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7 settembre 2017 - 17 Elul 5777
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VERSO ROSH HASHANAH - FOCUS SULL’ANNO

Un tempo per riflettere sull'indifferenza

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La parola indifferenza ha avuto un peso in questa nostra estate. L’ha avuto nella discussione sulle funzioni pubbliche di un luogo come il Memoriale al Binario 21. Per alcuni in senso proprio, per altri improprio. Ma l’ha avuto anche in altre circostanze. Indifferenza è diventato il termine con cui misuriamo quanto riteniamo sia pertinente o meno l’agire pubblico. Non credo che sia solo un’improvvisa punta di eccesso o l’indicatore di una condizione d’ipersensibilità. E’ stato detto che occorra avere una cultura della memoria o almeno è stata evocata da più parti una riflessione sollecita sulla memoria, sulla comparazione, sul senso del termine soccorso, sul dovere civile di chi ha memoria a non essere indifferente. Altri hanno rilevato invece che avere memoria implichi stabilire dei limiti, o non cadere in un generalizzato indifferentismo. Non mi sembra un buon modo di riflettere sul nostro agire nel presente rispetto a un passato di cui si vuol tenere vivo il contenuto. Nella storia della nostra specie deumanizzare serve a pensare l’altro essere umano incompleto, animale, oggetto.

David Bidussa, storico sociale delle idee
Pagine Ebraiche, settembre 2017

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VIOLENZA E FOTOGRAFIE - i rischi di PUBBLICARE tutto

Il Cuore Sigillato

Di nuovo un omicidio, e di nuovo circolano immagini orribili, mi passano davanti e le vedo solo con la coda dell’occhio. Scorro velocemente le pagine internet, cerco di non passare davanti al giornalaio, e spero sempre che nessuno dei miei amici su Facebook decida di condividerle.
Pubblicizzare le fotografie dalla scena di un massacro è un atto barbaro che porta ad un oscuramento della mente e delle emozioni. Le suddette immagini colpisco in tre modi. In primis, vengono colpite le vittime stesse, i loro parenti, vengono colpiti coloro i quali sono sopravvissuti ad attacchi terroristici del passato, risvegliando in loro traumi e memorie.
Pubblicizzare quelle foto non colpisce solo noi che le vediamo, ma vanno ad influire anche su coloro i quali decidono di portarle all’attenzione dei propri contatti, va a colpire i fotografi, i grafici, i video editors e gli internet editors, nonché tutti coloro i quali sono costretti per forza di cose, a distaccarsi dalla situazione ritratta nelle foto onde poterle presentare nel modo più efficace. “Che ne pensi? Ci mettiamo una cornice rossa intorno? Oppure ingrandiamo il tutto e mettiamo la foto al centro?”
Tuttavia, le foto vanno a colpire soprattutto voi. La foto agisce sulla psiche di chi la vede come una droga, che viene somministrata in dosi sempre maggiori, allorché la dose non è mai sufficiente. Certo, è ovvio che la foto è orribile: tuttavia ci dobbiamo chiedere quanto possiamo rimanere inorriditi, quante volte possiamo vedere la stessa foto e sentire che qualcosa dentro il nostro cuore trema? C’è un limite all’orrore, oltre il quale il cuore si chiude su se stesso e si oscura. Trasmettere le foto per televisione vuol dire trasformare il massacro in un evento televisivo, non molto diverso dall’ennesimo episodio di “Game of Thrones.” Il massacro viene trasformato in una finzione, un guscio che al suo interno non ha nulla.


Motty Fogel

Motty Fogel ha perso suo fratello Udi, che con la moglie Ruth e tre dei loro figli sono stati vittime di un attacco terroristico a Itamar. L’articolo è stato pubblicato in ebraico su Yediot Aharonot il 24 luglio 2017. La traduzione è di Yaakov Mascetti.

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Identità

Israele e la Diaspora, due mondi
che si rafforzano a vicenda

img header“Era una bellissima giornata, faceva caldo e ho aperto la finestra. Fuori ho sentito il passo di due soldati tedeschi e poi le loro parole ‘Nein, Nein, Konsolat’”. Era il maggio 1944 e un confine diplomatico fermò una perlustrazione nazista. Queste frasi di mia nonna Flora mi sono tornate in mente, e ne ho richiesto conferma, leggendo di sfuggita alcuni riferimenti al tema di quest’anno della giornata della cultura ebraica: diaspora. La ragione del riaffiorare del ‘ricordo del ricordo’ credo sia data proprio dal ruolo giocato dalla presenza del confine diplomatico. Ruolo presente in molti episodi di quegli anni e, allo stesso tempo, assente in molti – troppi – altri casi. Tutti quei casi, ovvero, in cui non ci fu paese disposto ad accogliere o nel proprio suolo (il Libro Bianco inglese, le quote statunitensi…) o nelle proprie sedi diplomatiche. Per quanto, come sappiamo, il sionismo sia movimento nato indipendentemente dalla Shoah, e per quanto l’aspirazione a vivere in Terra di Israele sia parte integrante dell’identità ebraica a prescindere dagli esiti persecutori di molte diaspore (precedenti la Shoah) – nonostante tutto ciò questo episodio segnala chiaramente come l’esistenza dello Stato di Israele, se nulla può contro l’insorgere dell’antisemitismo, molto può, nei fatti e nell’autopercezione, quando vi sia la necessità di sfuggirvi.

