Jonathan Sacks, rabbino
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La libertà è la trasformazione politica cui
si arriva solo attraverso una trasformazione personale.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee |
Non so chi abbia proposto storytelling come
tema della XX edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica in
programma domenica prossima 14 ottobre.
Penso che quel tema non sia solo un modo per ripetere in pubblico le
storie del proprio privato, ma sia anche l’occasione per leggere il
testo letterario ed entrare nelle viscere della storia. Solo
restituendo alle vicende del passato il loro respiro intimo, fatto
anche di incertezze e piccolezze che segnano ogni evento significativo
della storia, dove spesso pubblico e privato si sovrappongono, si
contribuire a trasformare il ricordo in consapevolezza. Perché il
passato non è solo passato, ma vive anche del fiato (corto e talora
ansioso) del presente.
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La Giornata del racconto
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“Ebraismo, voce del verbo narrare”. È il
titolo che il Corriere ha scelto per presentare ieri l’edizione della
Giornata Europea della Cultura Ebraiche che in Italia si celebrerà
domenica prossima con “Storytelling. Le storie siamo noi” come filo
conduttore tematico e con Genova città capofila. “II narrare è un atto
molto presente e rilevante nella tradizione ebraica. A cominciare dal
Pentateuco, l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi,
Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio” si legge. “Un passo del Talmud
dice che a volte le storie sono più importanti delle leggi” spiega al
Corriere il rabbino capo della Comunità ebraica di Milano e presidente
dell’Ari rav Alfonso Arbib.
“La scelta del capoluogo ligure – si legge ancora – è stata fatta prima
dell’estate e della tragedia del crollo del Ponte Morandi ed è stata
poi confermata nell’intenzione di lanciare un messaggio positivo, di
fiducia, e per dare il segnale tangibile della vicinanza dell’ebraismo
italiano e della Comunità ebraica di Genova alla popolazione colpita”.
Diventerà un museo la Siva, la fabbrica dove dal 1947 al 1975 lavorò
come chimico e direttore di stabilimento Primo Levi. Alla memoria,
spiega La Stampa, “saranno dedicate le due stanze al primo piano dove
c’erano l’ufficio del direttore (appunto Primo Levi) e del
proprietario”. Con tecnologie di realtà aumentata e realtà virtuale
sarà inoltre possibile visitare diversi musei in Italia e nel mondo.
“Ho speso trent’anni della mia vita ad andare nelle scuole, e pur
avendo parlato a decine di migliaia di studenti, aver ricevuto lettere,
stretto amicizie che attraversano generazioni intere, sono estremamente
pessimista. Penso che nel giro di dieci anni, al massimo, la Shoah sarà
una riga in un libro di storia”. È quanto afferma la senatrice a vita
Liliana Segre in una intervista con il Secolo XIX.
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L'ATTENTATO PALESTINESE IN CISGIORDANIA Due morti e un ferito a Barkan,
il terrorismo torna a colpire È
di due morti (un uomo e una donna) e un ferito il bilancio di un
attentato terroristico palestinese contro civili israeliani a Barkan,
in Cisgiordania, in un impianto industriale nei pressi
dell’insediamento di Ariel. L’attentato, condotto con arma da fuoco, è
stato compiuto da un 23enne. I video di sorveglianza dello
stabilimento, diffuse dai media, mostrano il giovane mentre scende di
fretta le scale, armato di mitraglietta.
“L’esercito e le forze di sicurezza stanno conducendo una caccia senza
tregua al terrorista responsabile dell’attentato a Barkan. Il suo
arresto è solo una questione di tempo” ha scritto sul proprio profilo
Twitter il ministro della Difesa israeliana Avigdor Lieberman. Ad
intervenire anche il Premier Benjamin Netanyahu, che si è detto certo
dell’imminente arresto del terrorista. E il Presidente Reuven Rivlin,
che si è detto “sconvolto” e ha sottolineato che attacchi come questo
“sono un attacco alla possibilità stessa della convivenza tra
israeliani e palestinesi”. L’invito che ha rivolto alla leadership
palestinese è a “una condanna ferma di quanto accaduto” e a “un
utilizzo della forza di cui dispone per catturare il terrorista e chi
lo sostiene”.
Hamas intanto esulta, definendo l’attentato “un nuovo capitolo della nostra resistenza”. Leggi
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pagine
ebraiche ottobre 2018 Diplomazia, la sfida complessa
che costruisce un futuro comune
Mentre
la politica sembra essere sempre più polarizzante e divisiva, c’è una
professione che potrà essere decisiva nel ricucire i rapporti
internazionali e costruire un futuro comune.
Il dossier del mese di Pagine Ebraiche di ottobre in distribuzione,
curato da Daniel Reichel, è dedicato alla diplomazia. Otto pagine, a
pochi giorni dalla nona edizione del festival che a Roma richiama
addetti ai lavori da tutto il mondo, per riflettere sull’importanza e
sul futuro di questo mestiere. Una doppia intervista, con
l’ambasciatore israeliano in Italia Ofer Sachs e con quello italiano in
Israele Gianluigi Benedetti, mette al centro lo speciale legame tra i
due paesi. “I rapporti tra Italia e Israele sono ad un livello
altissimo di confidenza: stiamo portando avanti un dialogo aperto su
ogni livello possibile, da quello politico a quello economico,
culturale, scientifico. Per me, come ambasciatore – afferma Sachs –
lavorare qui è una benedizione”. Nel dossier si presenta inoltre il
successore designato di Sachs, il giornalista Dror Eydar, si illustrano
i passaggi da percorrere per entrare a far parte del corpo diplomatico,
le possibilità offerte in sede Unesco nonostante le sue molte
criticità, l’importanza di una “diplomazia del bene”.
