società
Quel che è mancato nell’ottantesimo
A
ottanta anni dalle leggi razziste – periodo che, come è stato
osservato, corrisponde a una vita intera e, dal punto di vista
statistico, a tre generazioni – quell’evento terribile è stato
ricordato in tutta la sua gravità. Doverosamente, come è necessario
sottolineare, seppure da qualcuno - forse – un po’ ritualmente. C’è
tuttavia un tema, nel discorso pubblico che ha accompagnato queste
celebrazioni, di troppo poco notato e talvolta addirittura ignorato. Un
tema che, al contrario di quanto impone il ricordo, andrebbe una volta
per tutte dimenticato e rinnegato, e che invece è accolto dai più con
indifferenza distratta, con abitudine ed assuefazione, e da altri con
adesione convinta. Si tratta, puramente e semplicemente, della nozione
stessa di razza, e del termine che la designa. Se è ben comprensibile,
per ragioni storiche e culturali, che questo riferimento compaia – in
termini negativi - nell’articolo 3 della nostra Costituzione (Tutti i
cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali), e in un paio di articoli
della «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» del 1948, è meno
ovvio che lo si ritrovi anche in documenti più recenti, come ad esempio
nel testo della «Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (nella
versione rivista del 2010) o del «Trattato dell’unione europea» (nella
versione consolidata del 2012), o che una (peraltro meritoria)
struttura della Presidenza del Consiglio sia tuttora denominata
«Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali».
Enzo Campelli, sociologo
Pagine Ebraiche, dicembre 2018
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MACHSHEVET
ISRAEL
Lo strano amore di Giambattista Vico
Ero
a lezione del professor Paul Mendes-Flohr, all’Università ebraica di
Gerusalemme, quando sentii per la prima volta accostare il pensiero del
filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744) all’ebraismo. La
citazione mi sorprese: sia per la mia scarsa dimestichezza (di cui mi
vergognavo) con questo autore italiano e l’ancor più scarsa
comprensione della sua difficile scrittura; sia per il dubbio che
l’impianto altamente barocco e cattolico – barocco in quanto cattolico
– del suo pensiero avesse davvero potuto influenzare il pensiero
ebraico. Eppure questo sembra proprio il caso di Nachman Krochmal
(1785-1840), esponente di spicco dell’haskalà nella Galizia orientale,
oggi Ucraina, e autore in ebraico di una “Guida dei perplessi del
nostro tempo”, apparsa postuma per merito di Leopold Zunz nel 1851. È
in quest’opera che l’influenza di Vico si farebbe maggiormente sentire,
nel forgiare una filosofia ebraica della storia ‘a due registri’:
quello di Israele, nel segno dell’eternità, e quello degli altri
popoli, nel segno del sorgere e del tramontare, come ogni altro
organismo storico. Krochmal è quasi sempre accostato ai nomi dei grandi
idealisti tedeschi, Schelling e Hegel in particolare, e la sua opera
mantiene un intento apologetico, ossia difende l’ebraismo contro gli
attacchi della teologia cristiana, criticando quanti lo vorrebbero solo
quale fase propedeutica e trampolino di lancio della ‘vera fede’.
Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI
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società
Pietre d’inciampo, Memoria di tutti
Le
«pietre d'inciampo» vandalizzate e divelte a Roma, nel cuore di un
rione storico come Monti, da una gang di mascalzoni antisemiti sono
state ideate e realizzate proprio perché Roma cominciasse finalmente a
ricordare l'orrore della persecuzione contro gli ebrei, perché i romani
davvero potessero «inciampare» su una memoria inerte e lacunosa. Grosse
come un sampietrino, con su incisi i nomi, le generalità e il campo
dove sono stati sterminati gli ebrei romani vittime della Shoah, le
«pietre d'inciampo» dovevano servire a restituire un'identità a esseri
umani ridotti a numeri prima di essere assassinati in massa. E dovevano
servire a dire ai romani indifferenti, guardate che Auschwitz non è
stato un luogo lontano che non riguarda la vostra storia, la storia di
tutti, guardate che da qui partirono i vagoni piombati con destinazione
i campi di sterminio.
Pierluigi Battista, Corriere della Sera,
11 dicembre 2018
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orizzonti
Il nuovo Museo che assolve gli ungheresi
Il
nuovo Museo dell'Olocausto di Budapest dovrebbe aprire nel marzo del
2019 in occasione del 75° Anniversario della deportazione degli ebrei
ungheresi, ma sono molte le polemiche che precedono la sua apertura.
Non ultimo il fatto che l'opera, costata 18 milioni di dollari, è
pronta dai 2014. Israele e molte organizzazioni ebraiche contestano la
decisione di minimizzare, all'interno della mostra, il ruolo dei
governi ungheresi dell'epoca nella deportazione. Anche perché i
rastrellamenti furono molto rapidi: dopo l'invasione da parte delle
truppe tedesche nel marzo del 1944 565mila ebrei ungheresi, nel giro di
poche settimane, furono caricati sui treni blindati e portati nel campo
di sterminio di Auschwitz. Tra i più critici su come è stato allestito
il museo c'è il direttore della Biblioteca dello Yad Vashem di
Gerusalemme, Robert Rozett.
Francesco Iannuzzi, La Stampa,
9 dicembre 2018
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