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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Un
rabbino americano contemporaneo, rav Kushner, insegnava che noi
cerchiamo a seconda di chi siamo e troviamo quello che veramente
cerchiamo. Nei miei personali giri di ricerca ho scritto nove racconti.
Se siano belli, brutti, interessanti o stupidi, non è questo il punto.
Sono stati e sono ancora, per alcuni partenopei fonte di dissenso,
indignazione, commozione, gioia, nervosismo ed orgoglio. E tutto
questo, giustamente, arriva a me che resto inquieto, irrequieto e che
sono l’autore dei racconti di una Napoli ebraica specifica nei suoi
anni e che è stata sede della mia primissima formazione, e che, per
motivi anagrafici, in alcuni casi, oggi, è già realtà di ieri. O realtà
di altrove se Shabbat scorso ho avuto l’onore di accompagnare al bar
mitzva, nella sinagoga di Rechov Hillel a Gerusalemme, un ragazzo con
nonna napoletana, mentre un uomo con madre napoletana era al tempio e
recitava il kaddish per lei, nell’anniversario della sua scomparsa.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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L’idea
che chi possiede le chiavi della Storia sia il vero detentore del
potere politico è sostanzialmente veritiera (in linea generale e con le
dovute eccezioni) e anche un po’ minacciosa. La Storia la scrivono i
vincitori, si dice. Oppure la riscrivono i detentori del potere. In
ogni caso si tratta di un’azione politica delicata che carica di
responsabilità il ricercatore e il divulgatore che nella sua funzione
di “intellettuale” dovrebbe di principio possedere due caratteri
essenziali: essere rigoroso nel suo lavoro, dimostrando rispetto
nell’uso delle fonti e un approccio laico alla narrazione; e non essere
succube del potere, ma indipendente (nel senso letterale di “non
dipendere”). Ci sono state nel recente passato alcune figure –
minoritarie – di intellettuali liberi che hanno riconosciuto nella
Storia un valore assoluto di dirompente forza politica. Penso ad
esempio a Marc Bloch, che da partigiano ha scritto alcune pagine
decisive sul metodo dello storico prima di morire fucilato. Penso a
Emanuel Ringelblum e al suo circolo “Oneg Shabbat”, che nel ghetto di
Varsavia scrissero la storia della loro quotidianità e la nascosero nel
sottosuolo, fiduciosi che sarebbe stata ritrovata trasformandoli da
sconfitti in vittoriosi. Alla fine, da uomini schiavi, gli storici di
Ringelblum scrissero la versione vittoriosa della storia.
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Hamas minaccia
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Yahya
Sinwar, capo del gruppo terroristico Hamas nella Striscia di Gaza, in
un colloquio con un gruppo ristretto di giornalisti stranieri (per
l’Italia c’era il Corriere), dice a proposito dell’imminente protesta
palestinese in occasione della Nakba – letteralmente “la catastrofe”,
il giorno che ricorda la nascita dello Stato di Israele: “Non possiamo
prevedere quello che succederà, il popolo di Gaza è ormai una tigre
affamata uscita dalla gabbia: a migliaia potrebbero travolgere la
barriera”.
Sinwar si dice inoltre certo di non voler aprire con le sue truppe un
nuovo fronte a sud solo per sostenere gli iraniani negli scontri
attorno alla Siria. “Sanno di non potercelo chiedere in questo momento”
dice il terrorista, condannato in Israele a vari ergastoli. E respinge
l’accusa che i milioni di dollari affluiti nelle casse di Hamas siano
stati usati per riempire depositi di armamenti. Sostiene il leader di
Hamas: “Abbiamo irrobustito la forza militare senza toccare un
centesimo destinato agli interventi umanitari”.
Resta comunque caldissimo il fronte Israele-Iran. Sottolinea al
riguardo La Stampa: “In Israele il segnale che la costante tensione
regionale è andata oltre il livello di guardia è l’ordine dell’esercito
ai sindaci di aprire i rifugi antimissile”. La vita prosegue comunque
dentro binari di apparente normalità. “Benché i raid israeliani sulla
Siria, in risposta al lancio di razzi iraniani, siano stati i più
aggressivi in decenni – si legge ancora – la leadership politica
d’Israele punta a mantenere in casa il business as usual. Il Paese
d’altronde è abituato a passare nel giro di poche ore dalla
quotidianità all’emergenza bellica”. Ad essere seguita è anche
l’evoluzione dei rapporti diplomatici tra i paesi coinvolti. Repubblica
definisce Netanyahu e Putin, incontratisi ieri a Mosca, “la strana
coppia anti Iran”.
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il ministro israeliano della difesa "Assad, caccia gli iraniani" “Caccia
gli iraniani dal tuo paese. Non stanno agendo nel tuo interesse, ma al
contrario ti stanno danneggiando. La loro presenza porta soltanto
problemi e distruzione”. È il messaggio che il ministro israeliano
della Difesa Avigdor Lieberman, oggi in visita alle truppe israeliane
nel Golan, ha voluto rivolgere al presidente siriano Bashar Assad.
L’arresta resta alta dopo le ultime tensioni, il lancio di razzi dalla
Siria e la risposta israeliana. La più intensa, su questo fronte, dal
1973 a oggi.
“Questa è per noi una pratica inevitabile – ha aggiunto Liberman dalla
città di Katzrin, posta a pochi chilometri dal confine – se qualcuno è
in procinto di compiere un attacco contro lo Stato di Israele, se
qualcuno ha intenzione di lanciarci contro dei missili, cercheremo
sempre di colpirlo per primo”.
