Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Le
famiglie sono luoghi di sostegno, affetto, confronti, affronti, amore,
tensione e tanto altro. In questa parashá settimanale di Vaichi,
intorno al letto di Yaakov morente, si riunisce l’intera sua famiglia,
tutti i suoi dodici figli. Non è una famiglia facile quella di Yaakov,
hanno vissute prove terribili, sono stati tutti carnefici e vittime, ma
tutti membri di una famiglia, di un forte luogo affettivo. Dalla
prossima settimana con il libro dell’Esodo non si parlerà più di
famiglia di Israele, ma di popolo di Israele e la famiglia sembra
scomparire. In realtà dovremmo essere un popolo che è di fatto una
famiglia, un popolo dalle relazioni familiari e questa potrebbe essere
la strada per superare relazioni comunitarie e nazionali tese e
frustranti: basta posizionarsi tra famiglia e popolo, tra il libro
della Genesi e quello dell’Esodo.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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La
grande opera di traduzione in italiano del Talmud è un lavoro che
impegna una numerosa equipe e mette in moto importanti risorse
intellettuali oltre che materiali. È stato più volte messo in luce
l’importante modello tecnologico realizzato con il nuovo software
“traduco” elaborato dal CNR. Un modello in continua evoluzione che
consente alle decine di traduttori e di redattori impegnati nell’opera
di misurarsi con una sfida che a prima vista potrebbe apparire
impossibile da vincere. I successi sono invece evidenti, e i progressi
dell’opera possono essere facilmente seguiti consultando il sito web
del progetto.
Ma non si tratta solo di una grande opera di traduzione. Per la prima
volta in maniera comprensibile si presenta al pubblico italiano un
testo complesso che ha fatto da fondamento all’ebraismo come noi oggi
lo conosciamo. Non si tratta – come molti sanno – di un libro nel senso
comune che diamo a questo termine. È un modello allo stesso tempo
religioso, giuridico, letterario e filosofico che non consente di
essere semplicemente “letto”, ma che va studiato seguendo un metodo
articolato che comprende diversi schemi esegetici.
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'Bisnonno al Pantheon,
ne parlerò col Vaticano'
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“D’ora
in avanti Paolo Gentiloni e il governo non avranno più nulla a che
vedere con la questione, le parole di Gentiloni sono un suo pensiero
personale, che rispetto”. È quanto afferma Emanuele Filiberto in una
intervista al Tempo a proposito delle dichiarazioni del premier che
ieri, interrogato da Pagine Ebraiche nella tradizionale conferenza
stampa di fine anno, aveva spiegato che l’ipotesi di un trasferimento
della salma del re Vittorio Emanuele III al Pantheon “non sta né in
cielo, né in terra”. Afferma il bisnipote dello sciagurato sovrano: “A
gennaio chiederò udienza al cardinale di Stato Vaticano. Vede, i
politici hanno un periodo di durata assai limitato nel tempo. Noi
Savoia abbiamo più di mille anni di storia alle spalle, e di tempo ne
abbiamo. E io non ho dubbi su questo: Vittorio Emanuele III deve essere
traslato al Pantheon”.
Sul Corriere ampio approfondimento dedicato alle iniziative che si
stanno mettendo in campo per il 27 gennaio, Giorno della Memoria, in
particolare quelle rivolte ai più giovani. Tra le altre si segnala Run
for Mem, la corsa per una Memoria consapevole organizzata dall’UCEI
(quest’anno l’appuntamento è per il 28 gennaio a Bologna). Spiega la
Presidente dell’Unione Noemi Di Segni: “Il messaggio è che la vita
continua ma sempre nella consapevolezza del passato, di quello che è
stato”. Tra le iniziative che vengono poste in evidenza nell’articolo
l’apposizione di nuove pietre d’inciampo a Milano (coordinamento di
Liliana Segre) e Roma (coordinamento di Adachiara Zevi). Sempre il
Corriere, in un diverso spazio, spiega come a gennaio le responsabilità
di Vittorio Emanuele III nelle promulgazione delle Leggi Razziste
saranno discusse a Roma, in un processo simbolico all’Auditorium Parco
della Musica che si svolgerà il 18 gennaio. L’evento, promosso per il
Giorno della Memoria dall’UCEI, è curato da Viviana Kasam e Marilena
Francese.
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pagine ebraiche gennaio 2018 - dossier talmud "Piotr, il Talmud è fatto così..." Il
progetto di traduzione in italiano del Talmud Babilonese, avviato nel
2011 nel segno del protocollo d’intesa siglato tra Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Consiglio nazionale
delle ricerche, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Collegio
rabbinico italiano, è la risposta di una società che guarda oggi al
Talmud con interesse e riconoscenza. Come a un testo che, oltre la sua
dimensione ebraica, dissemina i propri saperi in una prospettiva sempre
più universale.
Per festeggiare l’uscita del secondo trattato tradotto – Berakhòt,
curato dal rav Gianfranco Di Segni e pubblicato dalla casa editrice
Giuntina – Pagine Ebraiche di gennaio in distribuzione propone uno
speciale dossier di approfondimento.
