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26 ottobre 2017 - 6 Cheshvan 5778
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CULTURA EBRAICA

I salvati e i sommersi

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Occorre saper mostrare gratitudine verso chi ci ha aiutati. È questo un aspetto dell’etica biblica non adeguatamente messo in luce. Si predica sui meriti di chi aiuta, ma poco o nulla sui doveri incombenti su chi è aiutato. Questi deve dire grazie. Secondo un’esegesi creativa del pensiero rabbinico in questo sarebbe consistito il cosiddetto Peccato Originale, di cui si legge proprio in queste settimane nei primissimi capitoli della Torah. Quando l’Eterno rimproverò Adamo di aver mangiato il frutto proibito, il Primo Uomo rispose: “È stata la donna che hai posto al mio fianco a darmelo dall’albero, sì che l’ho mangiato” (Bereshit 3,12). Rashì commenta: Adamo è stato un ingrato. Invece di ringraziare D. del dono della donna, lo ha accusato di essere la causa del suo male. Esistono moduli diversi per ringraziare il S.B. di averci garantito la salvezza. A livello individuale vi è la Birkat ha-Gomel che recitiamo per scampato pericolo. Sul piano collettivo il pensiero grato si esprime nel canto del Hallel. Lo recitiamo a Pesach e a Chanukkah, le grandi feste di liberazione, mentre a Purim la lettura della Meghillat Ester prende il suo posto.

Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, ottobre 2017

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la rassegna mensile d'israel

Una copertina con lo sguardo al futuro

img headerQuesto volume de «La Rassegna Mensile di Israel» ha sulla copertina la bella foto del matrimonio di Augusto Segre ed Iris Steinmann, celebrato ad Asti nel 1949. Belli, giovani ed eleganti, i due sposi sono ripresi con una leggera inclinazione dal basso verso l’alto, e guardano sorridendo lo spettatore come da un palcoscenico. Proprio in un momento particolarmente complesso e drammatico per l’Europa e per il mondo, abbiamo scelto un’immagine che vogliamo anche simbolica della continuità della vita ebraica nel nostro paese.
Interamente all’ebraismo italiano è dedicata la prima parte di questo volume, aperto da una nuova testimonianza, risalente alla Venezia del 1519, sull’origine e diffusione della parola “ghetto”, presentata da Angelo M. Piattelli. Segue un lavoro sull’apostata Giulio Morosini, la cui micidiale opera di diffamazione (che trovò però un’inaspettata barriera nell’insegnamento del futuro papa Clemente XIV) è analizzata da Alessandra Levi; la figura del rabbino veronese Leone Leoni, vissuto durante la Seconda guerra mondiale, è ricostruita con pietas da Laura Graziani Secchieri.
Di storia ebraica italiana tratta anche lo studio di Claudia Di Cave, che ricrea l’etimologia del termine giudaico-romanesco “peromante”. Così come il peromante, nell’etimologia tradizionale, è colui che “va per Roma”, Di Cave ci accompagna in un viaggio fra tradizioni, folclore, reperti culturali. Parla ancora di Roma il testo di Vega Guerrieri, all’epoca della Seconda guerra mondiale e dei suoi terribili contraccolpi sulla vita quotidiana degli ebrei romani (e anche dei loro familiari non ebrei).

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MACHSHEVET ISRAEL

Conoscere o credere? Il dilemma in Maimonide

img headerIl Rambam, Moshè ben Maimon, il maggior filosofo ebreo dell’età di mezzo, all’inizio del suo Mishnè Torah, trattato Hilkhot Jesodè Torah, ossia le Norme sui fondamenti della Torah (scritte in ebraico), afferma che la prima mitzvah positiva è “conoscere che c’è un Dio”, e spiega: “Il fondamento dei fondamenti e il pilastro di ogni sapienza sta nel conoscere che esiste un Essere Primo, il quale conferisce l’esistenza a tutto ciò che esiste...” (I,1). Più avanti (I,7) egli fa derivare questo fondamentale precetto del “conoscere” dallo stesso Shemah Israel. D’altra parte, lo stesso Rambam elenca come primo precetto, nel Sefer ha-mitzvot, il Libro dei precetti (scritto in arabo), “il comando che abbiamo ricevuto di credere nella Divinità, credere cioè che esiste una causa o un movente, che è il Creatore di tutto ciò che esiste”. Le due versioni di questo (primo) precetto sarebbero quasi identiche se non fosse che la prima dice “conoscere” e la seconda “credere”. Che differenza c’è? È più importante conoscere o credere? Quanto pesa la fede nella vita ebraica? Forse che l’una non esclude l’altra, dato che chi conosce non ha bisogno di credere? Si può essere ebrei ‘osservanti’ senza aver ‘fede’, ossia senza dover credere a tutti i contenuti ricevuti dalla tradizione?

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI

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Società  

“Io tifoso sconcertato”
   

C’è una sola cosa seria nella mia vita: il ricordo della Shoah, una spina che mi affligge sin da quand'ero ragazzo che di norma non amo ostentare. Del resto, la sola passione ludica capace di colmarmi fino in fondo il cuore è il tifo per la Lazio. L'idea che da anni queste cose così diverse, così inconciliabili, così spaventosamente distanti l'una dall'altra finiscano così spesso per incontrarsi, confondersi, provocandomi imbarazzi e crisi di coscienza la dice lunga sull'insensatezza della vita. Chi mi conosce sa che non amo intervenire in questioni di attualità, anche perché non credo di poter fornire alcun contributo interessante. Se stavolta lo faccio è solo per dare sfogo al mio stupore, di più: al costernato, insanabile sconcerto di fronte a tutto quello che sta avvenendo intorno alla Shoah e intorno alla Lazio (non è assurdo scriverli nella stessa pagina?). È come se il grottesco reclamasse il grottesco, neanche fosse un film di Buñuel.






Alessandro Piperno, Corriere della Sera,
26 ottobre 2017


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orizzonti 

Contro l'antisemitismo
è l'ora dell’intransigenza   

Ora, però, questa orribile storia dell'immagine di Anna Frank sfregiata da un gruppo di cialtroni nella curva laziale non può e non deve diventare la fiera del bel gesto dettato dall'indignazione a comando. Dicono, animati dalle migliori intenzioni certamente: facciamoli sentire isolati, gridiamo con le nostre magliette, coni nostri simboli, con i nostri discorsi, con le nostre scritte, con le nostre corone di fiori, che l'antisemitismo di questi idioti non ha spazio negli stadi e nella società civile. Ma il cattive gusto è in agguato ed è meglio dire, più prosaicamente e tuttavia più efficacemente: da oggi non la farete più franca, con voi la parola passa alla repressione intransigente senza troppi distinguo e giustificazionismi, vi abbiamo individuato, non metterete mai più piede in uno stadio, Daspo eterno, e galera se vengono riconosciuti i reati, e pugno di ferro, squalifiche spietate con le società di calcio come è avvenuto in Inghilterra stroncando gli hooligans, così imparano a non vigilare sui violenti, sui razzisti, su quelli che si portano la svastica appresso e inneggiano ai nazi e dicono schifezze su Anna Frank perché sanno che resteranno impuniti.

Pierluigi Battista, Corriere della Sera,
25 ottobre 2017


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