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12 luglio 2018 - 29 tamuz 5778
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SOcietà

La strada per raccontare la Storia

img header“Storytelling. Le storie siamo noi”: è l’argomento prescelto per la prossima Giornata europea della cultura ebraica che si svolgerà il 14 ottobre (comunità capofila: Genova). È un tema per molti aspetti che esprime il nostro tempo. Un tempo carico di commemorazioni, di scelte di date simbolo che vanno a dare volto al “calendario civile” del tempo ora, ma che ha anche il problema di dare nuovi significati a ciò che ricorda. Soprattutto a ciò che sceglie di ricordare, che vuole ricordare. Perché la memoria non è mai ricordo, è ricostruzione attraverso il ricordo del senso del tempo che si vive. Da questo punto di vista non c’è la storia vera: c’è sempre un racconto che è la spia indiziaria di come in ogni tempo si ridà ordine, senso e significato al passato. Nel senso comune il percorso del racconto della storia è sempre un viaggio nel tempo dal passato verso il presente, un richiamo che fa dell’inizio il momento di partenza, il luogo generativo del racconto. Il tempo zero. Sicuramente c’è del vero, ma non trascurerei il processo inverso: ovvero quello che muove dal presente verso il passato, e che spesso va in cerca del passato. Non lo penso solo perché come diceva Benedetto Croce, la storia è sempre storia contemporanea, ma perché se il racconto della storia prevede una direzione narrativa di chi racconta, sulla base dell’esperienza e dunque della vita passata, è anche sempre più vero che oggi il racconto della storia vive per le domande di partenza da cui muove il proprio interesse a scavare nel passato.

David Bidussa, Pagine Ebraiche, luglio 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

Elogio del ‘quasi’, del ‘forse’, del ‘come se’  

img headerDurante un evento del Festival internazionale delle letterature, da poco chiusosi a Roma, davanti a circa settecento attentissimi ascoltatori lo scrittore americano André Aciman ha fatto l’elogio dell’avverbio ‘quasi’: almost in inglese, kim‘at o keilu in ebraico. Sefardita di origini turche nato ad Alessandria d’Egitto (come se questi pochi dati non fossero già di per sé un quasi-destino), ben tradotto in italiano ma divenuto famoso per il libro “Chiamami con il tuo nome” da cui il noto film di Guadagnino, Aciman ha esaltato le virtù letterarie e filosofiche – ad esempio nell’amato Proust – di quest’avverbio, che a suo giudizio si sostanzia di “gradazioni, sfumature, allusioni e ombre... come una rivelazione a venire, ma non pienamente promessa; il ‘quasi’ fluidifica le certezze” ha detto – in inglese suonava più forte: mollifies certainty – e “introduce una nota di scherzo: non è un ‘sì’ ma neppure in ‘no’, è quasi un ‘forse’. Il ‘quasi’ ritira la conoscenza ultima delle cose e in tutto inietta una natura provvisoria... è la cattiva coscienza che vuol farsi passare per buona mischiando le carte e al contempo mostrando il suoi trucchi”. Non sono rari i pensatori che hanno additato tale avverbio come chiave di un approccio tipicamente ebraico al mondo. Vladimir Jankélévitch, ad esempio, l’ha addirittura messo nel titolo della sua opera principale: le presque-rien, il ‘quasi nulla’, che tuttavia spezza il silenzio del nulla e diventa pertugio per qualcosa, aprendo la strada all’essere. Sempre in ambito francese, André Neher lo ha rivisitato attraverso il ‘forse’, ulaj, le cui radici, a suo giudizio, affondano nella teologia dialettica del Maharal di Praga; mentre Emmanuel Levinas gli preferiva l’avverbio ‘altrimenti’: altrimenti che essere.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI 

