Jonathan Sacks, rabbino | Regole
chiare e un’appropriata disciplina aiutano a stabilire e mantenere
l’ordine per figli, ma anche famiglie e società, più soddisfatti.
L’amore non è abbastanza. I rapporti umani hanno bisogno di regole.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | La
scena del 1948 in Medio Oriente è fatta di tre atti: 1. Nascita di
Israele; 2. esodo palestinese; 3. espulsione degli ebrei da molti paesi
arabi. A 70 anni di distanza il Medio Oriente in libreria, – non
importa se libri cartacei, digitali, se di parole o graphic novel – non
c’è traccia di una visione capace di andare oltre le parole dell’odio.
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Tel Aviv, lo sprint a Viviani
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È
il velocista Elia Viviani il vincitore della seconda tappa israeliana
del Giro d’Italia, da Haifa a Tel Aviv. Uno sprint sontuoso quello del
corridore veneto, in mezzo a due ali festanti di folla. “Elia è il
profeta della volata” titola la Gazzetta dello sport.
“La passione di Israele per il ciclismo – si legge ancora, facendo un
bilancio di queste prime giornate – è la fuga del canadese Boivin, che
insegue e raggiunge Davide Ballerini e Lars Bak, e li stacca tra
l’entusiasmo folcloristico (131 km di attacco). Il calore di Israele
sono i tifosi a torso nudo che a piedi incitano Boivin sulla salita di
Zikhron Ya’aqov, o che gli corrono vicino in bici: un tifo genuino, che
rimanda ad anni in cui non c’erano transenne a bordo strada e veder
passare i corridori era la festa del paese”.
Tante le storie e le emozioni di questo inedito avvio della corsa rosa.
Nel presentare la tappa odierna da Beersheva a Eilat, sempre la
Gazzetta propone un ritratto dell’ex podista Shaul Ladany, già due
volte ospite della Run for Mem in Italia, che sopravvisse bambino al
lager e poi all’attentato palestinese ai Giochi di Monaco ’72.
“Per incontrare uno dei quattro sopravvissuti – scrive la Gazzetta –
bisogna andare a Omer, sobborgo zeppo di villette appena fuori
Beersheva: bandierine israeliane ovunque e segnali stradali che mettono
in guardia dall’attraversamento di cammelli. Shaul Ladany ha occhi
azzurri piccolissimi dietro a un paio di occhiali enormi. È stato un
marciatore di buon livello. Ma se è famoso, lo deve alla sua storia
personale”.
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oggi l'ultimo arrivo ad eilat
Israele saluta il Giro d'Italia
Tre giorni di sport e passione Un
paio d’ore ancora e si saprà il nome del re del deserto, e cioè il
vincitore della terza tappa israeliana del Giro d’Italia da Beersheva a
Eilat. Quasi 230 chilometri, interamente pedalati nel Negev.
L’emozionante epilogo di una tre giorni di grande sport e passione
popolare che resterà nella storia della corsa.
La risposta del pubblico israeliano è stata infatti straordinaria,
oltre ogni più rosea previsione. Entusiasmo in ogni città attraversata
dal Giro, scattato nella tarda mattinata di venerdì con la cronometro
individuale di Gerusalemme. Tanti occhi puntati sui beniamini di casa,
i corridori della Israel Cycling Academy che si sono già distinti per
combattività (in particolare grazie al canadese Guillaume Boivin, per
due frazioni di fila in fuga da lontano). Ma dal primo all’ultimo del
gruppo, per ciascuno c’è stato un applauso e un incoraggiamento. Tom
Dumoulin, vincitore della crono, ha scaldato i cuori con il suo sorriso
sul podio e le sue dichiarazioni.
“Il
pubblico di Gerusalemme mi ha aiutato, ho amato queste strade. Una
folla incredibile per un paese che non ha una così solida tradizione
ciclistica” ha detto il campione olandese, vincitore in carica del
Giro. E lo stesso è accaduto con Elia Viviani, trionfatore ieri a Tel
Aviv con uno sprint maestoso.
