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27 ottobre 2016 - 25 Tishri 5777
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LINGUAGGI

Dal Talmud alle macchine parlanti

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I toni pacati e la voce misurata di Andrea Bozzi non nascondono la sua determinazione impressionante né la passione che lo anima. Studioso di linguistica computazionale, capace di dare lustro all’Italia con le sue ricerche, è stato docente all’Università di Pisa, consulente dei ministeri sia dell’Istruzione che dei Beni culturali, responsabile di diversi incarichi al Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e autore di numerose pubblicazioni nonché coordinatore di ricerche internazionali, e membro della Società Dantesca Italiana. La linguistica computazionale è nata negli anni Cinquanta, con il primo scopo di utilizzare i calcolatori elettronici per la memorizzazione e per l’elaborazione di dati testuali, in modo da produrre indici di parole e di concordanze, ossia indici in cui, oltre alle singole forme linguistiche, compaiano i contesti ove ciascuna di esse è presente. L’Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli” (ILC), nato in seno al Cnr nel 1979, è stato diretto fino al 2013 dal professor Bozzi, ora noto per il suo ruolo nella traduzione italiana del Talmud Babilonese. Il progetto, nato da un’intesa tra Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Collegio Rabbinico Italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Miur e Cnr ha in Andrea Bozzi il responsabile scientifico di una parte fondamentale del lavoro: l’Istituto di Linguistica Computazionale ha sviluppato l’applicazione che supporta il lavoro di traduzione. “In pratica si tratta di un sistema web collaborativo che permette non solo di usufruire di strumenti di indicizzazione, ma anche di inserire commenti ed effettuare ricerche complesse, oltre a fornire suggerimenti alla traduzione”.

Ada Treves, Pagine Ebraiche, ottobre 2016

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linguaggi

Parole, accenti, intonazioni: i volti dell’ebraico-americano

img headerBalle Spaziali, il film che Mel Brooks ha diretto e interpretato nel 1987, è una parodia di Guerre Stellari, così come di molte altre serie di fantascienza, da Star Trek a Alien, al Pianeta delle Scimmie. È un film irresistibile, ricco di un umorismo molto più sottile di quanto le battute grevi del doppiaggio italiano potrebbero far pensare, e non smette di sorprendere per la ricchezza di citazioni e riferimenti e per le sue sfacciate prese in giro. Non risparmia nessuno, Mel Brooks, e nelle avventure della Principessa Vespa e di Stella Solitaria compaiono tutti, da Kafka a Asimov, da 2001 Odissea nello spazio a Kubrik. Non mancano neppure i riferimenti a Clark Gable, così come alla catena americana Pizza Hut, all'Air Force One - l'aereo del presidente degli Stati Uniti - o a serie come Scuola di Polizia. Senza ovviamente dimenticare la Guida galattica per autostoppisti.
Ma per gli studiosi di linguistica è un'altra la ragione che rende Balle spaziali un film importante: Mel Brooks, quando interpreta Yogurt (la parodia di Yoda in Guerre Stellari) pronuncia una frase che è diventata riferimento e quasi un simbolo di coloro che si occupano delle varianti ebraiche dell'inglese. Dell'americano, per la precisione. Non si tratta delle più note occorrenze linguistiche che mescolano radici di vocaboli yiddish e talvolta ebraici all'inglese, spesso diventate di uso comune, ma di varianti fonetiche, di sonorità che sono caratteristiche di madrelingua inglesi, nati in America. Ma con radici ebraiche. In quattro parole, "You heard of me?", sono concentrate le caratteristiche più notevoli di quello che si configura come un mondo a sé stante.

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ORIZZONTI

Israele e l'Unesco: una risposta dall’archeologia

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Nel giorno in cui l’Unesco, il braccio delle Nazioni Unite dedicato a cultura, scienza ed istruzione, procedeva per la seconda volta nel giro di una settimana all’approvazione di una risoluzione in cui si ignora il legame tra ebraismo e Monte del Tempio, la Israel Antiquities Authority presentava al pubblico una straordinaria testimonianza della storia della capitale israeliana risalente a 2700 anni fa. Nel corso della conferenza dedicata alle novità in fatto di archeologia nella regione, è stato infatti rivelato un papiro che contiene la più antica menzione della città fuori dal contesto biblico oggi conosciuta. “Dalla serva del re, da Naharat, anfore di vino a Gerusalemme,” si legge sul frammento, lungo circa 11 centimetri e largo 3. Durante l’incontro, il biblista Shmuel Ahituv, vincitore del Premio Israele, ha tra l’altro spiegato come il nome della città sia riferito nella forma “Yerushalem”, invece di Yerushalaim, che viene utilizzata nell’ebraico moderno che compare però solo una manciata di volte nel Tanakh. Si può inoltre desumere dal contesto, che il messaggio riguardasse il pagamento dei tributi da parte di una donna di ceto elevato al sovrano.
In Israele, l’archeologia, l’impegno a riportare alla luce le migliaia di anni di storia della regione, viene considerato uno sforzo di primaria importanza.

