Yom
kippur 5778
"Un uso corretto della parola e della tastiera
essenziale per dare un futuro alle Comunità"
Il rabbino
capo di Roma rav Riccardo Di Segni ha pronunciato nell'ora di Nei'là di
questo Kippur 5778, nel Tempio maggiore della Capitale, le seguenti
parole:
כְּמַעֲשֵׂ֧ה
אֶֽרֶץ־מִצְרַ֛יִם אֲשֶׁ֥ר יְשַׁבְתֶּם־בָּ֖הּ לֹ֣א תַעֲשׂ֑וּ
וּכְמַעֲשֵׂ֣ה אֶֽרֶץ־כְּנַ֡עַן אֲשֶׁ֣ר אֲנִי֩ מֵבִ֨יא אֶתְכֶ֥ם
שָׁ֙מָּה֙ לֹ֣א תַעֲשׂ֔וּ וּבְחֻקֹּתֵיהֶ֖ם לֹ֥א תֵלֵֽכוּ: ויקרא יח ג
“Non fate come fanno nella terra d’Egitto, dove risiedevate, e non fate
come fanno nella terra di Canaan dove vi conduco, e non seguite le loro
leggi” Waiqrà 18:3
Queste parole, rivolte al popolo d’Israele nel deserto, sono state da
poco lette nel Sefer Torà a Minchà. Introducono una lunga serie di
divieti che riguardano il comportamento sessuale. Molti si chiedono che
cosa c’entri questo argomento con il Kippùr. Un primo motivo sarebbe
“tecnico”: quel brano è semplicemente il seguito del brano letto questa
mattina che riguarda l’istituzione del giorno di Kippùr e la cerimonia
del Gran Sacerdote. Altri spiegano che nel momento in cui la comunità
di Israele sale al più alto livello di qedushà, come avviene in queste
ore finali del Kippùr, il richiamo a un corretto comportamento che
investe la sacralità del corpo è quanto mai opportuno. Senza entrare
nel dettaglio di questa discussione e di queste regole, è opportuna una
riflessione sul senso generale di quella frase di apertura che ho
citato. Cos’è che facevano in Egitto e in Canaan, di tanto pericoloso,
quali sono le loro leggi da non seguire? La frase è molto antica, ma
conserva tutta la sua attualità. E offre lo spunto per una riflessione
adatta a questo momento, da cui deriva un messaggio chiaro e semplice.
Egitto e Canaan, per quello che rappresentano, esistono ancora, molto
evoluti ma sempre contrapposti a noi. Il nostro popolo, da quando
esiste, è portatore di un modello di vita, di una fede, di una cultura,
di idee e di ideali che molto spesso sono in contrasto con quelli delle
società in cui vive. La stessa parola ‘ivrì, “ebreo”, da ‘ever
“aldilà”, “oltre”, indica che essere ebreo significa stare “dall’altra
parte”. Stare dall’altra parte non significa vivere in cielo e isolarsi
dal mondo e dalla società, ma portare in questa terra idee e
comportamenti differenti. Significa, ad esempio, chiedere giustizia e
praticare solidarietà sociale, rispettare la dignità del prossimo,
comportarsi onestamente, dedicare la vita a migliorare se stessi e il
mondo, consacrare il tempo, testimoniare l’idea del D. unico presente
nella storia, costruire il futuro cominciando da una solida famiglia,
realizzare queste idee nella fedeltà agli insegnamenti che vengono
trasmessi dalla tradizione, dedicare tempo a studiarli. I modelli
differenti sono quelli che esaltano o giustificano l’egoismo,
l’ingiustizia, la furbizia, la prepotenza, quelli che inducono a
esaurire il tempo in un ciclo continuo ed esclusivo di profitto e
consumo, quelli che dicono che la fedeltà sia roba sorpassata e
disturbante l’equilibrio della persona; sono i sistemi sociali che
fanno di tutto per far perdere dignità alle persone, anche nella più
democratica nazione occidentale. Messe così le contrapposizioni
sembrerebbe persino facile scegliere da che parte stare. Ma non è così,
perché l’altro modello si presenta con un apparato pervasivo esplicito
o subliminale costruito apposta per dimostrare che è quello giusto, e
