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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Tocca
comprare un metro. Data l’aria che tira tra Onu, Kerry e proposte di
pace che passino entro le misure dei confini pre1967 tocca proprio
comprare un metro. Dobbiamo capire se c’è una parte di casa mia che sta
oltre confine sporgendosi troppo verso qualche villaggio arabo intorno
Gerusalemme e che quindi è ostacolo alla serenità della città, di
Israele, del mondo arabo e del mondo intero. Perché metti che la mia
cucina è fuori confine, devo dire a mia moglie che è chef ed insegna a
cucinare, che lei per molte ore al giorno è una nemica della pace.
Metti che invece il mio studio sia fuori confine, allora anche queste
righe che sto scrivendo sono il prodotto di una occupazione illegale.
Metti che ad essere illegale sia la camera da letto? Non solo qualche
volta russo, cosa che riguarda solo chi dorme con me (la chef di cui
sopra), ma in realtà il mio solo dormire è un sopruso internazionale. E
se poi, metro alla mano, scopre che ad essere in posizione illegale è
il bagno? A quel punto quando ci entro non è il bagno ad essere
occupato ma sono io che occupo con la scusa di liberarmi.
Il punto è che i grandi proclami e le grandi risoluzioni internazionali
hanno fallito ovunque e resta solo in piedi l’idea di un metro che
passi per queste strade e misuri la nostra complicata realtà per darle
un respiro di sicurezza e di pace reale e condiviso.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Caro
diario, oggi il Segretario di stato uscente John Kerry ha voluto
pronunciare un discorso molto netto di condanna della politica di
Israele in materia di insediamenti. Ha voluto dedicare più di un’ora
all’argomento, assumendo come proprie le posizioni di un movimento
politico ebraico americano che si chiama J-Street, per il quale ho
molta simpatia. Però, caro diario, a me quel discorso pronunciato da un
Segretario di stato è sembrato sbagliato, anche se onesto. Mi sarei
aspettato un bilancio complessivo sulla politica mediorientale
dell’Amministrazione Obama, che contestualizzasse il conflitto
israelo-palestinese e descrivesse le strategie messe in atto
dall’Amministrazione uscente. E riconoscesse soprattutto gli errori,
perché una cosa è certa: se fosse tutto realistico il nocciolo del
discorso che ha pronunciato Kerry, oggi dovremmo vivere una situazione
avviata finalmente alla pacificazione. Mi sarei aspettato, in realtà,
una premessa diversa: “Cosa non ha funzionato”? “Perché, nonostante i
nostri sforzi in direzione della soluzione due popoli due stati, si è
arrivati a uno stallo totale del percorso di pace”? “Dove abbiamo
sbagliato”? Ecco, questa avrebbe dovuto essere la premessa da cui
secondo me doveva partire il segretario di stato di un’amministrazione
americana le cui politiche in Medioriente non hanno prodotto i
risultati sperati e che forse anche per questo non è riuscita a far
eleggere la sua prima segretaria di stato a nuovo presidente degli USA.
Ricordo il discorso di Obama al Cairo quando le “primavere arabe” erano
agli inizi. Un’apertura importante, un’occasione offerta alle
popolazioni arabe oppresse da oligarchi e capi religiosi che chiedevano
finalmente di dare concretezza a un’idea reale di democrazia e di
libertà civili. Ma da allora l’unica grande potenza occidentale (ché
l’Europa, ahimè, è da tempo ininfluente) non è riuscita a governare
questa trasformazione e ha lasciato che il fondamentalismo islamista si
impossessasse delle energie positive di quell’inizio di rivoluzione. Un
errore strategico senza precedenti, caro diario, che con ogni evidenza
ha avuto le sue conseguenze anche sul conflitto in Israele e nei
territori palestinesi.
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Una domanda aperta
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Un
terrorista in grado di avere una rete di complicità in Italia oppure
uno sbandato che dopo aver colpito a Berlino viene abbandonato a se
stesso? “Gli inquirenti, a una settimana dall’uccisione di Anis Amri,
24 anni, ancora non sono venuti a capo di questo rebus” scrive La
Stampa.
“Sono in corso indagini sulle quali non posso dire nulla per evidenti
ragioni. Posso solo dire che sono in corso indagini importanti” ha
affermato il ministro dell’Interno Marco Minniti al riguardo.
