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13 giugno 2018 -  30 Sivan 5778
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PROTAGONISTI

Umberto Terracini, un uomo libero

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img headerMarta Nicolo / IMPEGNO CONTROCORRENTE / Zamorani

Che Umberto Terracini (1895-1983) considerasse la propria attenzione per il mondo ebraico come una dimensione essenziale del suo essere comunista non ci sono dubbi. Dire invece che quel suo spiccato interesse fosse in piena sintonia con la tradizione e la storia del partito comunista italiano sarebbe un errore. Terracini, come per molte altre cose, fu un’eccezione. Basti confrontare anche solo la continuità con cui non distolse mai lo sguardo dalle vicende degli ebrei con l’episodicità dell’interesse mostrato al riguardo da molti suoi compagni e dall’insieme del partito, mossi più da ragioni politiche di altra natura o legate alle necessita del momento che non da convinzioni profonde e inderogabili: la lotta antifascista, la memoria della guerra, le discussioni sul Medio Oriente o altro ancora. Perché allora l’eccezione Terracini? Richiamare, come fanno alcuni, le sue pur inoppugnabili radici ebraiche è troppo poco. Nel gruppo dirigente del PCI anche altri avevano ascendenze simili, ma non per questo – si pensi ad esempio a Emilio Sereni – manifestarono le sue stesse aperture. Certo, la provenienza ebraica e l’educazione ricevuta in gioventù non mancarono di sviluppare in lui una particolare sensibilità a quel mondo, favorendo una vicinanza e una comprensione che per un non ebreo sarebbero state assai meno immediate. Ma ci fu anche dell’altro.

Fabio Levi, Università di Torino
Pagine Ebraiche, giugno 2018 

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POESIA

Nel segno di Schlemihl

img headerHeinrich Heine / MELODIE EBRAICHE / Giuntina

Dopo la pubblicazione de Il caso Heine di Marcel Reich-Ranicki, Giuntina felicemente ripropone del grande poeta renano uno dei suoi testi più belli: le incantevoli Melodie ebraiche, l’ultima sezione del Romanzero (1851), che esce nella classica traduzione di Giorgio Calabresi, corredato da un’adeguata curatela di Liliana Giacoponi. Sull’onda del goethiano West-östlicher Divan l’ambientazione delle Melodie si colloca in un Oriente fascinoso e fantastico, su uno sfondo biblico. L’incipit della prima melodia Principessa Shabbàth recita: “Nelle favole d’Arabia vedi principi incantati ritornare al loro aspetto vero e splendido ogni tanto”. È l’antefatto di ciò che ci si appresta a raccontare. Il principe Israele, a causa di “un sortilegio” viene trasformato in cane: “Cane, con idee canine, ringhia e sguazza dentro il fango della vita per sei giorni, a ludibrio dei monelli”. Ma nell’ora del crepuscolo del venerdì, nella sacra intimità ebraica, al riparo dagli oltraggi e dagli insulti, ad attenderlo c’è la Principessa Shabbàth ed allora “l’incantesimo svanisce ed il cane ancora è fatto Uomo, con affetti umani, cuore eretto, cuore in alto, lindo, rivestito a festa”. Ma all’impallidire del “bel giorno” e all’approssimarsi dell’“ora maledetta” del commiato, dell’Havdalah il principe sospira, perché “già l’orrore de la canina metamorfosi l’invade”, il principe si dilegua e si ritrasforma nel “peloso orrendo mostro”.

Luca De Angelis, Pagine Ebraiche, giugno 2018  

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