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 15 febbraio 2018 -  30 shevat 5778
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società

Un'eredità difficile

img header"Giusto Tu sei H. e retta è la Tua Giustizia". Ogni volta che accompagniamo un defunto all'estrema dimora ripetiamo queste parole. La morte, si sa, è momento di din ("giudizio") per eccellenza. Ma non solo per l'anima di chi non c'è più. Nella nostra Tradizione due sono gli attributi della Divinità. Il chessed ("bontà, misericordia") connesso strettamente con la nozione di "dare". E il din, appunto. Questo è legato al concetto di "ricevere". Nel senso che quando ci si aspetta di ricevere qualcosa, si viene giudicati se si è meritevoli di riceverlo. Il trapasso è dunque momento di din anche per gli eredi. Se questo vale per la prospettiva di un'eredità materiale, tanto più nel caso di un'eredità intellettuale e spirituale. La figura di rav Giuseppe Laras, recentemente scomparso, ci ha lasciato un'eredità morale di enorme portata. Legata non solo alla sua versatilità e alla molteplicità dei suoi interessi (rabbino, filosofo, scrittore, come è stato giustamente ricordato), ma anche per la straordinaria varietà dei ruoli che ha ricoperto: rabbino capo di tre Comunità, presidente dell'Assemblea rabbinica, presidente di un Tribunale Rabbinico, docente universitario. Un'eredità che non sarà facile raccogliere e gestire. Ben inteso, non mi riferisco in questo momento alla sua successione nelle cariche formali, ma al suo messaggio complessivo e complesso a un tempo. Nella Menorah, il candelabro a sette braccia del Bet ha-Miqdash, un lume era perpetuo (Ner Tamid), nel senso che mentre gli altri sei erano accesi dalla sera alla mattina soltanto, questo ardeva sempre. È nota la controversia sulla sua identificazione. Secondo una scuola era il lume posto a una delle due estremità; secondo l'altra scuola era invece il lume centrale, verso cui tutti gli altri erano rivolti. Nella sua prefazione alla versione italiana degli Shemonah Peraqim ("Otto capitoli"), la dottrina etica di Maimonide che rav Laras pubblicò negli anni Settanta, egli ricorda come nella storia del pensiero ebraico convivano due dottrine differenti sulla qedushah, la virtù ideale nel comportamento. Una prima dottrina, che ha la sua base nei libri biblici di Iyov (Giobbe) e Qohelet predilige un impegno "estremo", ai limiti dell'ascesi. Pensatori come R. Yonah da Gerona nel Medioevo e R. Moshe Chayim Luzzatto (Ramchal) in epoca più prossima a noi hanno condiviso questa veduta. L'altra trova la sua espressione biblica nel libro dei Mishlè (Proverbi) ed è rappresentata proprio da Maimonide: essa stabilisce che la massima virtù consiste nel perseguire il giusto mezzo tenendosi lontani dagli estremi. È il lume centrale cui ci si appella come guida. Rav Laras ha incarnato quest'ultima visione non solo nei suoi interessi accademici, ma anche nella sua attività rabbinica in un'epoca in cui sembrava prevalere decisamente la prima.

Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, febbraio 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