Tracciando un primo bilancio delle operazioni ieri Lieberman aveva
commentato: “Abbiamo colpito quasi tutte le infrastrutture iraniane in
Siria. Se l’Iran continuerà a colpirci con la pioggia noi lo faremo con
un diluvio”. Il ministro aveva poi detto: “Non permetteremo all’Iran di
trasformare la Siria in una base per attaccare Israele”.
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al salone con pagine ebraiche Primo Levi, tra sacro e profano File
di scolaresche in attesa di entrare a Lingotto Fiere. Così si è aperta
la seconda giornata del Salone del Libro, che, da dieci anni a questa
parte, vede anche la partecipazione del giornale dell’ebraismo
italiano: l’ultimo numero di Pagine Ebraiche (maggio) è infatti in
distribuzione con un proprio stand alle migliaia di visitatori che
affollano la rassegna torinese. Rassegna che oggi ha visto tra i suoi
protagonisti Primo Levi: in mattinata infatti lo storico Alberto
Cavaglion e la studiosa Paola Valabrega hanno presentato – in un
incontro a cura del Centro Internazionale di studi Primo Levi e
dell’editore Einaudi – la nona Lezione Primo Levi, dedicata quest’anno
al tema del “sacro e profano” negli scritti del grande intellettuale
torinese. Una voce simbolo della Memoria ma anche della letteratura
italiana nel mondo, come ha spiegato in apertura Marco Belpoliti, che
ha presentato il terzo e ultimo volume delle opere complete dedicato a
Levi. Domenico Scarpa e Roberta Mori hanno poi illustrato il’Album
Primo Levi: “Né biografia né saggio monografico, si configura piuttosto
come un film documentario su carta, data la rilevanza che vi assume il
materiale iconografico, rappresentato da oltre 400 immagini in gran
parte inedite, e da un graphic novel dell’artista Yosuke Taki, ispirato
al racconto ‘Carbonio’”.
Domenica invece (13 maggio, ore 16.00 – Sala Professionali) il
direttore della redazione UCEI Guido Vitale modererà l’incontro
dedicato al Trattato di Berakhot, e cioè il secondo capitolo
dell’imponente Progetto di traduzione del Talmud in italiano: a
discutere del Trattato – pubblicato da Giuntina e curato da rav
Gianfranco Di Segni – saranno il rabbino capo di Torino rav Ariel Di
Porto, rav Gadi Piperno e Mario Patrono, giurista e membro del
Consiglio di Amministrazione del Progetto Talmud. Sempre domenica, ma
alle 11, sarà presentato il libro “La Brigata ebraica 1944-1946”
(Bacchilega editore), scritto dal rabbino di Ferrara Luciano Meir Caro
e da Romano Rossi, presidente dell’associazione nazionale reduci della
Friuli. Leggi
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Insultati e vaccinati
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Rispondere
al questionario dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea è interessante e fa riflettere, anche nella parte che non
riguarda strettamente l’antisemitismo: è divertente, per esempio, dover
assegnare un voto al proprio livello di osservanza (per la cronaca, mi
sono data un 5, insufficienza non grave, voto temo fin troppo
generoso); ed è curioso trovarsi, nonostante il 5, a rispondere quasi
sempre “sì” alle domande sulle singole mitzvot osservate: dato che
sarebbe troppo presuntuoso supporre che il questionario sia stato
pensato apposta per me devo dedurne che il mio modo di vivere
l’ebraismo è tra quelli più diffusi in giro per l’Europa; buono a
sapersi: è piacevole una volta tanto non sentirsi in minoranza.
Pur non volendo cadere nel vittimismo e nell’allarmismo ingiustificato
ho ritenuto opportuno rispondere che nella mia percezione
l’antisemitismo in questi ultimi anni è aumentato, eppure, a parte
affermazioni sgradevoli lette o ascoltate, non posso dire di aver
subito nulla di che mi abbia toccato o danneggiato personalmente. In
questa parte del questionario ho dovuto dire una parziale bugia, o, per
lo meno, una verità nella sostanza ma una bugia nella forma. Alla
domanda se in questi ultimi anni ho subito attacchi o ricevuto insulti
via mail e sui social network, purtroppo ho dovuto rispondere che sì,
ne ho ricevuti. Alla domanda se li ho ricevuti in quanto ebrea in
teoria avrei dovuto rispondere sì, perché li ho ricevuti per lo più in
quanto direttrice di un giornale ebraico (Ha Keillah), ma trattandosi
di un sondaggio sull’antisemitismo ho ritenuto opportuno rispondere no,
dal momento che attacchi e insulti mi erano venuti da altri ebrei.
Anna Segre, insegnante
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I temi che mancano
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Le
parole di Abu Mazen sulla Shoah causata dalla “funzione sociale” degli
ebrei, ovvero per le “attività bancarie e di usura da loro praticate”,
sono arrivate anche sulle pagine dei giornali italiani, suscitando
qualche indignazione. Ma al di là di queste reazioni, non mi pare di
aver letto articoli o commenti che provassero a confutare questi
pregiudizi. Ciò è forse tautologico, perché confutare qualcosa che è
storicamente e stupidamente falso? Sovente viene affermato che più
un’opinione, seppur errata, viene discussa e più questa acquisterà
importanza. Eppure ripensandoci, Abu Mazen a parte (cosa aspettarsi
poi?), quest’idea è in realtà condivisa da molti, e radicata anche
nella società europea, tanto che molti commenti letti sotto gli
articoli che trattavano la questione, affermavano “perché non è dunque
proprio così?”.
Il problema, potrebbe risiedere anche in come a livello scolastico e mediatico viene affrontata la Shoah e la storia ebraica.
Francesco Moises Bassano
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