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Il caso Unesco  

Quelle ossessioni su Israele
 

L’affaire Unesco non è un incidente di percorso, ma l'ennesima rivelazione di un'ossessione antisionista, e antiebraica tout court, di un organismo internazionale che già in passato si è macchiato di imperdonabili atteggiamenti antisemiti. E dunque Matteo Renzi ha fatto bene, sia pur troppo tardivamente, a chiedere al ministro Gentiloni spiegazioni sull'«allucinante» astensione dell'ambasciatore italiano su una mozione Unesco che ha negato millenni di storia ebraica, de-ebraizzando con protervia il Monte del Tempio a Gerusalemme. Ma la spiegazione su un singolo episodio deplorevole non basta. Bisogna andare alla radice, chiedersi perché l'Italia abbia sentito il bisogno (per ragioni diplomatiche, geopolitiche, economiche, commerciali?) di non contrastare, come invece, e meritoriamente, altri Paesi democratici hanno fatto, la deriva antisemita che l'islamismo politico ha portato in una sede internazionale, e non soltanto in qualche tumultuosa piazza medio-orientale. E chiedersi perché i Paesi nemici di Israele hanno proposto in sede Unesco una mozione così sciagurata e offensiva. Interrogarsi su quale obiettivo simbolico intendevano raggiungere.

Pierluigi Battista, Corriere della Sera
22 ottobre 2016


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Il caso Unesco 

II premier: "La politica riprenda il primato"

L'incidente è capitato sull'Unesco, e non c'è i dubbio che Renzi sia davvero rammaricato per il voto dell'Italia che offende Israele. Però c'è molto altro, dietro l'aggettivazione sfoderata dal premier: «Una vicenda allucinante». Dove si intuisce che la nostra astensione fuori luogo è, ai suoi occhi, soltanto l'ultimo esempio di una diplomazia italiana che va per conto suo. E procede, per dirla sempre con le parole di Renzi, col pilota automatico. Cioè in base a consuetudini, prassi, convenzioni e precedenti spesso illustrati in un gergo che capiscono solo gli addetti ai lavori. Un mondo esoterico di ambasciatori, alti rappresentanti, consoli e ministri plenipotenziari che, perlomeno all'inizio, trattava Renzi con una certa dose di paternalismo: come un ragazzo promettente che in Europa doveva farsi le ossa, dunque aveva disperato bisogno di lasciarsi consigliare e guidare. Da una Casta all'altra. E un padrinaggio che a Renzi fa venire l'orticaria. Rivendica il primato assoluto della politica, che poi si riassume nella netta distinzione tra chi comanda (il Parlamento, il governo, egli stesso) e chi invece deve eseguire (l'alta burocrazia ministeriale).

Ugo Magri, La Stampa
22 ottobre 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

La cerbiatta

img headerYona Wallach nasce nel 1944 in una piccola cittadina non lontano da Tel Aviv; da bambina perde il padre, caduto soldato nella Guerra d’Indipendenza di Israele. È una ragazzina intelligente, ribelle, creativa e anti conformista che frequentando la scuola di arte “Avni” diventa ben presto un personaggio di spicco dei circoli bohémienne e un’artista discussa, a volte amata, a volte odiata: insomma una “poetessa maledetta”. Frequenta Natan Zach, Zelda, Meir Wieseltier e David Avidan, entrando così a modo suo nella cerchia dei poeti più importanti di Israele.
Nulla è sacro per Yona Wallach; la sessualità è parte del suo linguaggio lirico e la religione una delle metafore del quotidiano. L’esperienza della cura psichiatrica in cui le viene somministrato l’LSD è alla base del suo stile “parlato”, sfacciato, duro e allo stesso tempo tenero e pieno di amore. La Wallach, una grande matriarca della lirica israeliana, merita un libro intero e cito volentieri il saggio interessante di Elisa Carandina a lei dedicato. Yona muore di cancro a soli 41 anni. Oggi propongo due sue poesie dedicate alla Cerbiatta, una figura letteraria colma di significato dalla Bibbia ai giorni nostri.


In un anfratto nascosto tra i dirupi
una cerbiatta si disseta,
cosa ci accomuna, se non le rocce del mio cuore
la sorgente della mia vita
l’arcano


Cerbiatta cosa ci accomuna -
cosa ci unisce -  
Cerbiatta cosa ci accomuna  -
se non il mio amore.



Sarah Kaminski, Università di Torino

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