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 8 maggio 2018 -  24 Iyar 5778
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memoria

I bambini custoditi dai monti

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img headerSergio Luzzatto / I BAMBINI DI MOSHE / Einaudi Storia

Dal 2012 sono direttamente coinvolto nell'impegnativo percorso dedicato alla riscoperta, la conoscenza e la tutela della Memoria di Sciesopoli Ebraica (1945-1948), la complessa struttura fisica e organizzativa che tra il 1945 e il 1948 accolse, curò, amò, riportò alla vita e permise l'aliyah di circa 800 bambini ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio, orfani dei genitori che in quei campi avevano trovato la morte. Quei bambini erano stati raccolti nei campi e nei luoghi dove erano nascosti, e condotti dalle Palestine Units verso l'Italia, trampolino per Eretz Israel. Nel 2012 era una storia pressoché sconosciuta perfino agli stessi abitanti di Selvino, il paesino della Bergamasca arrampicato sui costoni montuosi tra Valle Seriana e Val Brembana, che la ospitò. Da allora mi occupo quasi a tempo pieno di quella straordinaria pagina di storia di vita e di rigenerazione. Oggi l'abbiamo faticosamente resa abbastanza nota. Quella storia meritava, dopo i due libri di Aaron Megged (Il viaggio verso la terra promessa, Mazzotta, 1997) e di Anna Scandella (Aliyah Bet, Unicopli, 2016), e parecchi articoli miei e di più autorevoli altri, un'opera del genere. Non posso quindi esimermi dall'entrare nel coro mediatico, per lo più apertamente elogiativo, sviluppatosi intorno a questo nuovo libro. E approfittarne, perché esso contribuisce alla diffusione della conoscenza di aspetti rilevanti di Sciesopoli Ebraica, e consegna quell'esperienza a una notorietà inaspettata. In segno di riconoscenza verso l'autore e l'editore per questo impareggiabile servizio, I bambini di Moshe. Gli orfani della Shoah e la nascita di Israele sarà esposto nel Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica che, a Selvino, stiamo realizzando, insieme con la Giunta Comunale, l'UCEI, il CDEC, il Memoriale della Shoah di Milano, il MIBACT e alcuni altri collaboratori, nel palazzo comunale, e che speriamo di inaugurare entro il 2018.

Marco Cavallarin, Pagine Ebraiche, maggio 2018 

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storia

Quei secoli di identità nascoste

img headerDonatella Di Cesare / MARRANI. L’ALTRO DELL’ALTRO / Einaudi

“La passione identitaria aveva spinto il fiero sé spagnolo, in cerca di un’integrità autentica, ad assimilare e inglobare al proprio interno l’altro, annettendolo anche a costo di annientarlo. […] Se prima l’altro era distinto e ben riconoscibile, una volta introdotto a forza nel corpo della cristianità restò altro, ma all’interno. Si andò così delineando un’alterità più sottile e complessa. Fu in parte la rivincita dell’altro sul sé, un contraccolpo inatteso.”
E’ una sottile indagine storico-filosofica quella che Donatella Di Cesare propone con “Marrani. L’altro dell’altro”, edito da Einaudi, saggio breve che, con scrittura sapiente, racconta un fenomeno che ha profondamente (e tragicamente) segnato la storia ebraica, e non solo.
Quella dei marrani è una storia di alterità rispetto ai popoli tra i quali si risiede, e ai quali si nasconde la propria fede e la propria origine, ma anche di alterità rispetto all’ebraismo, dal quale spesso (ma non sempre) ci si distacca, generazione dopo generazione, fino alla completa assimilazione. Una storia che anticipa, di diversi secoli, l’antisemitismo di matrice razzista e le leggi antiebraiche promulgate in Europa nel ‘900: risale al 5 giugno 1449 la Sentencia-Estatuto, il documento promulgato a Toledo che enuncia le regole sulla limpieza de sangre: “insieme al concetto di purezza, individuata nel sangue e nella discendenza – scrive Di Cesare – viene introdotta l’esigenza di una difesa da ogni possibile contagio. […] Da Toledo a Norimberga il passo è breve”.

mdp 

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StoriA

La modernità delle questioni identitarie

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Donatella Di Cesare / MARRANI. L’ALTRO DELL’ALTRO / Einaudi

Nel suo ultimo libro (Marrani, Einaudi) Donatella di Cesare credo colga con grande spessore un aspetto del marranismo come questione della modernità, di chiunque, ebreo e non ebreo, quando scrive che «Il marrano diventa la matrice nell’ebreo moderno nelle sue molteplici figure. La questione non è più ‘cosa devo fare?’, l’interrogativo che nei secoli ha accompagnato l’ebreo, quanto piuttosto ‘chi sono io?’» (pp. 89-90).

David Bidussa 

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società

L'uomo che visse tre volte

narrativa

Quei saluti al Campo X

Maajid Nawaz / RADICAL / Carbonio

Da reclutatore tra i giovani musulmani in Europa e nel mondo, per trasformarli in islamici radicali, a profeta del dialogo contro gli estremismi e per la coesistenza tra le religioni. È un tragitto intimo e tortuoso quello compiuto da Maajid Nawaz: poteva molto facilmente diventare lui stesso uno dei simpatizzanti dell'Isis che compiono massacri nelle città europee e invece, dopo un «doloroso e radicale travaglio identitario molto personale», come lui stesso racconta, è diventato una sorta di intellettuale organico della pace in lotta contro i fanatismi.




Lorenzo Cremonesi, Corriere La Lettura,
6 maggio 2018


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Paolo Berizzi / NAZITALIA /Baldini e Castoldi

Il Campo X del Cimitero Maggiore di Milano è un recinto. Se lo vedi quando è deserto, sembra un cimitero islamico. Ognuna delle novecentoventuno croci sepolcrali che ricordano i soldati della Rsi e i volontari italiani delle SS è disposta come il cippo verticale tipico della sepoltura musulmana. Strana similitudine, con la croce in cima anziché la mezzaluna; una bizzarra ironia del caso se si pensa che i gruppi di estrema destra che vengono a commemorare in parata militare questi morti sono nemici dichiarati degli immigrati, dei popoli africani, degli «invasori» islamici. Campo militare dell'onore. Lo chiamano così i camerati.

Paolo Berizzi,
La Repubblica Milano,
6 maggio 2018


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