L’argomento è stato trattato anche nel corso della conferenza stampa di
fine anno dal Primo ministro Paolo Gentiloni. “Non risulta – le sue
parole, in risposta alla domanda di un giornalista – che Amri avesse in
Italia reti particolari. Risulta invece che due poliziotti italiani,
reagendo ad un suo colpo di pistola, hanno individuato un terrorista
che aveva colpito in Germania. Occorre darne atto alle nostre
istituzioni senza con questo eccedere in compiacimento”.
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Pagine ebraiche - IL DOSSIER DI GENNAIO Golem, dal mito della creazione
ai dubbi della contemporaneità
“Dal
mito della creazione ai dubbi della modernità”. Questo il titolo che
apre il grande dossier dedicato al Golem sul numero di gennaio di
Pagine Ebraiche. Pubblichiamo l’introduzione di Ada Treves, curatrice
dell’approfondimento.
Talmente
radicato nell'immaginario collettivo da essere praticamente
onnipresente e comparire in tutti i media, dal cinema alla scultura,
dal fumetto ai videogiochi, il Golem secondo la più accreditata delle
leggende è un gigantesco pupazzo d’argilla dalle forme appena
abbozzate. Creato dal Maharal di Praga, Yehuda Löw ben Betsalel, uno
dei maggiori e più influenti pensatori ebrei del suo tempo, la materia
che lo compone è il fango delle rive della Moldava. Si tratta di una
vicenda quasi archetipica: il Maharal decide di creare il Golem con uno
scopo preciso, gli ebrei di Praga sono accusati di aver commesso un
omicidio rituale e sono in pericolo. Grazie al Golem il complotto viene
sventato, ma il rabbino perde il controllo della sua cretura, che si
rivolta contro il suo creatore e finisce per versare quello stesso
sangue ebraico che avrebbe dovuto proteggere. Viene fortunosamente
disattivato e i suoi resti si troverebbero ancora in una soffitta
irraggiungibile della sinagoga Vecchio-Nuova di Praga.
È una creatura che ha un lato oscuro e terrificante ed è ancora
circondato da un'aura di mistero e soggezione a distanza di più di
cento anni dalla sua prima apparizione cinematografica, nel film di
Paul Wegener, ma il tema dell'automa in grado di prendere vita
corrisponde in maniera profonda all'antico desiderio umano di
antropomorfizzare le sue creazioni, a imitazione del soffio divino che
infonde la vita in una forma di fango e argilla, come quella del Golem.
Si aggiunge l'idea perturbante della creazione che tradisce la propria
natura, e quel potere magico della parola e delle lettere che così
fortemente è legato alla tradizione e alla cultura della minoranza
ebraica. "Emet", verità, è la parola che porta in vita il Golem, e per
fermarlo definitivamente serve cancellare la prima lettera, in modo che
sul cartiglio si legga “met”, morto. La sua storia è in realtà molto
più remota della vicenda del Maharal di Praga: il termine compare già
nel Salmo 139:16 dove indica, questa la traduzione più diffusa in
italiano, un "informe embrione". Secondo la tradizione talmudica sono
queste le parole pronunciate da Adamo a Dio, e stanno a indicare un
corpo umano che è ancora privo di anima, e sono diversi i maestri che
si dedicano a costruire un Golem. Le istruzioni per procedere alla sua
creazione, che si moltiplicano a partire dal XII secolo, precedono gli
esperimenti di Paracelso per dare vita al suo Homunculus e Moshe Idel
documenta che la creazione del primo Golem "moderno", opera del rabbino
Elijhau di Chelm, è ancora precedente a quella del Maharal. Ma il
fascino misterioso di Praga, come ben intuito da tutti gli autori
ottocenteschi che hanno raccontato storie ispirate alla vicenda del
Golem, era evidentemente più adatto all’ambientazione di un mito. A
partire dal XIX secolo, infatti, la società europea cominciò ad
adottarne la figura in numerose opere di fantasia, facendolo diventare
protagonista del romanzo di Gustav Meyrink, opera classica di
riferimento sul tema, e di una serie di classici del cinema
espressionista tedesco. Una storia difficile, una vicenda inquietante
alla pari di numerose opere letterarie, come L’uomo della sabbia di
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann o il Frankenstein di Mary Shelley, ma
così affascinante da avere una grande influenza su tutta la produzione
culturale contemporanea e non solo sulla cultura cosiddetta "alta". Non
c'è solo “Il servo” di Primo Levi (nella raccolta di racconti Vizio di
forma) o la poesia di Borges in L'altro, lo stesso. Oltre alla recente
traduzione del Golem, di H. Leivick, capolavoro della letteratura
yiddish, e all'iconico film di Paul Wegener, vanno ricordate almeno le
opere omonime di Isaac Bashevis Singer, Elie Wiesel e Il cabalista di
Praga di Marek Halter, ma anche il fantasy Piedi d’argilla, di Terry
Pratchett. E non si può ignorare che su suggerimento di Gershom Sholem
il primo computer israeliano venne chiamato Golem Aleph: oggi è un
personaggio simbolo della capacità creativa dell’essere umano e dei
risultati della tecnologia nell’era moderna. E riscoprendolo nei libri
per bambini, nei fumetti o come personaggio di tanti giochi e
videogiochi, o visitando la straordinaria mostra curata da Emily Bilski
e Martina Lüdicke aperta in queste settimane al Museo Ebraico di
Berlino, non va dimenticato che il Golem è una creatura in cerca della
propria identità, che lotta per un’autonomia che non è neppure sicuro
di volere. E impone a tutti noi di interrogarci sulla liceità dell’uso
della violenza in situazioni estreme.