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mostre      

Vita, progetti e azioni
di un intellettuale civile   

In occasione della mostra al MAXXI di Roma per il centenario di Bruno Zevi (1918-2000), vorrei sottolineare come l'appellativo di "intellettuale civile" da me proposto in uno degli incontri del Museo delle arti sia adatto a rappresentare nell'insieme la complessa figura dell'architetto e urbanista, dello storico e critico, e dell'organizzatore di cultura e militante politico. Zevi scriveva di se stesso nel 1993 (Zevi su Zevi, profezia di un'architettura): «Una volta iscrittomi al Partito d'azione, non ho più cambiato: anche oggi lo impersono, lo rappresento». La passione dell'architetto per quel piccolo e glorioso partito della Resistenza di cui era stato membro per pochi anni tra Resistenza e primo dopoguerra, in realtà esprimeva la metafora di come Zevi aveva voluto vivere la sua vita mantenendo ben fermo l'intreccio tra la professione architettonica e urbanistica, l'insegnamento come missione, l'impegno culturale libero da dogmi, e la tensione perla giustizia e la libertà, sempre sorretto dalla coscienza civile che aveva guidato la sua avventura umana.

Massimo Teodori, Il Sole 24 Ore Domenica,
8 luglio 2018


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memoria 

La forza del racconto

Con i 566 minuti di Shoah Claude Lanzmann inaugura nel 1985 il metodo di narrazione dello sterminio nazista che più si adatta alle testimonianze dei sopravvissuti. Chiunque ha conosciuto, incontrato, parlato o anche solo ascoltato un sopravvissuto sa che la parte più difficile della testimonianza è la descrizione di fatti e personaggi la cui brutalità sfida la comprensione. Dunque raccogliere tali testimonianze implica una duplice sfida: ridurre l'entità delle domande per non creare ostacoli all'esposizione del ricordo e accompagnare il sopravvissuto nel rammentare un orrore che è la più profonda delle ferite. Lanzmann ci riesce con un metodo che somma ricerca storica minuziosa su ogni singola vittima, formulazione scarna delle domande per evitare ogni intromissione nel racconto e grande determinazione nel far rimanere l'intervistato sempre nei binari del racconto di fatti. In questa maniera Lanzmann fa parlare i testimoni della Shoah davanti a una telecamera come se si trovassero con i propri famigliari, gli amici più stretti.

Maurizio Molinari, La Stampa,
6 luglio 2018 


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

La cavalla di Mussa e il silenzio

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Dedicato a Yair Sharet che alleva cavalli in Israele


Ogni tanto mi consolo con la saggezza delle piccole cose, un piatto particolarmente ben riuscito e indovinato all'ultimo momento o un saggio scritto da Sir. Stephen Leslie, il padre di Virginia Woolf, sul pregio del cammino, (In praise of walking, 1902). A volte torno a qualche poesia di Ronny Someck e, questo racconto poetico sulla cavalla di Mussa e il valore assoluto del silenzio, mi piace in particolare.
 

Quando si pronuncia a voce alta la parola «silenzio», questo si infrange.                     
E Mussa lo sapeva.                                                                                                     
Era padrone della cavalla più veloce del deserto del Sinai; lo slancio del suo galoppo è tuttora inchiodato nei colpi dei suoi zoccoli.                                                                 
Un giorno si presentò un ospite all’accampamento, uno che, a detta della tribù, era venuto per rubare la giumenta. Dopo alcune tazzine di caffè Mussa aveva la sensazione che non si trattasse di un ladro, ciò nonostante decise di rimanere sveglio tutta la notte. L’indomani il beduino, stanco ma rassicurato sull’innocenza dell’ospite sprofondato in un giusto sonno, lo tenne presso la sua tenda. Ma, nella seconda notte, fu nuovamente assalito dal dubbio. Sentì ancor più forte l’amore per la cavalla e si persuase che con l’alba quello se ne sarebbe andato. Cosa erano mai poche ore di sonno in confronto al più sottile dei sospetti? Poi la stanchezza ebbe il sopravvento. Destatosi dal dormiveglia, scoprì che l’uomo era già sul dorso della cavalla. Si precipitò dal vicino, che gli propose di prendere la sua giumenta per inseguire il ladro. Dopo qualche ora di cavalcata Mussa lo scorse.                                                       
Allora fermò la bestia presa a prestito e voltò i tacchi. «Se lo raggiungo» mormorò «non sarà più lei la giumenta più veloce del deserto del Sinai».

Chi è Mussa? Mi chiedo.
Ne sono certo, Mussa sono io e la cavalla
è la lirica, eternamente
rubata dalle scuderie del cervello,
per lasciare l’impronta sul terreno del foglio.
Zoccoli di un silenzio dimenticato.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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