unesco e annunciando un vertice con
il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Un chiaro segnale di
disponibilità a mettere meglio a fuoco la posizione italiana, su una
vicenda che lo stesso Renzi ha definito “Incomprensibile, inaccettabile
e sbagliata”.
"Una vicenda allucinante – ha detto Renzi - ho chiesto al ministro
Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma. È incomprensibile,
inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri che la si
smetta con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni
finalizzate solo ad attaccare Israele. Se c'è da rompere su questo
l'unità europea che la si rompa".
Sollievo, apprezzamento per l’evoluzione e attesa di seguire la vicino
le prossime mosse del Governo sono state espresse in via informale
dalla Presidente dell’Unione, che nei prossimi giorni si attende una
maggiore messa a fuoco del ruolo italiano e di una politica estera
attenta a conferire al nostro paese un ruolo di primo piano nell’immane
lavoro di costruzione della pace fra tutte le genti che si affacciano
sul Mediterraneo.
La speranza, ha valutato la Presidente UCEI, è che documenti simili non
solo trovino una ferma opposizione, ma in futuro non arrivino nemmeno
sul tavolo di organizzazioni che dovrebbero piuttosto assolvere al loro
vero fine istituzionale. Che nessuno possa mai più giovarsi della loro
legittimazione per iniziative come quella degli scorsi giorni.
Qui di seguito il testo della lettera aperta della Presidente Di Segni,
ripresa nella sua forma integrale e in prima pagina sull’edizione
odierna dal quotidiano La Stampa.
Illustre Presidente Mattarella,
il momento della sua partenza per l’attesa visita in Israele, la prima
nel suo mandato di Presidente della Repubblica, è ormai vicino.
Alla vigilia di questo importante appuntamento, vorrei condividere in
questo messaggio i nostri sentimenti di ebrei italiani, cittadini che
credono nella pace e nel progresso.
La sua visita si annuncia intensa e carica di significati, volta a
riaffermare la storica amicizia che lega lo Stato ebraico all’Italia,
ai suoi rappresentanti, al suo popolo, alla sua cultura. Italia e
Israele sono oggi al fianco in molte sfide. Collaborano strettamente
sul piano istituzionale, e questo viaggio ne è la più alta conferma, ma
la cooperazione si estende anche in molti altri campi.
Un flusso continuo di persone, idee e progetti che rafforza un comune
impegno al servizio dell’intera collettività e del suo benessere
economico, intellettuale, spirituale. Un vissuto plurimillenario, che
tra ebraismo e cristianesimo, tra Gerusalemme e Roma, due capitali
della civiltà mediterranea, testimonia un confronto vivo, talvolta
contrastato, ricco di storia, di vicende, di speranze talvolta tradite,
di conquiste che hanno spesso un risvolto quasi miracoloso.
Per questo gli ebrei italiani, e con loro tutti i cittadini che si
riconoscono nel primario valore che è la verità vissuta, che agiscono
in buona fede e trasparenza, che credono e accordano la loro fiducia
alle massime istituzioni democratiche, sono sconcertati e feriti dal
comportamento tenuto in questo mese di ottobre dalla rappresentanza
diplomatica italiana all’Unesco. Sulla base di una proposta di alcuni
Paesi arabi, e con un’alzata di mano di altri che vi hanno aderito, è
stata negata l’identità ebraica di Gerusalemme e dei suoi storici
luoghi di preghiera e raccolta, di pianto e feste, di inno alla vita e
alla libertà ritrovata.
Diverse le civiltà del passato che hanno violato e distrutto il nostro
Tempio. Diverse le ragioni che nei secoli hanno fatto percorrere ai
pellegrini la lunga distanza dai remoti luoghi di provenienza. Come non
comprendere che oggi gruppi estremisti e aggregazioni di ogni genere,
che di civile nulla detengono, cercano la distruzione e
l’annientamento? Come accettare che l’Unesco, agenzia preposta allo
sviluppo della cultura, si esprima in tal modo?
Per ben due volte, a distanza di pochi giorni, nonostante chiari
segnali d’allarme, il rappresentante italiano ha scelto attraverso
l’astensione di rimanere in silenzio. Un silenzio che dimentica le
raffigurazioni riportate sull’Arco di Tito. Un silenzio assordante. Un
silenzio che concorre ad un negazionismo contro il quale oggi tutti
alziamo la voce.
Illustre Presidente, tra qualche giorno lei avrà modo di visitare
Gerusalemme, di camminare lungo le vie in cui ogni pietra dichiara come
la città sia la capitale del risorto Stato di Israele e la casa di
tutti coloro che amano la pace, di varcare la soglia dei luoghi sacri
alle grandi religioni monoteiste, di vedere davanti ai suoi occhi
scorrere la vita quotidiana degli abitanti di questa città che non
conosce eguali.