Ada Treves, dossier Golem - Pagine Ebraiche gennaio 2017
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qui ferrara - l'iniziativa Meis, se le domande fioriscono
Alloro,
mirto, timo, lavanda e maggiorana: le piante aromatiche utilizzate per
l’Havdalah, la preghiera che si recita al termine dello Shabbat, ci
sono già tutte e saranno presto affiancate da frumento, orzo, olivo,
vite, melograno, fico e palma da datteri, le sette specie bibliche. Il
luogo in cui tutte queste essenze stanno trovando dimora è il “Giardino
delle domande”, nel grande comprensorio del Museo Nazionale
dell’Ebraismo Italiano e della Shoah tra il cantiere e la palazzina già
aperta al pubblico.
“Con questo progetto, unico in Italia – spiega Simonetta Della Seta,
direttore del Museo – vogliamo invitare il pubblico ad avvicinarsi alla
cultura ebraica anche attraverso i suoi odori e i suoi sapori. Nel
Giardino, che sarà inaugurato in primavera, si parlerà delle spezie
presenti nella Bibbia e dei sentieri dell’alimentazione ebraica.
L’approccio sarà ludico e interattivo, e coinvolgerà i cinque sensi,
facendo riflettere sia sulle differenze che sulle molte somiglianze con
altre tradizioni. Ci rivolgeremo a tutti, con un’attenzione speciale
alle scuole, cui saranno dedicate attività didattiche sul valore del
cibo e delle bevande nelle feste e nelle tradizioni familiari legate
alla tavola ebraica”. Leggi
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qui roma - la cerimonia Chanukkah, festa all'Israelitico
"Tornato un ospedale vivo"
“Un
anno fa abbiamo acceso questo candelabro all’interno dei locali
dell’ospedale in un momento di difficoltà. Abbiamo passato mesi in cui
una struttura così importante ha rischiato perfino di chiudere. Ma
abbiamo lottato. Ha lottato la Comunità, ha lottato il commissario e
hanno lottato soprattutto i dipendenti che hanno creduto in una storia
che affonda le sue radici nel Seicento”.
Sul palco all’allestito in piazza San Bartolomeo all’Isola, dove
intervengono anche la presidente della Comunità ebraica Ruth
Dureghello, il vicesindaco Luca Bergamo e il vice-ambasciatore
d’Israele Rafael Erdreich, il presidente dell’Ospedale israelitico di
Roma Bruno Sed riassume con queste parole il significato
dell’accensione pubblica della Chanukkiah svoltasi ieri sera davanti
all’ingresso della struttura.
“Non è stato facile, eppure siamo riusciti a tornare un ospedale vivo,
punto di riferimento di una sanità al servizio dei cittadini” le sue
parole, pronunciate alla presenza di rappresentanti delle istituzioni
(tra cui la ministra Valeria Fedeli), delle principali strutture
sanitarie cittadine, di numerosi romani.
Sullo sfondo l’immagine del Muro Occidentale, proiettata sulla facciata
dell’ospedale ad evocare il legame indissolubile tra Israele e comunità
della Diaspora. Grande suggestione anche per il canto intonato dal coro
della Comunità ebraica, mentre il rav Jacov Di Segni procedeva
all’accensione dei lumi.
