Paolo
Sciunnach,
insegnante
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E
si dissero l’uno all’altro: tuttavia noi siamo colpevoli nei confronti
di nostro fratello in quanto abbiamo visto il suo animo angosciato
quando ci stava supplicando e non abbiamo dato ascolto. Questo è il
motivo per cui ci è capitata addosso questa pena. Reuven rispose a loro
e disse: Non vi avevo forse avvisato dicendo: non peccate contro il
ragazzo; e voi non avete dato ascolto? (Bereshit 42, 21 – 22).
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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Non
si può continuare a far finta di nulla. Israele è stata messa in un
angolo. Israele si è messa in un angolo. Che l’antisemitismo sia in
forte crescita e che gli ebrei non attirino molte simpatie in giro per
il mondo è indubbio. E non siamo del tutto certi che ci sia un rapporto
necessario e consequenziale fra antisemitismo e ani-israelianismo:
l’antisemitismo c’è sempre stato, anche prima che esistesse Israele,
come sventuratamente si sa.
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Israele, la rabbia di Bibi
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“Abbiamo
raccolto le prove e siamo sicuri che l’amministrazione di Barack Obama
abbia coordinato, definito le parole e sostenuto fino in fondo il testo
approvato. Come ho detto al segretario di Stato John Kerry: gli amici
non portano gli amici davanti al Consiglio di Sicurezza”.
È la dura presa di posizione del premier israeliano Benjamin Netanyahu
sul voto Onu sugli insediamenti, segnato dalla storica astensione
statunitense. Diversi gli approfondimenti, diverse le voci che
intervengono su questo nuovo capitolo (l’ultimo?) della difficile
relazione Netanyahu-Obama. Anche alla luce della decisione annunciata
ieri dal governo di Gerusalemme di procedere con la costruzione di
oltre 600 nuove abitazioni a Gerusalemme Est.
“Le critiche Onu potrebbero spingere il Tribunale Internazionale in
Olanda a intentare processi contro i politici israeliani condannando le
colonie come crimini di guerra. E ciò potrebbe portare anche acqua al
mulino al movimento che vuole il boicottaggio” dice Nahum Barnea al
Corriere.
Scrive Fiamma Nirenstein sul Giornale: “La scelta di Obama di gettare
Israele in pasto all’Onu per quello che riguarda il processo di pace,
anche se viene da un leader importante, non ha nessun futuro. Obama ha
violato la democrazia e il buon senso ergendosi contro l’evidente
parere del popolo americano”.
Sostiene l’ex direttore del Foglio Giuliano Ferrara in un editoriale:
“La piccola frazione di un villaggio israeliano in Cisgiordania fa di
più per la nostra libertà e sicurezza di tutti i predicozzi malvissuti
di una ideologia irenista di fede che ha smarrito se stessa.
Figuriamoci il cinismo dell’Onu”.
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israele Rivlin incontra i leader cristiani:
"Siria, non restiamo in silenzio"
“In
tempi come questi, il silenzio non è un’opzione. Mi auguro che la
comunità internazionale agisca con forza per aiutare gli innocenti,
tutti i civili, uomini, donne e bambini. Non siamo ancora riusciti a
ottenere la pace per il popolo siriano, ma vediamo queste terribili
immagini e ascoltiamo le parole di chi soffre. Gli israeliani di tutte
le fedi sentono il dovere di dare una mano, far sentire la propria
voce”.
Lo ha affermato il presidente israeliano Reuven Rivlin, incontrando
questa mattina una delegazione di leader delle comunità cristiane.
“Sono orgoglioso – ha poi detto – per l’aiuto che Israele sta dando
alla popolazione siriana da un punto di vista sia umanitario che
medico. So bene che non è che una goccia nell’oceano, ma è sempre
meglio di niente. Diciamo no al silenzio. Parliamo, agiamo, preghiamo.
Tutti insieme”.
Durante l’incontro, il presidente Rivlin si è inoltre soffermato sul
contestato voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sugli
insediamenti. Un voto, segnato dalla storica astensione statunitense,
che sta facendo parlare la politica israeliana e internazionale.