Ad aprire il giornale è un resoconto sulle molte iniziative svoltesi in
Italia per gli 80 anni delle Leggi antiebraiche, con una particolare
attenzione ai messaggi di provenienza istituzionale. Mentre
nell’immediato futuro si dà appuntamento alla Giornata Europea della
Cultura Ebraica in programma domenica 14 ottobre con Genova città
capofila. Per il capoluogo ligure “la Giornata del rilancio”.
“Razzismo, segnali preoccupanti”. È l’allarme di Giovanni Legnini,
protagonista dell’intervista del mese, che ha da poco concluso il suo
impegno come vicepresidente del Consiglio Superiore della
Magistratura.”Non so se i fenomeni che si registrano possano o meno
essere considerati un’emergenza. Ciò che è certo – afferma – è che sono
molto preoccupanti e vanno contrastati sul piano culturale e su quelli
della prevenzione e repressione”.
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diresse
per i 500 anni del ghetto di venezia
Orchestra
filarmonica della BBC,
alla
guida l'israeliano Wellber
Da
Venezia al Regno Unito, dalla Fenice alla BBC. È di queste ore la
notizia che a partire dall’autunno 2019 Omer Meir Wellber, il giovane,
entusiasta e apprezzato direttore d’orchestra israeliano che nel marzo
del 2016 aveva diretto il concerto che apriva le celebrazioni per il
cinquecentenario dell’istituzione del Ghetto di Venezia, dirigerà la
prestigiosa Orchestra filarmonica della British Broadcasting
Corporation. Dal 2009 direttore musicale della Raanana Symphoniette
Orchestra, fondata nel 1991 per aiutare l’integrazione degli ebrei
immigrati in Israele, Wellber è da sempre molto impegnato nell’attività
educativa con giovani e giovanissimi musicisti: ambasciatore
dell’organizzazione non-profit Save a Child’s Heart, che ha sede in
Israele ma si occupa della chirurgia cardiaca praticata ai bambini dei
paesi in via di sviluppo, è anche il fiero iniziatore e cofondatore di
Sarab – Strings of Change, progetto che offre una formazione musicale
ai giovani delle comunità beduine del deserto del Negev, a Rahat.
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le
chiavi di firenze al presidente ejc
'Kantor,
uomo di pace e dialogo'
Per
festeggiare i suoi 65 anni Moshe Kantor, presidente dell’European
Jewish Congress e noto filantropo e collezionista d’arte, ha scelto
Firenze. E l’amministrazione comunale del capoluogo toscano, dove nel
2021 sarà organizzata una grande mostra con le sue opere, in
particolare quelle di Chagall, ha voluto fargli gli auguri con un
riconoscimento speciale conferito a pochi: le Chiavi della città.
Ha sottolineato il sindaco Dario Nardella, tributandogli il
riconoscimento a Palazzo Vecchio: “La nostra città ha lottato duramente
contro ogni fascismo e nazismo. Queste Chiavi sono un’occasione per
ringraziare chi, come Moshe Kantor, uomo di pace e dialogo, ancora oggi
tiene nel mondo viva la memoria dell’Olocausto e della persecuzione
degli ebrei e lotta perché simili crimini non si ripetano”.
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L'abito
nero
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La
storia della destra radicale ed estrema si accompagna a quella della
Repubblica italiana, «nata della Resistenza». Per più aspetti ne è una
sorta di reciproco inverso, cercando di negare violentemente la
legittimità politica delle istituzioni democratiche. Spesso, tuttavia,
si intreccia ad esse, soprattutto quando si manifesta come fenomeno
legalitario, sia di natura parlamentare che popolare, con le
manifestazioni di piazza e la partecipazione al dibattito politico. È
allora corretto parlare del radicalismo di destra come di una vera e
propria area, composta da idee e ideologie, ma anche da gruppi e
militanti, le une e gli altri tra di loro differenti. Un’area che ha
cambiato in parte la sua fisionomia e la sua proposta nel corso del
tempo. Non esiste un’unica modalità di interpretazione, anche perché i
soggetti che la compongono sono così diversi da risultare spesso in
competizione tra di loro. Tuttavia, una radice comune è la posizione
antisistemica, ossia l’intenzione di mutare, per l’appunto in maniera
radicale, il «sistema» istituzionale, politico e finanche culturale
della democrazia contemporanea. Negandone la radice egualitaria, che il
neofascismo denuncia invece come una perversione dell’ordine naturale
delle cose. La discriminante si gioca spesso sul piano dei metodi,
poiché c’è un’enorme differenza tra chi ha perseguito un tale obiettivo
per vie legalitarie e chi, invece, lo ha praticato ricorrendo
all’eversione, alla clandestinità, al terrorismo.
Claudio Vercelli
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Immagini
- Karsh
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Quando
studiavo fotografia all’università, ho avuto la grande fortuna di
assistere a una lezione del grande fotografo armeno Yousuf Karsh, il
più grande ritrattista di tutti i tempi, famose le sue foto di
Einstein, Hemingway, Audrey Hepburn. La fotografia che lo rese famoso e
per cui ancora oggi è considerato uno dei più grandi ritrattisti della
fotografia contemporanea è quello di Winston Churchill, ritratto
durante un viaggio in Canada nel 1941.
Yousuf Karsh fu un sopravvissuto del genocidio armeno da parte dei
turchi e per tutta la vita mantenne questa sua forte identità legata
alla minoranza armena fuggita tra l’Europa e l’America. Quando lo
incontrai mi disse che aveva imparato a non riservare nessun sentimento
di odio verso i persecutori e che nella sua fotografia l’unica cosa che
ricercava era l’essenza del sentimento umano e della sua ineluttabile
solitudine.
Ruggero Gabbai
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