Potrà facilmente constatare come ogni luogo di Gerusalemme, capitale
unica e indivisibile dello Stato di Israele, parli una lingua
plurimillenaria. La lingua dell’identità, della spiritualità, del più
autentico rispetto dell’altro. Tra le centinaia di dediche, di
rappresentazioni artistiche, di canzoni religiose, epiche, più allegre
e più tristi dedicate nei secoli a Gerusalemme, Le cito quella sul
Kotel (parole di Yosi Gamzu), che con la sua musica struggente insegna
che al di là di quanto si sente e si vede, al di là di come si è
vestiti conta quanto si è donato e sacrificato nei millenni ed ancora
oggi: “Esistono pietre con un cuore umano e uomini con cuore di
pietra”, troppo vero.
Illustre Presidente, le scrivo perché gli ebrei italiani restano
fiduciosi che dall’alto del suo prestigio il Quirinale possa
risvegliare un orientamento di saggezza ed equilibrio, l’unico che
possa rappresentare i sentimenti di tutte le identità e di tutti i
cittadini, e affermare i nostri più importanti valori costituzionali.
Non abbiamo altro da chiedere che tenere in alto l’onore dell’Italia e
garantire al nostro Paese un ruolo da protagonista nell’immenso lavoro
di costruzione della pace che ci deve vedere tutti impegnati.
Noemi Di Segni,
presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Ancora
numerose le reazioni sul voto Unesco e sui segnali del mondo politico.
Dichiara la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello in
un comunicato diffuso questa mattina: "Le parole del Presidente del
Consiglio Matteo Renzi in merito alla votazione Unesco su Gerusalemme e
sull'astensione dell'Italia rappresentano una presa di posizione
importante che ci solleva rispetto al silenzio di questi giorni. Era
per noi inaccettabile come ebrei romani pensare che il nostro Governo
si astenesse di fronte a una mozione così antistorica e palesemente
antisemita. Vorremmo capire come si è arrivati a questa astensione e
cosa farà il Governo per porvi rimedio. Ora che la votazione all'Unesco
è definitiva, c'è bisogno di un atto politico che dia seguito alle
dichiarazione di questa mattina. Siamo certi che l'Italia saprà
prendere una posizione chiara e netta per rimediare a quell'astensione
così vergognosa".
Significativa
anche la decisione del Centro Unesco di Firenze che, su impulso della
docente universitaria Silvia Guetta, ha chiesto alla presidente della
Federazione Italiana dei Centri e dei Club Unesco di manifestare la
propria vicinanza alla direttrice generale dell'organizzazione Irina
Bokova, che ha espresso la propria contrarietà alla risoluzione e che
per questo ha ricevuto persino delle minacce di morte.
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domenica la prima iniziativa Firenze, a 50 anni dall'Alluvione Arte e libri ebraici in mostra
Cresce
l’attesa a Firenze per il grande ritorno dei libri ebraici alluvionati,
in esposizione nella mostra “E le acque si calmarono” che si inaugurerà
giovedì 27 ottobre alla Biblioteca Nazionale Centrale su iniziativa
della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia.
Libri di preghiera, Sefer Torah, arredi e tessuti. Testimonianze
preziose, sottoposte a un lungo lavoro di restauro e conservazione, che
permettono di abbracciare molti secoli di storia ebraica fiorentina.
Un’iniziativa tra le più prestigiose del significativo calendario di
appuntamenti organizzati per il 50esimo anniversario dell’alluvione.
Quattro novembre 1966. Devastazione ovunque, ma anche la voglia di
ripartire subito con nuovo slancio. Come testimonia l’emozione
suscitata dalle storie dei tanti “angeli del fango” che si
precipitarono a Firenze nelle ore successive all’esondazione delle
acque dell’Arno. È il filo conduttore degli eventi dei prossimi giorni,
tra cui l’inaugurazione di una seconda mostra a carattere ebraico nei
locali della Comunità, prevista per questa domenica alle 10.30.
In esposizione documenti sette-ottocenteschi, arredi e opere d’arte
ebraica rituale. Ad inaugurare la mostra il presidente della Comunità
ebraica fiorentina Dario Bedarida, il vicepresidente della Fondazione
Beni Culturali Ebraici in Italia Renzo Funaro, il rabbino capo Joseph
Levi. L’inaugurazione si aprirà con un ricordo dell’ingegner Giuseppe
Viterbo, da poco scomparso, che molto si spese per il ripristino della
biblioteca ebraica alluvionata.
