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29 Dicembre 2017 - 11 Tevet 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Le famiglie sono luoghi di sostegno, affetto, confronti, affronti, amore, tensione e tanto altro. In questa parashá settimanale di Vaichi, intorno al letto di Yaakov morente, si riunisce l’intera sua famiglia, tutti i suoi dodici figli. Non è una famiglia facile quella di Yaakov, hanno vissute prove terribili, sono stati tutti carnefici e vittime, ma tutti membri di una famiglia, di un forte luogo affettivo. Dalla prossima settimana con il libro dell’Esodo non si parlerà più di famiglia di Israele, ma di popolo di Israele e la famiglia sembra scomparire. In realtà dovremmo essere un popolo che è di fatto una famiglia, un popolo dalle relazioni familiari e questa potrebbe essere la strada per superare relazioni comunitarie e nazionali tese e frustranti: basta posizionarsi tra famiglia e popolo, tra il libro della Genesi e quello dell’Esodo.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
direttore
Fondazione CDEC
La grande opera di traduzione in italiano del Talmud è un lavoro che impegna una numerosa equipe e mette in moto importanti risorse intellettuali oltre che materiali. È stato più volte messo in luce l’importante modello tecnologico realizzato con il nuovo software “traduco” elaborato dal CNR. Un modello in continua evoluzione che consente alle decine di traduttori e di redattori impegnati nell’opera di misurarsi con una sfida che a prima vista potrebbe apparire impossibile da vincere. I successi sono invece evidenti, e i progressi dell’opera possono essere facilmente seguiti consultando il sito web del progetto.
Ma non si tratta solo di una grande opera di traduzione. Per la prima volta in maniera comprensibile si presenta al pubblico italiano un testo complesso che ha fatto da fondamento all’ebraismo come noi oggi lo conosciamo. Non si tratta – come molti sanno – di un libro nel senso comune che diamo a questo termine. È un modello allo stesso tempo religioso, giuridico, letterario e filosofico che non consente di essere semplicemente “letto”, ma che va studiato seguendo un metodo articolato che comprende diversi schemi esegetici.
 
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'Bisnonno al Pantheon,
ne parlerò col Vaticano'
“D’ora in avanti Paolo Gentiloni e il governo non avranno più nulla a che vedere con la questione, le parole di Gentiloni sono un suo pensiero personale, che rispetto”. È quanto afferma Emanuele Filiberto in una intervista al Tempo a proposito delle dichiarazioni del premier che ieri, interrogato da Pagine Ebraiche nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, aveva spiegato che l’ipotesi di un trasferimento della salma del re Vittorio Emanuele III al Pantheon “non sta né in cielo, né in terra”. Afferma il bisnipote dello sciagurato sovrano: “A gennaio chiederò udienza al cardinale di Stato Vaticano. Vede, i politici hanno un periodo di durata assai limitato nel tempo. Noi Savoia abbiamo più di mille anni di storia alle spalle, e di tempo ne abbiamo. E io non ho dubbi su questo: Vittorio Emanuele III deve essere traslato al Pantheon”.

Sul Corriere ampio approfondimento dedicato alle iniziative che si stanno mettendo in campo per il 27 gennaio, Giorno della Memoria, in particolare quelle rivolte ai più giovani. Tra le altre si segnala Run for Mem, la corsa per una Memoria consapevole organizzata dall’UCEI (quest’anno l’appuntamento è per il 28 gennaio a Bologna). Spiega la Presidente dell’Unione Noemi Di Segni: “Il messaggio è che la vita continua ma sempre nella consapevolezza del passato, di quello che è stato”. Tra le iniziative che vengono poste in evidenza nell’articolo l’apposizione di nuove pietre d’inciampo a Milano (coordinamento di Liliana Segre) e Roma (coordinamento di Adachiara Zevi). Sempre il Corriere, in un diverso spazio, spiega come a gennaio le responsabilità di Vittorio Emanuele III nelle promulgazione delle Leggi Razziste saranno discusse a Roma, in un processo simbolico all’Auditorium Parco della Musica che si svolgerà il 18 gennaio. L’evento, promosso per il Giorno della Memoria dall’UCEI, è curato da Viviana Kasam e Marilena Francese.
 
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  davar
pagine ebraiche gennaio 2018 - dossier talmud
"Piotr, il Talmud è fatto così..."
Il progetto di traduzione in italiano del Talmud Babilonese, avviato nel 2011 nel segno del protocollo d’intesa siglato tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Consiglio nazionale delle ricerche, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Collegio rabbinico italiano, è la risposta di una società che guarda oggi al Talmud con interesse e riconoscenza. Come a un testo che, oltre la sua dimensione ebraica, dissemina i propri saperi in una prospettiva sempre più universale.
Per festeggiare l’uscita del secondo trattato tradotto – Berakhòt, curato dal rav Gianfranco Di Segni e pubblicato dalla casa editrice Giuntina – Pagine Ebraiche di gennaio in distribuzione propone uno speciale dossier di approfondimento.