Tra
i grandi intellettuali del Novecento in cui più forte si avverte
l’influenza del Talmud spicca senz’altro la figura di Primo Levi.
Teresa Agovino, studiosa dell’Università L’Orientale di Napoli, ha
dedicato all’argomento un breve ma prezioso saggio intitolato “Se non
ora, quando? Citazioni talmudiche e bibliche nell’opera di Primo Levi”.
Un approfondimento dedicato al suo primo vero romanzo, Se non ora,
quando? appunto, pubblicato nel 1982, in cui si racconta la storia di
un gruppo di partigiani ebrei askenaziti in viaggio nel pieno della
Seconda Guerra Mondiale, dalla Russia fino ad una Terra Promessa che
non riusciranno a raggiungere.
I personaggi, precisa Levi in calce al romanzo, sono tutti immaginari.
“Inventata – scrive – è anche la canzone dei ‘gedalisti’, ma il suo
ritornello, insieme con il titolo del libro, mi è stato suggerito da
alcune parole che ho trovate nel Pirké Avoth (‘Le massime dei Padri’),
una raccolta di detti di rabbini famosi che fu redatta nel II secolo
dopo Cristo, e che fa parte del Talmud. Vi si legge ‘Egli [il rabbino
Hillel] diceva pure: Se non sono io per me, chi sarà per me? E
quand’anche io pensi a me, che cosa sono io? E se non ora, quando?’.
Naturalmente, l’interpretazione che di questo detto io attribuisco ai
personaggi non è quella ortodossa”.
La canzone menzionata, spiega Agovino, viene suonata all’interno del
romanzo dal capobanda Gedale. La sua composizione, che si conclude con
le parole del rabbino Hillel, è attribuita a un partigiano della banda,
rapito e condannato a morte dai nazisti, che l’avrebbe scritta prima
dell’esecuzione.
Ma anche nel resto della narrazione, sottolinea la studiosa, è l’autore
stesso a citare attraverso i discorsi dei personaggi la fonte talmudica
o biblica.
Lo si evince anche dai versi che seguono: “Era forse l’effetto della
lunga astinenza, ma a Mendel, quando osservava Line, veniva in mente
Raab, la seduttrice di Gerico, e le altre ammaliatrici della leggenda
talmudica. Ne aveva trovato le tracce in un vecchio libro del suo
maestro rabbino: un libro vietato […]. Michàl, che affascinava chi la
vedeva. Giaele, la mortifera partigiana di un tempo, che aveva trafitto
le tempie del generale nemico con un chiodo, ma che seduceva tutti gli
uomini col solo suono della sua voce. Abigaìl, la regina assennata, che
seduceva chiunque pensasse a lei. Ma Raab era superiore a tutte,
qualsiasi uomo pronunciasse soltanto il suo nome spandeva
istantaneamente il suo seme”.
Raab-Line, la “seduttrice di Gerico” che si ribella alle leggi imposte
dalla religione. “Line – scrive Levi – contesta la legge mosaica, che
vieta di desiderare la donna altrui. Presupposto implicito del divieto
è che la donna sia proprietà dell’uomo. Secondo Line invece, prima del
matrimonio uomini e donne sono liberi: possono desiderarsi e fare
l’amore quanto gli pare […] Per il momento Line non è sposata, e quindi
non appartiene a nessuno”. Forse per questo Mendel, il protagonista del
romanzo – spiega Agovino – associa la sua compagna alla meretrice
biblica. Anche se ella “non appartiene a nessuno”, perché non sposata,
e “dopo l’amplesso rimane inquieto, turbato, mentre Line invece si
addormenta tranquilla”.
Altra figura rilevante è quella di Piotr, un cristiano ortodosso che
vuole seguire il gruppo partigiano fino in Israele. Osserva al riguardo
la studiosa: “Piotr è un ignaro ponte tra la religione ebraica e quella
cristiana e in tal senso egli diventa un altro alter ego dell’autore
stesso, che è punto di contatto ma consapevole, a differenza del suo
ingenuo personaggio, tra due culture religiose”.
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italia ebraica gennaio 2018 Dalla tavola alla grande Storia
Intervenendo
all’inaugurazione del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della
Shoah il ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario
Franceschini ha tra l’altro accennato alla tradizione gastronomica
ebraica ferrarese ricordando “…la cucina dello storione e del caviale
secondo le ricette ebraiche tramandate di generazione in generazione”.
L’inciso può destare sorpresa, alla luce del fatto che storione e
caviale non sono conformi alle leggi alimentari ebraiche della
casherut, pur non mancando dei distinguo avanzati da alcune parti e,
infatti, generalmente, le fonti che di queste regole si occupano
tendono a indicare che il caviale deve provenire da pesci permessi.
