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24 maggio 2018 - 10 sivan 5778
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orizzonti

Ambasciatore, cardinale, presidente e re 

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Nel dicembre 1994 accompagnai l'Ambasciatore Lopez in udienza dall'arcivescovo di Torino. Era il primo rappresentante ufficiale dello Stato d'Israele presso il Vaticano all'indomani dell'apertura delle relazioni diplomatiche. Quando il cardinale ci accolse, l'ambasciatore si rivolse a lui in perfetto italiano: "Eminenza, Le porto i saluti della mia città, Gerusalemme". Il prelato allargò le braccia e rispose: "Gerusalemme è anche la mia città". Di rimando immediato, il diplomatico israeliano osservò allora: "Sì, ma io ci sono nato!". L'uomo di chiesa ammutolì. I dati di fatto parlano da soli. Nel dicembre scorso, dopo la dichiarazione con cui Donald Trump proclamava Gerusalemme capitale dello Stato d'Israele e annunciava il trasferimento dell'ambasciata americana, alcuni reagirono indignati sostenendo che non c'è alcun legame fra Gerusalemme e il popolo ebraico. Quella che sul piano storico-politico potrebbe essere liquidata come una battuta di dubbio gusto, costituisce in realtà una profonda asserzione sul piano teologico.

Rav Alberto Somekh, Pagine Ebraiche, maggio 2018


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MACHSHEVET ISRAEL

I volti del popolo  

img headerQuando, oramai un po’ di tempo fa, lessi La famiglia Karnowski – ed. it. Adelphi, 2013 –l’aspetto che più mi colpì fu l’insistenza con cui l’autore, Israel J. Singer, ritornava sulle caratteristiche fisiche, in particolare del viso, dei diversi protagonisti. Complice la relativa voracità con cui lessi questo romanzo la sistematica attenzione al corpo mi apparve come filo conduttore del testo: dalla descrizione, nelle prime battute, delle caratteristiche somatiche della famiglia con frasi come “occhi e capelli di un nero carbone”, “nasi e lineamenti forti” sino alla contro-immagine della moglie non ebrea di Georg, che pare un inno alle decantate caratteristiche ‘ariane’. Ebbi la possibilità di parlare di queste impressioni con la traduttrice in italiano dallo yiddish Anna Linda Callow, di cui seguivo alcuni corsi in Statale. Callow nel confermare tali impressioni aggiunse che “tradurre quei brani così palesemente ossessionati mi metteva a disagio e mi domandavo che effetto avrebbero fatto sul lettore contemporaneo”. Dunque, nell’ossessione di Singer per le fattezze e i colori del viso non vi era che l’introiezione, evidentemente non scelta, dell’immaginario nazionalsocialista? Forse Singer diveniva, così, “un anello di riproduzione del cliché, ma un anello sofferto” – come si espresse Callow. Forse l’intento, più o meno consapevole, poteva essere quello di volgere in positivo gli schemi della propaganda quotidianamente subita dagli ebrei d’Europa.

Cosimo Nicolini Coen 

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Società      

Addio a Bernard Lewis
     

What went wrong, pubblicato in italiano con il titolo II suicidio dell'islam: in che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale (Mondadori, 2002) uscì all'indomani delle Torri Gemelle, ma Bernard Lewis, il più grande orientalista dei nostri tempi morto ieri in New Jersey, dodici giorni prima di compiere 102 anni, lo aveva scritto quando quell'evento non aveva ancora cambiato le sorti del mondo. Con il suo libro Lewis spiegò all'America, e a tutto l'Occidente, che cosa era successo 1'11 settembre, da dove veniva Al Qaeda. Il rifiuto della modernità, incarnato da Osama bin Laden, dal sunnita Hassan el Banna, fondatore dei Fratelli musulmani, e dallo sciita ayatollah Khomeini, stava conducendo tutto l'islam lungo la via del fondamentalismo. Questo rifiuto della modernità risale, secondo Bernard Lewis, alla sconfitta di Vienna del 1683: sino ad allora l'islam era stato una civiltà dotata di spinta innovativa.