Seguiranno alcuni interventi di specialisti tra cui quelli delle
storiche Liana Elda Funaro e Dora Liscia Bemporad e di Gabriella Todros
della Soprintendenza Archivistica. Al termine della visita alla mostra
sarà inoltre ricordata la figura di Luciano Camerino, Testimone romano
della Shoah che fu un “angelo del fango” e che in quelle ore
drammatiche perse la vita per un malore. Leggi
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A ritmi alternati
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In
anni come questo, in cui i giorni festivi non sono mai durante il
weekend, Tishrì diventa un mese curiosamente bifronte, in cui si vive a
ritmi alternati: tre giorni (più la sera della vigilia) di calma e
quattro frenetici di maratone per recuperare le cose non fatte nei
giorni festivi: lezioni da preparare, compiti da correggere, cumuli di
mail a cui rispondere. Costruire e mantenere intorno a sé l’atmosfera
gioiosa della festa in giorni che per tutti intorno a noi sono feriali
è una sfida difficile ma entusiasmante. E a Sukkot, tra giorni di festa
e mezza festa, la sfida si fa ancora più difficile e l’atmosfera
festiva si regge su equilibri molto precari; del resto Sukkot non è
appunto la festa della precarietà? Poi alla fine arriva la Simchat
Torah, tra canti e balli e grande allegria, e dal giorno dopo inizia il
periodo più lungo del calendario ebraico senza feste o ricorrenze:
chissà se in fondo, oltre a gioire per la Torah, non festeggiamo anche
un po’ il ritorno a una routine quotidiana che, dopo un mese sopra le
righe, ci appare in una luce molto più gradevole del solito?
Anna Segre, insegnante
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Amicizie pericolose
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Il
candidato presidente del Partito Repubblicano Donald Trump, ha
sostenuto recentemente “che gli unici che combattono veramente il Daesh
sono Bashar al-Assad, la Russia e l’Iran”. Non so in quale dimensione
viva Trump e su quali media stia seguendo il conflitto in Siria –
sempre che lo stia seguendo – e non mi capacito neppure come un
candidato alla presidenza Usa possa sostenere tali avversari. Rifletto
soltanto sul fatto che i regimi di Damasco e di Teheran, i quali tra
l’altro appoggiano Hezbollah, sono tra i principali nemici di Israele,
e la Russia ha poi votato negli ultimi giorni la risoluzione
dell’Unesco che nega l’identità ebraica di alcuni siti di Gerusalemme.
Quella di Trump non è comunque una voce isolata, Vladimir Putin – o in
misura minore anche Bashar al-Assad – in Occidente è sempre più
venerato, non solo dalla destra, ma da una parte consistente di
movimenti che si possono considerare “populisti”. Forse anche questa è
un altro tipo di Soumission silenziosa dell’Europa.
“Si profila all’orizzonte una lunga volontaria sottomissione a singoli
dittatori e usurpatori (creduti salvatori)” scriveva Jakob Burckhardt,
il quale profetizzava già nel 1872 il tramonto delle democrazie
liberali.
Chissà in questo mondo affascinato dai populismi, dai fanatismi e dalle
dittature, quale sarà l’atteggiamento che emergerà nei confronti di
Israele. La risoluzione approvata dall’Unesco non lascia granché
sperare in bene. Ma a tal proposito, aggiungerei che definire la
questione, come ha fatto Il Foglio, “Shoah culturale”, sia comunque
inappropriato. Certe parole non possono essere usate con tale
flessibilità e hanno una collocazione storica ben circoscritta.
L’antisemitismo mascherato da antisionismo è già di per sé sufficiente
per definire un sentimento d’intolleranza nei confronti degli ebrei o
di Israele. Purtroppo costante e sempre rinvigorito nel tempo.
Francesco Moises Bassano
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Paradosso
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II
legame negato tra ebraismo e Monte del Tempio a Gerusalemme da parte
dall’Unesco nei giorni scorsi rimane una nota di amarezza e di sdegno.
Contemporaneamente, la festa di Succot è in conclusione: la terza festa
del pellegrinaggio che nella tradizione ha pure una valenza
universalistica. Sembra davvero un paradosso.
Ilana Bahbout
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La negazione e lo humor
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Quando
l’Unesco decide di non riconoscere più alcuna connessione tra il popolo
del libro e la sua Capitale, anche il Primo ministro Netanyahu rivela
uno senso dello humour sottile e tagliente. “Quale sarà il prossimo
passo?”, scrive sul suo profilo Twitter. “Negare Batman a Robin? Il
Rock al Roll?”.
E io aggiungerei, il popolo ebraico senza Gerusalemme è come Grillo
senza un megafono, Fatah senza Hamas, Moni Ovadia senza una barzelletta
scadente.
David Zebuloni
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