Sottolinea Sylvan Adams, presidente del comitato onorario della Grande
Partenza: “Mi inorgoglisce il fatto che tanti miei connazionali si
siano riversati per le strade di Israele per incitare tutti i
corridori. Un impatto molto positivo, tanto che sono arrivate parole di
ammirazione dall’organizzazione italiana della corsa. Ogni cosa è
andata al meglio, compresa la copertura mediatica estremamente
significativa in tutto il mondo”.
Entusiasmo
condiviso dai due ciclisti israeliani in corsa, Guy Sagiv e Guy Niv.
“Quando sono partito ho sentito tremare il terreno. Tutta la folla ha
tifato per me, dall’inizio alla fine. È stata – dice Sagiv – una
sensazione mai provata prima”.
“Ogni volta che ho avuto dolore o provato stanchezza, mi sono guardato
attorno. Il tifo ai due lati del percorso – ha confermato Niv – mi ha
aiutato a spingere ancora di più”.
Ha
dichiarato Noemi Di Segni, presidente UCEI: “Siamo quasi in arrivo ad
Eilat, all’ultima tappa del Giro che ha animato in questi giorni le
arterie più importanti di Israele, riempiendo il nostro cuore di
orgoglio per quello che questa importantissima iniziativa rappresenta
per Israele e tutti coloro che hanno desiderato condividerne le ragioni.
È la migliore risposta convinta e determinata che si poteva dare a
tutti coloro che esplicitamente, subliminalmente, o collaborando
tacitamente, rifiutano di accettare Israele e ne delegittimano la
stessa esistenza. Una risposta che parte da Israele assieme a tutte le
istituzioni italiane e squadre di ogni parte del mondo che hanno
creduto in questo progetto, l’hanno sostenuto ed hanno declinato ogni
invito a desistere”.
Adam Smulevich
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qui torino - il convegno A ottanta anni dall'infamia A
Torino si torna a parlare di Leggi razziste. Ad organizzare il convegno
“A ottant’anni dalle leggi razziali fasciste” è stato il Centro
Culturale Protestante, assieme alla Comunità ebraica locale. Un tavolo
dei relatori a due voci, quella dello storico Alberto Cavaglion,
docente all’Università di Firenze, affiancata da quella di Daniele
Garrone della Facoltà valdese di teologia.
1938 e 2018, celebrazioni della memoria a confronto, questo il tema
affrontato da Cavaglion che, rivolgendosi alle giovani generazioni,
riflette sui cambiamenti, mettendo in luce elementi insoliti, nuovi
spunti di riflessione sul significato stesso delle memoria storica. Una
memoria che ha bisogno di poggiare le basi su un’analisi di lungo
periodo.
Alice Fubini Leggi
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La cariatide infelice
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Che
Abu Mazen si produca in una tiritera di rancido sapore negazionista e
di indiscutibile “spessore” antisemita sulla colpa delle vittime
d’essere vittime non è per nulla una novità, nello scenario della
politica palestinese e mediorientale. Il refrain in parte del mondo
arabo è che la Shoah è una menzogna e che comunque gli ebrei “se la
sono cercata” (negazione e imputazione, ancorché apparentemente
antitetiche, coesistono nello stesso discorso, trattandosi di un
cortocircuito logico permanente). Diciamo che ancora nel recente
passato il rais palestinese aveva attenuato, con calcolo di
opportunistica prudenza, alcune posizioni di cui tuttavia non aveva mai
fatto esercizio di abiura. In altre parole: non lo diceva ma continuava
a pensarlo. Ragion per cui le sue esternazioni sulla Shoah colpiscono
solo per la circostanza e i tempi in cui sono fatte (e non per il
merito), segnalando l’ulteriore declino di una leadership debole e
ripiegata su di sé, afasica, completamente incapace di riformulare il
tema della «questione palestinese» e rilanciarlo sul piano
dell’attenzione pubblica. La politica, nelle comunità della
Cisgiordania e Gaza, è rigorosamente polarizzata e sequestrata da due
attori complementari: da una parte Hamas, organizzazione
fondamentalista e fascista; dall’altra, l’alleanza corporativa e
generazionale dei vecchi olpisti, cariatidi ed icone del tempo che fu.
Né l’una né l’altra molleranno il potere al quale stanno aggrappate.
Claudio Vercelli
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