Se l’antisemitismo sopravvive alla sapienza

img headerL’ignoranza, viene detto, è una tra le cause dell’antisemitismo e, viceversa, una maggiore conoscenza critica tanto di aspetti storici quanto di aspetti culturali, porta al diminuire dell’antisemitismo, nelle sue diverse vesti. Sarà più difficile ritenere il popolo ebraico quale “deicida” se si riconoscerà, banalmente, l’origine tutta ebraica di quella particolare setta che fu dei nazareni; sarà impossibile credere all’esistenza di qualcosa come una “razza ebraica” – o persino una “razza semitica” – non appena si abbia non solo la consapevolezza dell’inesistenza di qualcosa come le diverse razze umane (su questo mi limito a ripetere quanto la divulgazione scientifica spiega), ma anche che il popolo ebraico non si definisce, dal punto di vista ideale – cioè dei termini con cui la Tradizione pensa Israel – in base alla nozione di ‘geza’ [razza] e la stessa norma della matrilinearità –per cui è ebreo chi è di madre ebrea e così a ritroso – non è protesa a preservare una presunta purezza razziale (come del resto è evidente dall’osservare, specularmente alla norma, che la non ebraicità del padre non ha alcun effetto sul nascituro), bensì a garantire una continuità nell’appartenenza a un popolo, a una Tradizione– tutti elementi di cui si entra a pieno titolo in possesso mediante un ghiur, cosa evidentemente impossibile se di “razza” si parlasse. La conoscenza, poi, di aspetti storico-sociali, permetterà, invece, di superare il pregiudizio negativo dell’ebreo-usuraio, ma anche quelli cosiddetti positivi dell’ebreo, quale ricco (ossia: avido) e intelligente (ossia: furbo) en soi.

Cosimo Nicolini Coen

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società  

«Quei 418 messaggi
che non ho letto»    

In meno di tre giorni si sono accumulati nel mio cellulare (uno di prima generazione) 418 messaggi. Anzi, messaggini, secondo il lessico lezioso e vezzoso che adorna di fiori di carta le gabbie d’acciaio della tecnologia. Telefonini, messaggini, ditini che battono tastini. Non so cosa dicano, quei 418 appelli in una bottiglia, perché non sono capace di leggerli e dunque di rispondervi. Non è una stolida posa antitecnologica, sempre falsa e patetica, non solo perché si disconosce con supponenza l’aiuto che la tecnologia reca alla vita — basta pensare alla medicina e alla chirurgia — ma anche perché si crede che la tecnologia sia solo quella recente, quella che è piombata nella nostra vita già adulta, e si identifica la cosiddetta natura con la tecnica che c’era già quando si è venuti al mondo.

Claudio Magris, Corriere della Sera,
11 febbraio 2018


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società 

La Costituzione è l’argine contro i razzisti  

Attilio Fontana, candidato governatore della Lombardia per conto della Lega, a proposito delle immigrazioni ha detto che è ora di decidere se vogliamo che la «razza bianca» continui ad esistere. Il richiamo alla difesa della razza ha in Italia un senso particolare; esso riproduce il titolo della rivista che durante il fascismo su applicò a offrire supporto «scientifico» alla politica che ha prodotto le leggi razziali contro gli ebrei. Quest'anno celebriamo l'ottantesimo anniversario di quella vergogna nazionale. Accusato di adottare un linguaggio razzista, il Fontana se ne è difeso dicendo che è la Costituzione a menzionare le razze. Poteva sembrare una giustificazione, ma valeva come rivendicazione, sotto la protezione nientemeno che della Costituzione.

Vladimiro Zagrebelsky, La Repubblica, 9 febbraio 2018


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shir shishi - una poesia per erev shabbat

I versi di cristallo di Dizah Marina Arbib

img headerStudiosa e poetessa, Dizah Marina Arbib si laurea dottore di ricerca in Filosofia della religione, Università di Perugia nel 1993. È di origine milanese, vive a Tel Avive insegna all’Interdisciplinary Centre di Herzliya. Le sue ricerche riflettono l'abilità di intrecciare letteratura, filosofia e mistica ebraica e sono note le sue pubblicazioni su Franz Kafka e Gershom Scholem. Si è anche dedicata ai percorsi ebraici al femminile, pubblicando saggi su Sara Copio Sullam, Rachel Morpurgo e Flora Randegger. Così presentano Marina Arbib nei siti ufficiali. Io, invece, vedo una poetica tersa scritta in un bellissimo italiano.

Yafo

Scarnita la palma,
apre e chiude il vento le imposte:
casa abbandonata.

D'inverno

Cala lo stivaletto
Sulla ghiaia coperta di brina-
Voce di rana che chiama
Dalla fontana vuota

“Amnon e Tamar”

Due viole color del sangue raggrumato,
Sfinite insieme
Ai margini della strada.

Sarah Kaminski, Università di Torino 

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