Elena Lowenthal, La Stampa,
21 maggio 2018


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società 

L'umorismo nazista
che non è goliardia

«Anna Frank e la sua famiglia vengono caricati sul treno che li porterà ad Auschwitz. Anna non l'ha fatta Frank». È vecchia di anni, l'orrenda battuta nazista che in questi giorni inquieta Vicenza. Comparve (con tanto di svastica) sui muri di Roma, quando era sindaco Gianni Alemanno che, pur venendo dall'estrema destra, bollò le scritte come «oscene e vergognose» ricordando che quegli «atti scellerati» offendevano «la memoria di chi ha pagato con la vita una delle più aberranti forme di discriminazione razziale». Peggiori ancora, se possibile, sono però le parole che Leonardo De Marzo, candidato alle prossime comunali di Vicenza in una lista che appoggia il candidato sindaco del centrodestra Francesco Rucco (aspirando a un assessorato, dicono) lasciò a commento di quella frase infame postata su Facebook da Filippo Bressan e corredata da un'annotazione ancora più agghiacciante di un altro neonazista, Matteo Vicari: «Forse è Frank che si è fatto l'Anna».

Gian Antonio Stella, Corriere della Sera,
23 maggio 2018 


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

Il menù poetico di Haim Nachman Bialik 

img headerNel 29 marzo 1909 l’Yishuv amministrato dal governo mandatario, ha visto sbarcare a Jaffa, Haim Nachman Bialik, considerato già allora il poeta nazionale del popolo ebraico. Il giovane letterato scese dalla nave vestito in completo chiaro e in testa portava un elegante cappello di paglia, come decretava il bon ton di quei tempi. Il giornale HaZeman, Il tempo, scrisse in onore del grande evento: "Dopo così tanti anni tutti sentiamo battiti di cuore e una grande nostalgia – siamo finalmente riusciti ad accoglierlo sul mare azzurro. Abbiamo l'onore di respirare con lui l'aria della vita eterna, abbiamo il privilegio di abbracciarlo sotto il palmo e il mandorlo – Abbiamo l'onore!
L'indomani presso l'albergo Bella Vista si è svolto un vero banchetto in onore del poeta. Il giornale HaTzvi, Il cervo, di E. Ben Yehuda ha riportato ai lettori i dettagli della festa e fu praticamente il primo reportage gastronomico della storia della Terra di Israele.
Quella festa registrò un altro primato perché viene ricordata come la cena ebraica più poetica e sontuosa mai servita a Jaffa. La città di Tel Aviv non era ancora altro che un cumulo di dune con qualche segno inteso a definirla come il futuro quartiere, Ahuzat Bait, pronto a sorgere qualche mese dopo. I commensali erano settanta e hanno degustato un pasto chiamato col famoso poema Il rotolo del Fuoco, mentre il menù esibiva un infinito elenco di portate dai nomi lirici e piuttosto stravaganti:

Pesce – Navigare in lontananza
Minestra – La piscina
Arrosto con fave – Leone possente
Carne di pollo – Al cardellino
Verdure – Battiti di primavera
Pomodori – Per via della mela
Cipolle – Nel campo
Lattuga – Infatti il popolo è come il fieno
Cavolo – I morti nel deserto
Rapa – Lo Zohar
Frutta – Stelle che sbirciano e si spengono
Arance – Canti d'estate
Mandorle – Canzoni popolari
Vini – Pensieri notturni
Cognac – Nostrano
Vino della cantina di Rishon Letzion – Canti invernali
Dolciumi – Vero, anche questo è l'insegnamento di Dio
Budino – Infaticabile studioso
Composta di mele – La speranza del povero
Caffè – Per i volontari del popolo

Sarah Kaminski, Università di Torino

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