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30 marzo 2017 - 3 nissan 5777
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Verso Pesach 

Il pane della liberazione

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L’associazione ex-allievi della Scuola ebraica di Torino offre un programma di visite guidate di tutto rispetto, in Piemonte e oltre. Lo scorso anno ci condusse al Castello di Manta presso Saluzzo, dove attori e attrici vestiti da personaggi dell’epoca feudale comparivano fra i turisti a raccontare momenti di vita della corte. E così, mentre visitavamo le cucine sentii narrare le lamentele di una serva. I signori, diceva, non condividevano il loro pane bianco con i subalterni, ai quali era riservato invece il pane nero. Solo il vino i padroni di casa dispensavano a volontà, perché era loro interesse mantenere il buon umore della servitù. Queste parole mi hanno chiarito un passo dei commenti di Don I. Abrabanel e di Leon da Modena sulla Haggadah. Entrambi osservano che il Mah Nishtannah manca di un riferimento alla Mitzwah dei “quattro bicchieri” di vino e spiegano che le “quattro domande” sono in realtà equamente ripartite fra due simboli di afflizione (la Matzah e il Maror) e due altri di agio (l’atto di intingere l’antipasto e di mangiare reclinati), mentre del vino non parlano, “in quanto talvolta anche gli schiavi indulgono nel bere”. Contrariamente all’immagine corrente con cui identifichiamo nel vino un’espressione di gioia e di lusso, esso è qui descritto come un elemento potente di coesione sociale. A differenza del pane che rimarcherebbe le differenze di ceto.

Alberto Moshe Somekh, rabbino

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VERSO PESACH

Dalla parte dei più vulnerabili 

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Attualmente ci troviamo a metà strada tra due appuntamenti di grande significato nel calendario ebraico, il 14 Adar e il 15 Nissan o, in altre parole, tre le festività di Purim e Pesach. Entrambe ci chiedono di ricordare momenti importanti della storia ebraica: momenti in cui il popolo ebraico si trovò in una posizione vulnerabile in un paese che non era il suo, alla mercé di eventi storici spiazzanti e di istituzioni politiche ben più grandi e potenti di loro.
Una delle mitzvot di entrambe le ricorrenze consiste proprio nel ri-raccontare e ri-ascoltare le storie stesse. E quest’anno esse possono essere da noi percepite come particolarmente di impatto, soprattutto prestando attenzione alla rinomata esortazione dell’Haggadag che “in ogni generazione ognuno debba sentirsi come se avesse lasciato l’Egitto personalmente”. Che fosse nell’esilio di Persia, o come parte della classe bassa e schiavizzata in Egitto, in entrambi i momenti storici ci ritrovammo nei panni di profughi e rifugiati.
La Meghillat Ester non fa mistero della condizione di esilio di Mordechai e della figlia adottiva Ester.

Daniel Leisawitz, Muhlenberg College

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società  

Convivere insieme
è l'antidoto all'odio

L’Europa che celebra i 60 anni dei Trattati di i Roma è segnata da un rivolo di intolleranza che scorre fra Buch, East London e Malmö. Ciò che accomuna il piccolo centro tedesco, le periferie londinesi e la terza maggiore città svedese è la dinamica dell'ostilità nei confronti degli stranieri: si sviluppa maggiormente nei quartieri limitrofi a quelli popolati dagli immigrati ma dove gli stessi immigrati sono pressoché assenti. Ad anticipare questo fenomeno sono stati, nel 2011, i sociologi Jens Rydgren e Patrick Ruth del-l'Università di Stoccolma redigendo uno studio sulle comunità che vivono «sufficientemente vicino agli stranieri per sentirsene minacciati ma ancora troppo lontano per conviverci». È una declinazione della teoria dell'«Effetto Halo», elaborata negli Anni Venti dallo psicologo americano Edward Lee Thorndike, in base alla quale guardando l'aspetto esterno di una persona o di un gruppo di individui si sviluppano dei pregiudizi nei loro confronti. Se osserviamo da vicino la dinamica dell'avversione contro gli stranieri che distingue Buch, dove «Alternativa per la Germania» lo scorso anno ha raccolto il 22 per cento dei suffragi, ci accorgiamo che nasce proprio in strade e quartieri dove gli immigrati scarseggiano a differenza di quanto avviene nella vicina Berlino dove la Germania esalta il volto di una società multi-culturale.


