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6 febbraio 2018 -  21 shevat 5778
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ARCHITETTURA

Bruno Zevi, tra architettura e identità 

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img headerBruno Zevi / EBRAISMO E ARCHITETTURA / Giuntina

Protagonista di animate battaglie civili, politiche, culturali e urbanistiche, Zevi ha scritto di ebraismo in moto del tutto sporadico sino al 1993, data della prima pubblicazione di Ebraismo e architettura. Si tratta, come scrive Manuel Orazi nell'appassionata introduzione intitolata "I love Bruno", di un volume in cui "l’autore fa finalmente i conti con il suo ebraismo, che certo non era sostenuto da un sentimento religioso. Il volume però non si limita alla questione esistenziale, al raccordo fra il suo multiforme lavoro di architetto con il sostrato ebraico delle sue origini, dei suoi affetti, delle sue speranze. È connesso alle sue plurime battaglie civili, combattute sempre in prima persona". Sono plurime le ipotesi sul perché Zevi abbia tanto rimandato: poteva non sentirsi all'altezza, seguendo l'idea di Wittgenstein secondo cui "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere", o forse perché viveva con qualche difficoltà il suo essere nella Diaspora. Poteva altresì esserci una qualche aderenza al dettato crociano secondo il quale gli ebrei sopravvissuti avrebbero dovuto "fondersi sempre meglio con gli altri italiani procurando di cancellare quella divisione - continua in un preveggente scritto del 1945 - nella quale hanno persistito nei secoli e che come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire". Protagonista di molteplici scelte eterodosse, partendo spesso da posizioni minoritarie, Zevi ha animato nel corso della sua vita movimentata, "scuole di pensiero, conventicole, consorterie che sempre deviassero dalla strada maestra". Fu così dai tempi del liceo, per proseguire con architettura, dove si trovò a convergere con Lionello Venturi, uno dei pochi professori che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo e fu maestro di Giulio Carlo Argan, che sarebbe poi stato legato a Zevi per tutta la vita. Alla scelta sionista della sua famiglia, emigrata prima della guerra, Zevi rispose andando prima a Londra e poi negli Stati uniti, dove si unì ai circoli degli esuli antifascisti.

Ada Treves, Pagine Ebraiche, febbraio 2018

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memoriA

Primo Levi, un album di volti

img headerRoberta Mori e Domenica Scarpa (a cura di) / ALBUM PRIMO LEVI / Einaudi

Un ampio e originale ritratto di una tra le figure più importanti della letteratura e della cultura del Novecento.
Giulio Einaudi editore ha voluto celebrare Primo Levi con un volume di grande formato, composto di testi e immagini, a trent'anni dalla sua scomparsa (il volume è uscito sul finire del 2017) e a quasi un secolo dalla nascita (il centenario cadrà il 31 luglio del 2019).
Un vero e proprio omaggio allo scrittore sopravvissuto alla Shoah che, usando una espressione del presidente della Giulio Einaudi Walter Barberis, fu “il migliore inviato speciale che l'umanità potesse mandare in quell'inferno”.
Né biografia né saggio monografico, il libro, la cui pubblicazione è stata sostenuta da Intesa San Paolo, si configura come una sorta di "film documentario" steso su carta, data la rilevanza che vi assume il materiale iconografico, oltre quattrocento immagini in gran parte inedite, incluso un graphic novel dell'artista Yosuke Taki, ispirato al racconto “Carbonio”.
Il volume non è focalizzato solo sulla drammatica esperienza ad Auschwitz: come hanno spiegato i curatori Roberta Mori e Domenico Scarpa, si tratta di “un prototipo editoriale” in cui i testi dell'autore accompagnano e commentano le immagini, in gran parte messe a disposizione dalla famiglia Levi, suddivise in cinque sezioni tematiche.

Marco Di Porto

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NEUROBIOLOGIa

Ricordiamoci
di fare bene  

storia

Il nazismo che è in noi

Robert M. Sapolsky / BEHAVE / The Bodley Head Penguin

Perché facciamo ciò che facciamo? Che cosa determina il nostro comportamento? È il tema del vastissimo studio di neurobiologia e neuropsicologia dello scienziato, neurologo e primatologo dell'Università di Stanford Robert Sapolsky. La domanda in termini più concreti: perché l'umanità è capace di fare il male fino a crudeltà orribili, ed è capace di bontà, gentilezza, generosità, empatia, altruismo, senza le quali si sarebbe autodistrutta? Perché a voltegli uomini sono ragionevoli ed altre volte malvagi? Perché la ragione spesso rinforza la tendenza spontanea al male con idee assurde, con strategie e tecnologie a dispetto della legge morale che è in noi? Gli ebrei furono decimati dai nazisti, fra l'indifferenza della popolazione, perché di razza inferiore e pericolosa e con la tecnologia delle camere a gas. Un'idea idiota e criminale ampiamente condivisa e una tecnologia perversa.

Arnaldo Benini,
Il Sole 24 Ore Domenica,
4 febbraio 2018


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Stig Dagerman / AUTUNNO TEDESCO / Ipeborea

Un giornalista appena 23enne e già irrimediabilmente anarchico viene spedito a indagare sul trauma che sconvolge l'Europa: come fecero i tedeschi a lasciarsi affascinare dal male di Hitler? È il 1946: ma la sua risposta ci riguarda ancora Non è l'idea più solida che possa venire in mente a una rivista inviare uno scrittore anarchico e appena ventitreenne a comporre dispacci da un paese distrutto dalla guerra. E lo svedese Stig Dagerman, che visitò la Germania occupata dagli alleati nel 1946 per il periodico Expressen, venne criticato da ogni parte. Un giornale comunista scrisse: "A partire dal punto di vista anarchico si arriva sempre a conclusioni errate". Dagerman "scusa tutto ai tedeschi in quanto non hanno cibo a sufficienza". Nel libro infatti si legge: "L'errore è considerare i tedeschi come un blocco compatto che irradia gelo nazista, e non come una moltitudine di individui che soffrono la fame e il freddo".

Francesco Pacifico, Repubblica Robinson,
4 febbraio 2018


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