che è la tua fedeltà a essere fuori posto. I modelli da imitare che
vengono proposti dai media come quelli televisivi, e oggi moltiplicati
dalla comunicazione digitale dei social, sono molto spesso modelli
trasgressivi, dal punto di vista ebraico; positivo è il furbo, positivo
è il prepotente, positivo è il narcisista che si chiude nella esclusiva
considerazione ed esaltazione di sé stesso; ancora positivo o positiva
è l’adultero/a o chi se la spassa da single, e assolutamente positivo
quel tipo particolare di consumismo che è il consumismo affettivo. Dopo
aver visto un qualsiasi film o un messaggio che arriva da internet, che
diverte, coinvolge o induce all’imitazione sono pochi a chiedersi: ma
questo che idea vuole trasmettere, cosa succederà se si seguirà
quell’esempio e quella proposta … o se dovessero seguirla i nostri
figli. I media fotografano la nuova realtà, ma spesso la selezionano e
la indirizzano per convincerci a seguirla.
Se noi guardiamo alle fonti e alla storia, a cominciare da quel brano
della Torà citato all’inizio, vediamo che si tratta di un problema
antico: i modelli antagonisti e le trasgressioni ci sono sempre state.
In questa giornata le abbiamo elencate e ripetute tante volte in ordine
alfabetico e al plurale. Sono una costante della nostra storia, sia in
terra d’Israele che nella Diaspora; una continua esposizione
all’incontro e allo scontro con altre realtà che sembrano sempre più
belle, seducenti e appaganti delle nostre. E chi non le rincorre è un
retrogrado arretrato. La novità dei nostri giorni è che il
bombardamento è più intenso, moltiplicato dai mezzi tecnici e
complicato dalla rapidità con cui evolvono tumultuosamente i modelli,
facendo passare per buone e ammissibili cose che fino a ieri erano
ancora protette da qualche pur debole “paletto”.
Quali sono le conseguenze di tutto questo? La nostra forza e la nostra
continuità si basa sul rispetto di valori essenziali. Si dovrebbe
basare su impegni di fedeltà, che invece sono sempre più deboli, su
investimenti duraturi, come fare figli ed educarli, ma se ne fanno
sempre di meno e non sono protetti da sistemi adeguati di controllo e
di educazione. Si dovrebbe basare sul controllo delle pulsioni,
sull’educazione all’umiltà e alla convivenza, al buon uso della parola
e, oggi, della tastiera digitale. Molto spesso quello che succede,
prima di tutto dentro le nostre strutture sociali comunitarie, va in
direzione opposta.
Questo è il momento in cui, se non è stato fatto fino ad ora, ci si
dovrebbe fermare un attimo a pensare con spirito critico a tutto ciò
che ci circonda e ci affascina, a quello che abbiamo fatto sotto la
pressione esterna e a quello di positivo che invece si dovrebbe e si
potrebbe fare. Cominciare a capire dove potremmo aver sbagliato con
l’impegno a non ricaderci più. La forza del Kippùr sta nel credere che
ognuno sia in grado di rovesciare in bene le sue prospettive di vita e
il mondo che lo circonda.
Il messaggio che viene dalle nostre fonti è pieno di ottimismo sulle
nostre capacità di migliorarci e migliorare. Sapendole sfruttare,
verremo ricordati, iscritti e ora sigillati “nel libro della vita,
della benedizione e della pace, del buon sostentamento, della salvezza
e della consolazione, noi e tutto il popolo d’Israele.”
חתימה טובה, תזכו לשנים רבות
Riccardo Di Segni, rabbino
capo di Roma
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