Tra i grandi intellettuali del Novecento in cui più forte si avverte l’influenza del Talmud spicca senz’altro la figura di Primo Levi. Teresa Agovino, studiosa dell’Università L’Orientale di Napoli, ha dedicato all’argomento un breve ma prezioso saggio intitolato “Se non ora, quando? Citazioni talmudiche e bibliche nell’opera di Primo Levi”. Un approfondimento dedicato al suo primo vero romanzo, Se non ora, quando? appunto, pubblicato nel 1982, in cui si racconta la storia di un gruppo di partigiani ebrei askenaziti in viaggio nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, dalla Russia fino ad una Terra Promessa che non riusciranno a raggiungere.
I personaggi, precisa Levi in calce al romanzo, sono tutti immaginari. “Inventata – scrive – è anche la canzone dei ‘gedalisti’, ma il suo ritornello, insieme con il titolo del libro, mi è stato suggerito da alcune parole che ho trovate nel Pirké Avoth (‘Le massime dei Padri’), una raccolta di detti di rabbini famosi che fu redatta nel II secolo dopo Cristo, e che fa parte del Talmud. Vi si legge ‘Egli [il rabbino Hillel] diceva pure: Se non sono io per me, chi sarà per me? E quand’anche io pensi a me, che cosa sono io? E se non ora, quando?’. Naturalmente, l’interpretazione che di questo detto io attribuisco ai personaggi non è quella ortodossa”.
La canzone menzionata, spiega Agovino, viene suonata all’interno del romanzo dal capobanda Gedale. La sua composizione, che si conclude con le parole del rabbino Hillel, è attribuita a un partigiano della banda, rapito e condannato a morte dai nazisti, che l’avrebbe scritta prima dell’esecuzione.
Ma anche nel resto della narrazione, sottolinea la studiosa, è l’autore stesso a citare attraverso i discorsi dei personaggi la fonte talmudica o biblica.
Lo si evince anche dai versi che seguono: “Era forse l’effetto della lunga astinenza, ma a Mendel, quando osservava Line, veniva in mente Raab, la seduttrice di Gerico, e le altre ammaliatrici della leggenda talmudica. Ne aveva trovato le tracce in un vecchio libro del suo maestro rabbino: un libro vietato […]. Michàl, che affascinava chi la vedeva. Giaele, la mortifera partigiana di un tempo, che aveva trafitto le tempie del generale nemico con un chiodo, ma che seduceva tutti gli uomini col solo suono della sua voce. Abigaìl, la regina assennata, che seduceva chiunque pensasse a lei. Ma Raab era superiore a tutte, qualsiasi uomo pronunciasse soltanto il suo nome spandeva istantaneamente il suo seme”.
Raab-Line, la “seduttrice di Gerico” che si ribella alle leggi imposte dalla religione. “Line – scrive Levi – contesta la legge mosaica, che vieta di desiderare la donna altrui. Presupposto implicito del divieto è che la donna sia proprietà dell’uomo. Secondo Line invece, prima del matrimonio uomini e donne sono liberi: possono desiderarsi e fare l’amore quanto gli pare […] Per il momento Line non è sposata, e quindi non appartiene a nessuno”. Forse per questo Mendel, il protagonista del romanzo – spiega Agovino – associa la sua compagna alla meretrice biblica. Anche se ella “non appartiene a nessuno”, perché non sposata, e “dopo l’amplesso rimane inquieto, turbato, mentre Line invece si addormenta tranquilla”.
Altra figura rilevante è quella di Piotr, un cristiano ortodosso che vuole seguire il gruppo partigiano fino in Israele. Osserva al riguardo la studiosa: “Piotr è un ignaro ponte tra la religione ebraica e quella cristiana e in tal senso egli diventa un altro alter ego dell’autore stesso, che è punto di contatto ma consapevole, a differenza del suo ingenuo personaggio, tra due culture religiose”.


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italia ebraica gennaio 2018
Dalla tavola alla grande Storia
Intervenendo all’inaugurazione del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah il ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini ha tra l’altro accennato alla tradizione gastronomica ebraica ferrarese ricordando “…la cucina dello storione e del caviale secondo le ricette ebraiche tramandate di generazione in generazione”. L’inciso può destare sorpresa, alla luce del fatto che storione e caviale non sono conformi alle leggi alimentari ebraiche della casherut, pur non mancando dei distinguo avanzati da alcune parti e, infatti, generalmente, le fonti che di queste regole si occupano tendono a indicare che il caviale deve provenire da pesci permessi. Anche l’industria alimentare si è cimentata, cercando soluzioni che potessero risolvere la questione. L’accenno del ministro, probabilmente a sua insaputa, richiama però a una particolarità ferrarese nella quale mi sono imbattuto, per la prima volta, cercando di decodificare (stante la non facile grafia) alcuni appunti di mio padre, rav Bruno G. Polacco zl, che a Ferrara esercitò dal 1954 al 1960 (nell’immagine con la moglie, Nella Fortis).