Cosimo Nicolini Coen

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ORIZZONTI  

«Niente religione,
siamo inglesi»   

«We don't do God», «noi non "facciamo" Dio», fu la celebre risposta di Alastair Campbell, consigliere per la comunicazione di Tony Blair, a chi gli chiedeva dell'atteggiamento dell'allora governo laburista verso le questioni religiose. Ma adesso a «non "fare" Dio» sembra essere l'intera società britannica, o almeno la sua maggioranza: secondo un sondaggio appena pubblicato, i153 per cento della popolazione non professa alcuna appartenenza religiosa. 11 dato è ancora più clamoroso fra i giovani tra i i8 e i 24 anni: in questa fascia il 71 per cento è senza religione, mentre lo è solo il 4o per cento degli anziani fra i 65 e i 74 anni e appena i127 per cento degli ultra 75enni. Se ormai la maggioranza dei britannici fa a meno di Dio, la Chiesa anglicana, confessione nazionale fondata da Enrico VIII, è ridotta al lumicino: solo il 15 per cento dei britannici vi si riconosce e appena il 13 per cento fra i giovanissimi.


Luigi Ippolito, Corriere dello Sera
5 settembre 2017


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società 

Il cambio d’umore
sui migranti 

È percepibile, girando per l’Italia o seguendo i dati online, un cambiamento di umore sull'emigrazione. Accanto alla schiuma razzista ignobile, che fa dei migranti perfino gli untori delle epidemie, emerge un sentimento diverso. Un sentimento che non alligna tra bulli, violenti, mestatori di professione, ma si diffonde tra lavoratori, nel ceto medio, nelle metropoli. Fa capolino da una battuta, un tweet, i commenti al post Facebook di una mamma «Facevo jogging e un tipo di colore mi ha gridato "Puttana!", non m'era mai capitato». Lo stupro di Rimini ha sconvolto tanti, pur persuasi che emigrazione e diritti restino patrimonio del tempo. Questo giornale, liberal-democratico, non ha dubbi nel credere, con generosità, a una società aperta, io stesso ho scritto su queste pagine a favore dello Ius soli. Ma sarebbe stolto non vedere come, nell'opinione pubblica europea e italiana, tra conservatori e progressisti, cresca la fatica mentale sul futuro delle nostre società.

Gianni Riotta, La Stampa
7 settembre 2017


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

La sposa tra i fiori

img headerCi sono temi che apparentemente, di punto in bianco, diventano l'argomento centrale di discussioni letterarie, suscitano l'interesse dei giornali e dei mass media, fino a creare una nuova tendenza o perfino un movimento culturale. Così è stato negli anni Ottanta con la ricerca delle proprie radici, gli studi di gender dopo la formazione del movimento femminista e l'ecologia assurta ad un argomento centrale dopo le proteste del '68. Questi risvegli dell'attenzione non sono mode passeggere o frutto di ondate populisti, arrivano invece, quando il lavoro di ricerca supera i confini dell'accademia e incontra l'interesse già esistente della gente per il proprio passato, per le culture abbandonate a causa di immigrazioni o faticosi inserimenti nei nuovi ambienti linguistici, mescolati alla nostalgia per i luoghi lontani. Proprio l'incontro tra i due poli, quello teorico e quello quotidiano e spontaneo, garantisce la conservazione di bellissime tradizioni orali, come il lavoro di Joel Engel, l'etnologo e musicista che ha raccolto e registrato le melodie dei gruppi klezmer negli sperduti shtetl della Russia zarista, oppure quello degli studiosi dotati della sensibilità di coniugare la musica israeliana di stile arabo con antiche tradizioni sefardite, considerate per troppi anni espressione folcloristica degli ebrei di origine orientale. Shir Shishi ha già citato il lavoro poetico di Ronny Someck, Erez Biton e il giovane Shlomi Hatuka, accumunati dall'identità israeliana sefaradita ma molto diversi tra loro dal punto di vista poetico e ideologico.
Non si tratta di elogiare il movimento Mizrahi in sé, ma sottolineare la consapevolezza sociologica e culturale nata con gli studi approfonditi e la raccolta di materiale sulle tradizioni musicali provenienti dalla Spagna e dai paesi in cui hanno trovato rifugio gli esuli dopo la Cacciata del 1492. A questo argomento si è dedicata Liliana Treves Alcalay esplorando le diverse espressioni popolari, soprattutto quelle delle donne, che con il loro ruolo di custodi della memoria hanno permesso di portare alla nostra conoscenza la storia articolata di un ricco repertorio sefardita. Canti di diversi generi, influenzati dalla vita, la lingua e i costumi musulmani o cristiani in cui erano inserite la comunità ebraiche prima e dopo l'editto di Granda. Proprio in occasione della Giornata della Cultura Ebraica incentrata sul tema della Diaspora ho scelto un canto nuziale dolce e sensuale, tradotto dalla Alcalay nel bel libro, Canti di corte e di judia, con romancero e cantigas ebraici cantati e suonati durante occasioni solenni (come il famoso Kuando el rey Nimrod) e feste di famiglia. A volte erano una sorta di prestito preso dalle tradizioni locali e arricchito di espressione in ebraico, di nuovi motivi e interpretazioni musicali. E sono proprio queste mescolanze culturali e le numerose esecuzioni con mille varianti dello stesso canto che rendono l'espressione considerata per anni minore, degna dell'onorevole titolo Musica Popolare.

Sotto il limone, la sposa. 
Sotto il limone, la sposa 
e i suoi piedi nell'acqua fresca
e sotto la rosa.
Sotto il limone, la sposa.
Sotto il limone, la sposa
e i suoi piedi nell'acqua gelata
e sotto la rosa.
Dove mia sposa amata? 
dove mia sposa amata?
Io costruirò con voi la mia vita
e sotto la rosa.
Che cosa fai, sposa desiderata?
Che cosa fai, sposa desiderata?
Dedico a voi la mia vita,
e sotto la rosa.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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