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 19 giugno 2018 -  6 tamuz 5778
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personaggi

"Ben Gurion, Israele a ogni costo"  

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“Volevo capire chi fosse Ben Gurion nella vita reale. Non quello di pietra o di metallo delle statue, non quello di carta dei poster. Quello in carne ed ossa. Volevo capire perché ha preso determinate decisioni, conoscere il suo carattere, le sue debolezze, sapere se aveva momenti in cui si sentiva depresso e se questo influisse sulle sue azioni”. Non a tutti piacerà l'ampia e documentata indagine condotta dallo storico israeliano Tom Segev su uno dei padri fondatori dello Stato d'Israele: David Ben Gurion. Nel suo libro Ben Gurion, uno Stato ad ogni costo (già pubblicato in Israele e in Germania, e presto disponibile in inglese), Segev svela l'uomo al di là del mito, che vive momenti di spensierata allegria ma al contempo si sente incastrato in una sofferenza che quasi lo annichilisce. “Anche nei miei momenti di felicità non posso liberarmi dalla sofferenza del profondo dolore che è penetrato in tutto il mio essere. Non posso sopportare l'angoscia della mia mente - è una sorta di inferno interiore per me”, una delle tante citazioni di Ben Gurion riportate dallo storico nel suo libro, in cui scopriamo i suoi ripetuti tradimenti alla moglie, la sua difficoltà nel tenersi gli amici (“non era un tipo simpatico”, spiega Segev), i suoi cambiamenti di umore repentini, i colpi di testa, le decisioni folli. È un Ben Gurion molto umano ma allo stesso tempo lontano dal mito in cui molti sono cresciuti. Non che nell'autobiografia di Segev non vi sia il Ben Gurion visionario, quello brillante, capace di sintetizzare lo spirito dello Stato ebraico in una frase: “In Israele per essere realisti bisogna credere ai miracoli”. Ma l'abilità dello storico israeliano, in questo caso, è portare il lettore a vedere il volto nascosto della luna, a vedere quella parte di Ben Gurion che pochi conoscono. L'uomo e non il mito. E chi non è disposto a farlo, non si appresti a leggere il lavoro di Segev – intervistato da Pagine Ebraiche per capirne la genesi - perché incorrerà in diverse delusioni.

Cosa l'ha spinta a scrivere una biografia di Ben Gurion?

È un personaggio che mi ha sempre affascinato e negli ultimi anni molto materiale su di lui è diventato disponibile. Non è un caso se in Israele negli ultimi cinque anni sono uscite quattro biografie dedicate a lui. Io volevo raccontare il Ben Gurion lontano dalla mitizzazione; volevo far capire alle nuove generazioni chi è quell'uomo a cui è dedicato il principale aeroporto israeliano. È stato un percorso affascinante durato sei anni, in cui ho scoperto molte cose su di lui. Ho letto il suo diario, che ha tenuto praticamente fino al giorno prima di morire. Molti lo hanno fatto prima di me, ma cercavano soprattutto di capire il Ben Gurion politico. Io ho letto i suoi infiniti sbalzi emotivi, ho imparato a conoscere la sua miseria e la sua solitudine, i suoi desideri d'amore. A renderlo così affascinante è proprio questa forza d'animo che lo porta ad analizzare i suoi comportamenti in modo coraggioso. È sorprendente quanto siano intime le pagine del suo diario e le sue lettere. Ho quasi avuto la sensazione che stesse scrivendo tutto questo per i suoi futuri biografi, quasi implorando, 'Per favore capitemi, raffiguratemi come ero davvero'”.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, giugno 2018

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storia

Verità nascoste negli anni bui del ‘900

img headerM. Amato, O. Di Grazia, N. Pirozzi / UNA STORIA SBAGLIATA / Edizioni dell’Ippogrifo

Tre autori per un libro che racconta storie dimenticate, o viste da un’angolazione altra, relative alla seconda guerra mondiale.
“Una storia sbagliata. Un secolo di bugie e di mezze verità”, pubblicato dalla partenopea Edizioni dell’Ippogrifo, ripercorre le vicende di Gaetano Azzariti, Pietro Badoglio, Luigi Biancheri, Alois Hudal, Carlo Orlandi e del cimitero militare di Costermano, dove sono sepolti ventiduemila soldati tedeschi, tra i quali diversi boia nazisti.
Questa raccolta di saggi brevi, scritti da Massimiliano Amato, Ottavio Di Grazia e Nico Pirozzi, offre spunti preziosi, anche relativamente alla persecuzioni antiebraica in Italia, dove, nel dopoguerra, i responsabili delle politiche antisemite pagarono poco o per nulla. Emblematico è il caso di Gaetano Azzariti, presidente del famigerato “tribunale della razza”, che dopo la guerra diventò sottosegretario alla giustizia, e quindi dal 1955 al 1961 fu presidente della Corte Costituzionale.
Di contro ci sono storie che fanno onore all’Italia, come quella di Carlo Orlandi, comandante del Camogli, la nave che salvò i naufraghi del Pentcho, il battello fluviale partito in piena seconda guerra mondiale da Bratislava, navigando il Danubio e il Mar Nero e infine naufragando nell’Egeo dopo un viaggio tanto disperato quanto rocambolesco. Trasportati a Rodi, e poi di lì a Ferramonti di Tarsia, il campo di internamento “umano” per ebrei stranieri in Calabria, quei naufraghi, per un insieme di fortuite coincidenze, si salvarono quasi tutti.

mdp 

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società

Un'enciclopedia
contro le falsità 

orizzonti

Nella mia Aleppo
il codice per sopravvivere

Furio Colombo / CLANDESTINO /
La nave di Teseo


Sembra venuto dall'aldilà il libro di Furio Colombo uscito proprio in questi giorni contemporaneamente all'odissea dell'Aquarius. Si intitola Clandestino. La caccia è aperta. Protagonisti sono i migranti, la loro tragedia, la nostra angoscia di spettatori impotenti. Nel momento di confusione crudele in cui stiamo vivendo, il libro (La nave di Teseo) sembra un ex voto che serve a ragionare, un rimedio utile a smentire le bugie che ci vengono quotidianamente ammannite, un aiuto per capire quali potrebbero essere le soluzioni per risolvere un problema reale che una classe dirigente imberbe, intrisa di razzismo più o meno mascherato, non si preoccupa di trovare, attenta solo ai problemi del potere, ignara delle conseguenze dell'alzare la voce nel consesso internazionale.

Corrado Stajano, Corriere della Sera,
18 giugno 2018


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Khaled Khalifa / NON CI SONO COLTELLI NELLE CUCINE DI QUESTA CITTÀ / Bompiani

Cinque anni fa, nel 2013, sono stato ad Aleppo per l'ultima volta, dopodiché la mia città si è dispersa in tanti frammenti, in foto e video, immagini e notizie delle agenzie di stampa che hanno provato a trasformare Aleppo in un luogo virtuale o, quantomeno, irreale, a me sconosciuto. Mi sono rifiutato di credere a quel che accadeva laggiù; ho pensato che sarebbe stato meglio vivere negando, in seguito avrei trovato il modo per ritornarci di nascosto. Per questo, evitavo di guardare le foto. Potete immaginare quanto sia stato difficile per me superare quel bombardamento di immagini, eppure, in parte ci sono riuscito.









Khaled Khalifa,
La Stampa,
19 giugno 2018


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