Gadi Polacco
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profondo cordoglio nell'ebraismo italiano
Paola Diena (1956-2017)
Ha destato profondo cordoglio nella comunità ebraica di Torino e in tutta l’Italia ebraica la scomparsa della professoressa Paola Diena, avvenuta nella serata di giovedì nel capoluogo piemontese.
Figura molto nota nel mondo ebraico piemontese e prima ancora nella Federazione dei Giovani Ebrei d'Italia. Autrice di un importante studio sulle parlate degli ebrei del Piemonte, moglie del medico Ariel Disegni, madre di Susanna e Manuel, giornalista professionista formatosi in questa redazione, oltre che cognata del presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni e del vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni, Paola Diena aveva proseguito nonostante la malattia il proprio lavoro di insegnante fino alle ultime settimane.
Il funerale si svolgerà questa domenica, 31 dicembre, nel cimitero ebraico di Torino con partenza dall'abitazione in Corso Marconi 31 alle 10.30.
A tutti i suoi cari il nostro sincero cordoglio. Al collega Manuel Disegni, con cui abbiamo orgogliosamente condiviso un tratto del nostro percorso professionale, tutto l’affetto dei redattori del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche.
Che il ricordo di Paola sia di benedizione. Il suo insegnamento e il suo esempio restano a perenne tutela dei valori di civiltà che gli ebrei italiani si trasmettono di generazione in generazione.


pilpul
Due riflessioni su una festa altrui
Domenica scorsa (24 dicembre) tutto era aperto: supermarket, negozi, pasticcerie, tutti pieni di gente che si affrettava a comprare gli ultimi regali. Il traffico era quello di un giorno feriale, di quelli trafficati delle settimane precedenti. Natale aveva completamente cancellato la domenica. La sacralità della festa che cade una volta all’anno aveva annullato il riposo settimanale. Certo, si potrebbe (e si dovrebbe) riflettere sulla crisi economica di questi anni e sull’erosione progressiva dei diritti dei lavoratori, ma se la domenica fosse davvero sentita da tutti come sacra i negozi resterebbero comunque vuoti o semivuoti. In realtà nella psicologia comune, anche quando non c’è una reale necessità di far prevalere una festa sull’altra, l’eccezione tende a schiacciare la regola, la novità della festa attesa per mesi tende a prevalere sulla routine della festa che arriva puntualmente ogni sette giorni.
Mai come domenica scorsa ho capito quanto sia essenziale il principio per cui lo Shabbat è più importante di (quasi) ogni altra festività. Anche noi attendiamo con ansia Pesach o Rosh Ha-Shanà, anche noi ci prepariamo per mesi (soprattutto a Pesach), organizziamo cene ragionando per settimane sul menu, invitiamo e siamo invitati, arrivano parenti da lontano, incontriamo persone che non vedevamo da tanto tempo. Anche nelle nostre teste queste feste occupano forse più spazio dello Shabbat, ma non c’è niente da fare: lo Shabbat arriva comunque e quando arriva dobbiamo fermare i nostri preparativi; contro il nostro istinto che ci spingerebbe a far festa poche volte all’anno siamo costretti a far festa ogni sette giorni. Inutile dire quanto la regola sia più saggia del nostro istinto e quanto lo Shabbat ci protegga da noi stessi.


Anna Segre, insegnante
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Auguri
“Auguri per un anno di libertà, di identità, di valori radicate (?) sul territorio, quindi non più il derby tra fascisti e comunisti, ma tra coloro che sono legati alla propria comunità e gli sradicati senza identità che vivono di globalizzazione e di patatine del McDonald’s”. Con queste profonde e lineari parole Matteo Salvini, uno tra i candidati premier alle prossime elezioni (ricordiamolo), augura in un video sulla propria pagina Facebook a “tutti noi” delle buone festività natalizie. Se tante volte a qualcuno sfuggisse quale sarebbe “la nostra identità” di cui parla Salvini, sappia che – come afferma egli nello stesso video – essa è comunque “molto più vicina alla cultura russa, per idee, tradizioni, valori”.
Non so chi avesse in mente come prototipo Salvini quando parla di “sradicati senza identità”, ma soprattutto nel secolo scorso il primo pensiero sarebbe sicuramente corso verso gli ebrei o magari i gitani, proprio nella Russia tanto amata da Salvini, dopo la Seconda Guerra Mondiale era in uso nelle campagne antisemite volute da Iosif Stalin l’appellativo per i primi di “cosmopoliti senza radici”. Che strane similitudini!

Francesco Moises Bassano Leggi



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