Maurizio Molinari, La Stampa
26 marzo 2017


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società 

Contro l'assenza di regole
I brand lasciano Youtube

La scorsa settimana è stata davvero difficile per Google: grandi aziende hanno sospeso le loro campagne pubblicitarie su YouTube (che appartiene a Big G) dopo aver scoperto, grazie a un'inchiesta del Times, che i loro annunci erano associati a video di propaganda razzista o jihadista e ne avevano involontariamente foraggiato gli autori. Per il gigante del web, una perdita di milioni di dollari. Il caso potrebbe avere effetti importanti, perché mette a rischio il dominio incontrollato di Google (e Facebook) sull'industria pubblicitaria, il loro bullismo gentile nei confronti dei media tradizionali e, alla lunga, la (forse troppo) grande influenza che hanno sulle nostre vite. Non abbiamo a che fare infatti solo con una perdita in termini di reputazione, come nello scandalo delle fake news che ha costretto il social network a introdurre meccanismi di verifica (tutti da verificare a loro volta). Qui si tratta di soldi: Google, come Facebook una macchina da pubblicità, viene colpita al core (business). Finora, come spiega il Guardian, i signori della Silicon Valley hanno contato sulla naiveté degli inserzionisti. . I brand non sanno nemmeno dove finiscono i loro annunci. Il «programmatic advertising» promette loro una «targetizzazione» precisa, gli fa cioè credere che il loro messaggio raggiungerà le persone giuste nel modo giusto.

Gianluca Mercuri, Corriere della Sera
28 marzo 2017


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Shir shishì - una poesia per erev shabbat

"Un pappagallo ho dentro il cervello"

img headerFiglia di artisti e poeti, Rachel Chalfi, è una nota poetessa nata nel 1939 a Tel Aviv, che scrive armonie dialettiche in cui tesse scienza e mistero, lingua quotidiana e arcaica, banalità e misteri. Ha cominciato la sua vita professionale come corrispondente dell'esercito israeliano e dopo il congedo ha lavorato da redattrice per la radio Kol Israel. Si è specializzata in letteratura e teatro all'Università di Gerusalemme e a Berkeley, per poi insegnare per molti anni all'Università di Tel Aviv, pubblicando 16 volumi di poesie e occupandosi anche di cinema. Lei e Jona Wallach sono considerate le donne incantatrici, un po’ le streghe della poesia israeliana. Ma mentre Wallach arriva dal tormento e dalla ribellione, Chalfi parla di fisica, zoologia e biologia marina con la stessa intensità e senso ironico con cui tratta l'ignoto, le donne definite streghe ai tempi del Medioevo e i moderni barbablù. Per le sue opere molto musicali, che a volte sembrano perfino sconnesse, ha vinto i premi più importanti assegnati dalle istituzioni israeliane: premio del Primo Ministro 2006 e premio AKU"M 2016. I lettori rispondono alla sua creatività con grande amore e la raccolta di poesie vecchie e nuove del 2016 è sparita dagli scaffali in pochi mesi; un fatto assai insolito per un volume di liriche.

Un pappagallo ho dentro il cervello
lui non sa di essere in gabbia
pensa che i suoi colori siano
libertà
che le sue parole siano
una teoria filosofica
un pappagallo non sa di essere un pappagallo
pensa di essere un antichissimo uccello
di essere antichità dalle ali possenti
pensa di essere uno pterosauro
forse pensa di essere
me

(Ariel Rathaus, Poeti di Israele, Einaudi, 2007)

Sarah Kaminski, Università di Torino

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