Presenti alla cerimonia, tra gli altri, la presidente UCEI Noemi Di Segni e il comandante dei Carabinieri Tullio Del Sette. Leggi
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Coerenza e credibilità
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A
proposito della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite su questo notiziario abbiamo già letto uno spettro di
opinioni molto variegate. E come sempre c’è chi lo ha criticato per
aver dato troppo spazio a chi non apprezza l’attuale governo
israeliano. Per par condicio mi permetto per una volta una critica di
segno opposto: siamo sicuri che il modo più neutrale per dare una
notizia sia citare, seppure tra virgolette, il commento del primo
ministro israeliano o dall’ambasciatore di Israele all’Onu? Siamo
sicuri che titoli come “Mentre in Siria ci sono i massacri le Nazioni
Unite si occupano d’Israele” o “All’Onu, l’ennesima vergogna.
Prenderemo provvedimenti” sul portale di informazione edito dall’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane non vengano percepiti come la
posizione ufficiale dell’ebraismo italiano? O forse era proprio questa
l’intenzione? In tal caso devo dire che questa scelta (se era voluta)
mi spaventa un po’. Un conto è dire che gli ebrei italiani sono
solidali con Israele, un altro è dire che gli ebrei italiani fanno
propria in modo acritico qualunque opinione il governo israeliano in
carica intenda esprimere. Nel caso specifico, poi, vedo alcuni problemi
che mi sembrano meritare una riflessione.
Anna Segre, insegnante
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Amici e nemici |
Tra
i tanti commenti comparsi in questi giorni sui social network e sui
profili pubblici, facenti parte di quella galassia non ben definibile
che gravita intorno al mondo ebraico italiano, in risposta ad alcuni
articoli apparsi su queste pagine – i quali inevitabilmente si potrà
essere in accordo o in disaccordo – mi sono saltati particolarmente
all’occhio quelli di due utenti che sostenevano, riassumendo, che
Israele dovrebbe “diventare una dittatura, e che se vuole sopravvivere
dovrebbe sacrificare la propria democrazia perché non può permettersi
al suo interno la presenza di voci – naturalmente “antisemite” – in
controtendenza con la propria maggioranza”. Una ripresa un po’ di quel
detto spagnolo “Cría cuervos, y te sacarán los ojos”. Si tratta di
commenti sicuramente isolati ed irrilevanti, ma forse le categorie di
“amici” e “nemici” di Israele dovrebbero essere talvolta ripensate.
Francesco Moises Bassano
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Diario del soldato - Speranza |
Siamo alla vigilia di un nuovo anno civile, di una pagina bianca della storia pronta per essere scritta.
Chiudiamo così un altro duemila che verrà ricordato più per le
disgrazie che ha portato con sé, che per i pochi e vani tentativi di
progredire e migliorarsi.
Ricorderemo poco di ciò che è accaduto, perché nell’era degli
smartphone anche le ferite si devono rimarginare alla velocità di un
click.
Ricorderemo la Brexit e il No alla riforma costituzionale, il sorriso trionfante di Donald è l’overall bianco di Melania.
Ricorderemo Haifa e le alture del Golan in fiamme, i funerali
dell’infermiera Hadas e della piccola Hallel, il decreto su Gerusalemme
dell’Unesco e la nuova intifada dei coltelli. Che tanto nuova poi non è.
Ricorderemo Parigi e Bruxelles, la Turchia e la Siria.
David Zebuloni
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Il dono del fuoco |
Quanto
ci soffermiamo sulle fiamme che ardono nella Chanukkiah? Non è forse il
fuoco uno dei primi e più grandi tesori dati all’umanità? Secondo un
midrash D. infatti donò il fuoco ad Adam all’uscita di Shabbat. Al
contrario, secondo la mitologia greca è l’uomo, Prometeo, che lo ruba
agli dei. Che differenza può esserci tra un fuoco rubato e un fuoco
donato? Il furto si nasconde. Il dono varca sempre la propria soglia.
Imitando un atto divino allora poniamo alle porte e alle finestre le
nostre luci. Queste andranno oltre le nostre case.
Ilana Bahbout
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"Netanyahu è stato offeso"
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Il
professor Sergio Della Pergola, nel suo settimanale intervento sul
notiziario Pagine Ebraiche 24, è riuscito a criticare
contemporaneamente il cambiamento della politica USA ordinato da Obama
nella votazione al Consiglio di sicurezza dell’ONU, che definisce
“perfida e sottile vendetta politica”, e tutta la politica del suo
primo ministro Netanyahu, regolarmente rieletto dal popolo di Israele
durante gli otto anni della presidenza di Obama, al punto dal
richiederne, al termine del suo intervento, il “licenziamento
immediato”.
Peccato che, nella sua ben nota idiosincrasia nei confronti di
Netanyahu, Della Pergola faccia affermazioni molto discutibili, ed
ometta realtà che distruggerebbero le sue tesi.
Raffaele Besso, Consigliere Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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