Paolo Sciunnach, insegnante | Nel
Periodo del Conteggio dell'Omer abbiamo scalato 49 gradini spirituali
per prepararci ad essere degni di ricevere la Torah. Sono 49 scalini
che portano sulla cima del Monte Sinai.
Di questi 49 scalini 48 sono nelle nostre mani dobbiamo lavorare su noi
stessi, il 49 è il salto finale che ci viene fatto fare per mano di
D-o. Noi saliamo e alla fine D-o ci prende per mano.
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Anna
Foa,
storica |
Cresce
l’intolleranza contro i poveri, dice, e a ragione, Emma Bonino. Ma chi
sono i poveri? Certamente gli immigrati, i neri, i senza casa, i
barboni a cui ogni tanto qualcuno qualcuno si diverte a dare fuoco. E
altre categorie di emarginati. Noi ebrei non lo siamo, per il momento.
Ma possiamo forse diventarlo. In uno studio di una ventina di anni fa,
una studiosa americana, Karen Brodkin, ha descritto il processo
attraverso cui, all’inizio del Novecento, gli ebrei emigrati in America
sono diventati “bianchi”, figuratamente ovvio.
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Nucleare, minaccia reale
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Sulla
prima del Corriere, Angelo Panebianco parla della minaccia nucleare
portata da regimi totalitari. Esordisce l’illustre opinionista: “Si sa
che lo Stato di Israele, anche se non lo ha mai ammesso ufficialmente,
possiede l’arma atomica. Ma neppure i suoi più viscerali nemici pensano
che Israele potrebbe lanciare ‘a freddo’ un attacco nucleare contro gli
Stati (come l’Iran) che ogni giorno ne invocano la distruzione. Invece,
il possesso di missili intercontinentali armati di testate atomiche da
parte della Corea del Nord terrorizza tutti: gli americani, il
Giappone, la Corea del Sud. Come mai? Ovviamente, questa disparità di
atteggiamenti e di aspettative ha una spiegazione semplice, dipende
dalla diversa natura dei due regimi politici. L’uno è una democrazia
sottoposta a vincoli interni ed esterni: potrebbe ricorrere all’arma
nucleare solo in presenza di una minaccia militare devastante, di un
concreto rischio di annientamento da parte dei suoi nemici. Invece, le
armi nucleari di un regime totalitario nel quale il dittatore è libero
di fare quello che gli pare (i cinesi, almeno fino ad oggi, lo hanno
permesso), fanno paura a prescindere”. Una spiegazione che dovrebbe
risultare ovvia, banale. Ma non lo è. “Per lo meno – osserva Panebianco
– non lo è per tanti europei”.
La speranza dei laburisti israeliani si chiama Avi Gabbay, manager
miliardario di origine marocchina, con un passato di significativa
povertà alle spalle. Al vincitore delle primarie interno al partito,
svoltesi lo scorso luglio, Repubblica dedica oggi un ritratto. “La
ricetta di Gabbay – scrive Repubblica – si riassume nella parola
moderazione. Memore dell’esito fallimentare della strategia adottata
sulla questione palestinese dai capi laburisti del passato, una
strategia tutta incentrata sul negoziato di pace (a volte fine a se
stesso), il nuovo candidato premier si dice favorevole alla formula dei
Due Stati, ma nega la possibilità che Gerusalemme Est possa essere
capitale anche di un futuro Stato Palestinese, il che echeggia, da
sinistra, il dogma dell’unicità e indivisibilità della Città
Santa-capitale d’Israele caro alla destra”.
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Oltremare - La goccia |
Chi
guarda al Medio Oriente da oltremare potrebbe pensare che qui tutto
funzioni a strappi e scatti, in alcuni casi sotto la forma di guerre,
in altri soltanto scaramucce verbali o movimenti di mani a frullare
l’aria, non facesse già abbastanza caldo. E invece, una cosa che ho
scoperto poco dopo il mio arrivo quasi dieci anni fa è che il principio
della goccia che fa il buco nella pietra è molto più seguito di quanto
non si potrebbe credere. All’epoca, stazionava davanti alla casa del
Primo Ministro un gazebo, sotto il quale si riparavano dal sole i
sostenitori di un accordo con Hamas per il rilascio del soldato Gilad
Shalit, rapito in modo abbastanza vigliacco a fine giugno 2006 e poi
finalmente restituito vivo nell’ottobre 2011. Quel gazebo era luogo di
ritrovo di giorno e sera, a volte c’erano cartelli o striscioni e a
volte no, manifestazioni con megafoni o silenziose, a volte gruppi
organizzati che da luoghi lontani venivano a portare la loro
solidarietà alla famiglia. Il gazebo era la goccia, e la pietra era
allora il governo, che dopo diversi tentativi andati a vuoto alla fine
lo riportò a casa vivo, anche se pagando un prezzo altissimo, di
impensabile sproporzione. Gilad da un lato, oltre mille militanti o
comunque carcerati palestinesi dall’altro. Oggi la goccia che scava la
pietra mi ritorna in mente ogni sabato sera, quando i telegiornali
riportano di tafferugli o arresti (sic) alla manifestazione settimanale
vicino alla casa del giudice che deve decidere se rinviare a giudizio
Netanyahu e per quali dei capi d’accusa.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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