“Ci siamo stretti le mani più volte in questi anni, chiedendo una
negoziazione diretta, senza pre-condizioni, senza ulteriori
slittamenti” ha sottolineato Rivlin, rivolto alla leadership
palestinese.
“La decisione di portare Israele al Consiglio di sicurezza – ha poi
aggiunto – è stata sbagliata per due motivi: per aver forzato le
pre-condizioni, ma anche per il modo in cui è stata condotta. La
missione della comunità internazionale è infatti ben diversa: cercare
di costruire fiducia, tra le parti, per risolvere le conflittualità
esistenti. Esattamente l’opposto di quello che è stato fatto all’Onu”. Leggi
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PAGINE EBRAICHE - IL direttore degli uffizi "Più arte contro la barbarie"
“Davanti
alla barbarie imperante. Davanti ai nemici della civiltà, al terrorismo
e al populismo in tutte le sue forme e manifestazioni, non possiamo
restare fermi. È una lotta anzitutto culturale e per questo l’arte e i
musei devono avere un ruolo di primo piano. Non oasi separate, non
trofei e rifugi temporanei dalle bruttezze del mondo, ma attori
protagonisti nella vita di ogni giorno. Questo è il ruolo che ci
compete. Questo è la strada che intendo seguire con tutte le mie forze”.
Da quando è stato nominato alla guida degli Uffizi, dall’estate dello
scorso anno, Eike Schmidt si è distinto per l’impegno sociale che ha
voluto associare a quello di racconto e divulgazione dei grandi
capolavori che ha l’onore e l’onere di amministrare. Una missione al
campo di Mauthausen per affermare il valore universale della Memoria,
la commemorazione dell’eroico guardiano dei tesori di Palmira sgozzato
dall’Isis; la collaborazione avviata con Lampedusa sul tema dell’arte,
del dialogo e della solidarietà: tanti i segnali positivi lanciati in
questi mesi a raggiungere l’opinione pubblica.
Significativa anche l’attenzione dedicata ai linguaggi nartistici delle
minoranze. In quest’ottica sta prendendo avvio una collaborazione con
il Museo ebraico di Roma che porterà, nel 2018 o al massimo nel 2019,
all’organizzazione di una grande mostra sugli antichi tessuti rituali
che lo stesso ha raccolto e catalogato all’interno del progetto delle
“Antiche Mappot”, presentato nelle scorse settimane agli Uffizi. Una
collaborazione che, ci spiega Schmidt, si estenderà poi ad altre realtà
e ad altri musei ebraici d’Italia.
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otto giorni otto luci La forza di Giacobbe
Isaiah
Horowitz, meglio noto come Shelah ha-Kadosh (1565-1630), insegna che
tutte le nostre feste hanno una relazione con i brani della Torà dei
sabati in cui cadono. Così è anche per Chanukkà, che è in relazione con
Giuseppe, perché coincide sempre con i due brani della Torà (Vayeshev e
Miqqetz) che ne mettono in rilievo la figura. Levi Yitzchak di
Berditchev (1740-1809), inoltre, nell’opera Kedushat Levi asserisce che
addirittura il mese di Kislew è collegato con Giacobbe. Il collegamento
lo rileva dal verso della Torà: “e Giacobbe partì per la località di
Sukkot e costruì per sé una casa (vayven lo bait)”. Il valore della
parola lo/per sé è 36 come i lumi che accendiamo sulle porte della casa
negli otto giorni di Chanukkà, la cui durata è come quella della festa
di Sukkot (7+1). Per vincere la forza accecatrice dei greci e dei loro
eredi, bisogna risvegliare in noi la forza di Giacobbe che neanche
quell’angelo rappresentante di Esaù, lo yakhol lo, ha potuto accecarlo
intellettualmente.
Adolfo Locci, rabbino capo di Padova Leggi
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Luce a Napoli
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Accendere
la Chanukkiah a Napoli, immersi nell’atmosfera più natalizia che si
può. Recitare la prima benedizione la stessa sera della Vigilia.
Sentirsi diversi, piacevolmente. Guardare con curiosità, divertimento,
interesse le tradizioni altrui, della maggioranza. Stupirsi per un
presepe, una chiesa affollata e un organista famoso o per un dolce di
Natale. Che sia questa la condizione dell’ebreo nella Diaspora?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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