Anche l’industria alimentare si è cimentata, cercando soluzioni che
potessero risolvere la questione. L’accenno del ministro, probabilmente
a sua insaputa, richiama però a una particolarità ferrarese nella quale
mi sono imbattuto, per la prima volta, cercando di decodificare (stante
la non facile grafia) alcuni appunti di mio padre, rav Bruno G. Polacco
zl, che a Ferrara esercitò dal 1954 al 1960 (nell’immagine con la
moglie, Nella Fortis).
Gadi Polacco Leggi
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profondo cordoglio nell'ebraismo italiano
Paola Diena (1956-2017)
Ha destato profondo cordoglio nella comunità ebraica di Torino e in
tutta l’Italia ebraica la scomparsa della professoressa Paola Diena,
avvenuta nella serata di giovedì nel capoluogo piemontese.
Figura molto nota nel mondo ebraico piemontese e prima ancora nella
Federazione dei Giovani Ebrei d'Italia. Autrice di un importante studio
sulle parlate degli ebrei del Piemonte, moglie del medico Ariel
Disegni, madre di Susanna e Manuel, giornalista professionista
formatosi in questa redazione, oltre che cognata del presidente della
Comunità ebraica di Torino Dario Disegni e del vicepresidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni, Paola
Diena aveva proseguito nonostante la malattia il proprio lavoro di
insegnante fino alle ultime settimane.
Il funerale si svolgerà questa domenica, 31 dicembre, nel cimitero
ebraico di Torino con partenza dall'abitazione in Corso Marconi 31 alle
10.30.
A tutti i suoi cari il nostro sincero cordoglio. Al collega Manuel
Disegni, con cui abbiamo orgogliosamente condiviso un tratto del nostro
percorso professionale, tutto l’affetto dei redattori del giornale
dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche.
Che il ricordo di Paola sia di benedizione. Il suo insegnamento e il
suo esempio restano a perenne tutela dei valori di civiltà che gli
ebrei italiani si trasmettono di generazione in generazione.
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Due riflessioni su una festa altrui
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Domenica
scorsa (24 dicembre) tutto era aperto: supermarket, negozi,
pasticcerie, tutti pieni di gente che si affrettava a comprare gli
ultimi regali. Il traffico era quello di un giorno feriale, di quelli
trafficati delle settimane precedenti. Natale aveva completamente
cancellato la domenica. La sacralità della festa che cade una volta
all’anno aveva annullato il riposo settimanale. Certo, si potrebbe (e
si dovrebbe) riflettere sulla crisi economica di questi anni e
sull’erosione progressiva dei diritti dei lavoratori, ma se la domenica
fosse davvero sentita da tutti come sacra i negozi resterebbero
comunque vuoti o semivuoti. In realtà nella psicologia comune, anche
quando non c’è una reale necessità di far prevalere una festa
sull’altra, l’eccezione tende a schiacciare la regola, la novità della
festa attesa per mesi tende a prevalere sulla routine della festa che
arriva puntualmente ogni sette giorni.
Mai come domenica scorsa ho capito quanto sia essenziale il principio
per cui lo Shabbat è più importante di (quasi) ogni altra festività.
Anche noi attendiamo con ansia Pesach o Rosh Ha-Shanà, anche noi ci
prepariamo per mesi (soprattutto a Pesach), organizziamo cene
ragionando per settimane sul menu, invitiamo e siamo invitati, arrivano
parenti da lontano, incontriamo persone che non vedevamo da tanto
tempo. Anche nelle nostre teste queste feste occupano forse più spazio
dello Shabbat, ma non c’è niente da fare: lo Shabbat arriva comunque e
quando arriva dobbiamo fermare i nostri preparativi; contro il nostro
istinto che ci spingerebbe a far festa poche volte all’anno siamo
costretti a far festa ogni sette giorni. Inutile dire quanto la regola
sia più saggia del nostro istinto e quanto lo Shabbat ci protegga da
noi stessi.
Anna Segre, insegnante
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Auguri
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“Auguri
per un anno di libertà, di identità, di valori radicate (?) sul
territorio, quindi non più il derby tra fascisti e comunisti, ma tra
coloro che sono legati alla propria comunità e gli sradicati senza
identità che vivono di globalizzazione e di patatine del McDonald’s”.
Con queste profonde e lineari parole Matteo Salvini, uno tra i
candidati premier alle prossime elezioni (ricordiamolo), augura in un
video sulla propria pagina Facebook a “tutti noi” delle buone festività
natalizie. Se tante volte a qualcuno sfuggisse quale sarebbe “la nostra
identità” di cui parla Salvini, sappia che – come afferma egli nello
stesso video – essa è comunque “molto più vicina alla cultura russa,
per idee, tradizioni, valori”.
Non so chi avesse in mente come prototipo Salvini quando parla di
“sradicati senza identità”, ma soprattutto nel secolo scorso il primo
pensiero sarebbe sicuramente corso verso gli ebrei o magari i gitani,
proprio nella Russia tanto amata da Salvini, dopo la Seconda Guerra
Mondiale era in uso nelle campagne antisemite volute da Iosif Stalin
l’appellativo per i primi di “cosmopoliti senza radici”. Che strane
similitudini!
Francesco Moises Bassano Leggi
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