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13 dicembre 2018 - 6 tevet 5778
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società

Quel che è mancato nell’ottantesimo

img headerA ottanta anni dalle leggi razziste – periodo che, come è stato osservato, corrisponde a una vita intera e, dal punto di vista statistico, a tre generazioni – quell’evento terribile è stato ricordato in tutta la sua gravità. Doverosamente, come è necessario sottolineare, seppure da qualcuno - forse – un po’ ritualmente. C’è tuttavia un tema, nel discorso pubblico che ha accompagnato queste celebrazioni, di troppo poco notato e talvolta addirittura ignorato. Un tema che, al contrario di quanto impone il ricordo, andrebbe una volta per tutte dimenticato e rinnegato, e che invece è accolto dai più con indifferenza distratta, con abitudine ed assuefazione, e da altri con adesione convinta. Si tratta, puramente e semplicemente, della nozione stessa di razza, e del termine che la designa. Se è ben comprensibile, per ragioni storiche e culturali, che questo riferimento compaia – in termini negativi - nell’articolo 3 della nostra Costituzione (Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali), e in un paio di articoli della «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» del 1948, è meno ovvio che lo si ritrovi anche in documenti più recenti, come ad esempio nel testo della «Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (nella versione rivista del 2010) o del «Trattato dell’unione europea» (nella versione consolidata del 2012), o che una (peraltro meritoria) struttura della Presidenza del Consiglio sia tuttora denominata «Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali».

Enzo Campelli, sociologo
Pagine Ebraiche, dicembre 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

Lo strano amore di Giambattista Vico  

img headerEro a lezione del professor Paul Mendes-Flohr, all’Università ebraica di Gerusalemme, quando sentii per la prima volta accostare il pensiero del filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744) all’ebraismo. La citazione mi sorprese: sia per la mia scarsa dimestichezza (di cui mi vergognavo) con questo autore italiano e l’ancor più scarsa comprensione della sua difficile scrittura; sia per il dubbio che l’impianto altamente barocco e cattolico – barocco in quanto cattolico – del suo pensiero avesse davvero potuto influenzare il pensiero ebraico. Eppure questo sembra proprio il caso di Nachman Krochmal (1785-1840), esponente di spicco dell’haskalà nella Galizia orientale, oggi Ucraina, e autore in ebraico di una “Guida dei perplessi del nostro tempo”, apparsa postuma per merito di Leopold Zunz nel 1851. È in quest’opera che l’influenza di Vico si farebbe maggiormente sentire, nel forgiare una filosofia ebraica della storia ‘a due registri’: quello di Israele, nel segno dell’eternità, e quello degli altri popoli, nel segno del sorgere e del tramontare, come ogni altro organismo storico. Krochmal è quasi sempre accostato ai nomi dei grandi idealisti tedeschi, Schelling e Hegel in particolare, e la sua opera mantiene un intento apologetico, ossia difende l’ebraismo contro gli attacchi della teologia cristiana, criticando quanti lo vorrebbero solo quale fase propedeutica e trampolino di lancio della ‘vera fede’.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI  

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società        

Pietre d’inciampo, Memoria di tutti  

Le «pietre d'inciampo» vandalizzate e divelte a Roma, nel cuore di un rione storico come Monti, da una gang di mascalzoni antisemiti sono state ideate e realizzate proprio perché Roma cominciasse finalmente a ricordare l'orrore della persecuzione contro gli ebrei, perché i romani davvero potessero «inciampare» su una memoria inerte e lacunosa. Grosse come un sampietrino, con su incisi i nomi, le generalità e il campo dove sono stati sterminati gli ebrei romani vittime della Shoah, le «pietre d'inciampo» dovevano servire a restituire un'identità a esseri umani ridotti a numeri prima di essere assassinati in massa. E dovevano servire a dire ai romani indifferenti, guardate che Auschwitz non è stato un luogo lontano che non riguarda la vostra storia, la storia di tutti, guardate che da qui partirono i vagoni piombati con destinazione i campi di sterminio.


Pierluigi Battista, Corriere della Sera,
11 dicembre 2018 


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orizzonti 

Il nuovo Museo che assolve gli ungheresi

Il nuovo Museo dell'Olocausto di Budapest dovrebbe aprire nel marzo del 2019 in occasione del 75° Anniversario della deportazione degli ebrei ungheresi, ma sono molte le polemiche che precedono la sua apertura. Non ultimo il fatto che l'opera, costata 18 milioni di dollari, è pronta dai 2014. Israele e molte organizzazioni ebraiche contestano la decisione di minimizzare, all'interno della mostra, il ruolo dei governi ungheresi dell'epoca nella deportazione. Anche perché i rastrellamenti furono molto rapidi: dopo l'invasione da parte delle truppe tedesche nel marzo del 1944 565mila ebrei ungheresi, nel giro di poche settimane, furono caricati sui treni blindati e portati nel campo di sterminio di Auschwitz. Tra i più critici su come è stato allestito il museo c'è il direttore della Biblioteca dello Yad Vashem di Gerusalemme, Robert Rozett.

Francesco Iannuzzi, La Stampa,
9 dicembre 2018  


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