Jonathan Sacks, rabbino
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Il
fatto che l’attentato di ieri a Pittsburgh sia avvenuto all’interno di
una sinagoga, il cui nome è ‘L’albero della vita’, rende tutto più
orribile. La sinagoga è un luogo in cui le persone si uniscono, in
pace, per festeggiare e dire grazie per tutto quello che abbiamo,
soprattutto per il più grande dono di Dio: la vita.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee |
Sarebbe
troppo facile dire che ieri mattina a Pittsburgh l’odio è tornato
protagonista. Quello che è andato in scena ieri mattina è un copione
consolidato che in Europa abbiamo visto con il nome di Anders Breivik.
Uno che non “si sacrifica”, fa l’angelo sterminatore in nome della
“difesa della tradizione”.
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Orrore in sinagoga
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È
di 11 vittime il bilancio dell’attentato alla sinagoga di Pittsburgh
compiuto ieri mattina dall’estremista di destra Robert Bowers. Da
Israele e da tutto il mondo numerosi i messaggi di cordoglio e
vicinanza che stanno giungendo agli ebrei americani. “Siamo solidali
con la comunità ebraica di Pittsburgh e con il popolo americano di
fronte a questa violenza antisemita orribile” ha detto il Premier
israeliano Benjamin Netanyahu. “L’odio negli Stati Uniti è terribile,
qualcosa deve essere fatto” il primo commento del Presidente Donald
Trump. Diverse voci, sui principali quotidiani, gli attribuiscono
pesanti responsabilità per il clima di ostilità crescente (anche se per
Bowers, l’inquilino della Casa Bianca sarebbe “controllato dagli
ebrei”).
In una intervista con il Corriere, lo scrittore André Aciman sostiene:
“L’antisemitismo è una realtà che in America esisteva anche prima,
tuttavia restava nascosta. Ma Trump ha propagato e sfruttato l’odio. In
questo è stato un genio, certo un genio malefico”. Afferma ancora
Aciman: “Credo che il clima sia cambiato, la gente pensa di poter
prendere ogni questione nelle proprie mani. La gente emarginata, senza
lavoro, senza avvenire se la prende con i democratici, con gli ebrei,
col primo che capita e si sente in diritto di esprimere un odio che
nasce dalla profonda frustrazione”.
“Ora anche Trump finisce all’angolo” titola Repubblica. “Una spirale di
violenza – scrive Federico Rampini in una sua analisi – trasforma gli
ultimi giorni della campagna elettorale americana in un incubo.
L’apprendista stregone Donald Trump aveva seminato vento per anni,
improvvisamente raccoglie tempesta. L’ex candidato che incitava i suoi
fan a picchiare i contestatori dei suoi comizi, il presidente che ebbe
parole d’indulgenza verso i suprematisti bianchi, ora sembra più
indispettito che turbato per quello che sta accadendo”.
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undici le vittime dell'attentato in sinagoga Pittsburgh, l'orrore e la reazione “Estremisti
di destra e reazionari dichiarati stanno facendo sentire la loro
presenza sulla scena con una visibilità superiore rispetto a ogni altro
momento della storia recente”. Era il 14 settembre scorso e, attraverso
un accurato dossier, l’Anti-Defamation League lanciava l’allarme. Il
riferimento era alle elezioni di metà mandato, infarcite di candidati
con approcci totalizzanti e discriminatori, ma più in generale ci si
rivolgeva alla società americana nel suo insieme. A inquietare il
rafforzamento della minaccia proveniente da destra, che quella che è
tra le più antiche associazioni contro l’odio e a difesa dei diritti
del paese ha sempre denunciato con forza.
È nel quadro di questo emergente odio, viene oggi segnalato, che è
avvenuto l’attentato alla sinagoga riformata “Tree of life” di
Pittsburgh in cui sono rimaste uccise 11 persone per mano del
suprematista bianco e dichiarato antisemita Robert Bowers.
“Il nostro cuore è spezzato” ha fatto sapere la Jewish Federation of
Greater Pittsburgh in una nota, invitando comunque per questo
pomeriggio (le 17 locali) l’intera cittadinanza e i suoi leader
religiosi a un momento di preghiera e riflessione comune. “Stando
insieme, i nostri rapporti potranno stringersi” ha sottolineato il suo
presidente Jeffrey Finkelstein. Già ieri in migliaia, coordinati da
alcuni gruppi studenteschi, sono scesi in strada per dimostrare
solidarietà.
“L’intero popolo di Israele esprime il proprio dolore alle famiglie dei
morti. Siamo vicini agli ebrei di Pittsburgh” ha dichiarato il Primo
ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha inviato negli Usa il suo
ministro alla Diaspora Naftali Bennett. “Sono sicuro che le forze
dell’ordine indagheranno a fondo su questo evento orribile e che sarà
fatta giustizia con questo spregevole assassino” il pensiero del
Presidente Reuven Rivlin.
Numerose le voci a levarsi in solidarietà nel mondo ebraico. Leggi
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Ladri di tombe
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Sulla
morte, avvenuta nei giorni scorsi, di Robert Faurisson, il più noto
negazionista, ci sarebbe poco o nulla da aggiungere al molto che è già
stato detto, in queste e su altre pagine, se non fosse per il fatto che
la sua dipartita costituisce un evento destinato a pesare nel
microuniverso dei negatori e dei complottisti indefessi. Faurisson
riusciva ad odiare di più i morti di quanto non gli riuscisse nei
confronti dei vivi. Per questo era un “resuscitatore” di anime, alle
quali negava il riscontro oggettivo di essere trapassate. La sua
maggiore offesa morale stava esattamente in questo, ovvero nel non
riconoscere non solo un dato di fatto (lo sterminio) ma anche nel non
concedere a quanti ne erano state le vittime il diritto di riposare una
volta per sempre. Un “raddrizzatore” di morti. La sconcezza di questo
atteggiamento è alla base del rifiuto etico da opporre, adesso e per
sempre, al negazionismo. Che non è una “corrente storiografica”, non
costituisce una teoria, ancorché stravagante, non istituisce una
qualche forma di pensiero, semmai essendo l’esatto opposto di tutto
ciò, ovvero il loro capovolgimento deliberato. Ma anche per questo il
negazionismo ha una sua pervicace resistenza, costituendo una sorta di
contronarrazione della realtà, una specie di ricostruzione virtuale,
prima ancora che una contraffazione deliberata, del passato.
Claudio Vercelli
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Immagini
- Kertész
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Il
grande fotografo ungherese André Kertész è stato un pilastro della
storia della fotografia. Kertész nasce in una famiglia ebraica di
Budapest e già da ragazzo inizia a fotografare; una passione che lo
accompagna anche durante il servizio militare nella prima guerra
mondiale, dove si ferisce ad una mano. Nonostante l’infortunio, Kertèsz
continua a ritrarre la realtà che lo circonda con le sue fotografie. A
metà degli anni Venti si trasferisce a Parigi ed entra in contatto con
i maggiori artisti che all’epoca fra le due guerre mettono le basi per
l’arte moderna, stringe amicizia con Man Ray, e con i fotografi Eugine
Adget e Cartier Bresson.
Ruggero Gabbai
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