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18 dicembre 2018 -  11 Tevet 5779
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protagonisti

Lodovico Mortara, una figura da riscoprire    

img headerMassimiliano Boni / IL FIGLIO DEL RABBINO / Viella

In "Solo per un giorno" ha intrecciato sport, identità ebraica, preparazione alle piccole e grandi sfide della vita facendoci correre e sudare assieme a lui nella periferia romana. Ne "Il museo delle penultime cose", con una brillante intuizione narrativa, ha trattato il tema di stretta urgenza di un mondo orfano della voce dei Testimoni diretti della Shoah. Proseguendo una felice produzione saggistica che ha inaugurato con uno scritto-denuncia del 2014 dedicato alle troppe amnesie che ancora aleggiano attorno alla figura di Gaetano Azzariti, il presidente del Tribunale della razza fascista che fu al vertice della persecuzione antiebraica e che l'Italia democratica degli Anni Cinquanta erse a paladino del diritto assicurandogli la presidenza della Corte costituzionale, Massimiliano Boni torna a far parlare penna e intelligenza in un libro di valore: Il figlio del rabbino, appena pubblicato dalla casa editrice Viella.
Ad essere ricostruita è la vicenda di una delle figure ebraiche più significative dell'Italia post-risorgimentale, l'avvocato mantovano Lodovico Mortara (1855-1937). Nato austriaco, dello Stato unitario in cui gli ebrei italiani si distinsero in molti campi fu protagonista ai più alti livelli della giurisprudenza e delle istituzioni. Senatore, ministro della Giustizia, presidente della Corte di Cassazione romana: una brillante carriera che il fascismo mise in soffitta nel '23 imponendogli il pensionamento anticipato. E un impegno che è impossibile scindere dalla sua identità ebraica, pur avendo scelto fin dalla giovane età una strada assai diversa rispetto a quella del padre Marco, uno dei più importanti Maestri italiani del diciannovesimo secolo.


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società

Haskalah, una presenza in Italia

img headerBruno Di Porto / IL MOVIMENTO DI RIFORMA NEL CONTESTO DELL’EBRAISMO CONTEMPORANEO / Angelo Pontecorboli Editore

Il movimento dell’ebraismo riformato è una realtà presente in molti paesi, che può contare su numeri davvero cospicui, in particolare negli Stati Uniti. Figlio dell’haskalah, l’illuminismo ebraico, che ebbe come centro propulsore la Germania dalla seconda metà del '700, è oggetto – sin dalla sua nascita – di un acceso dibattito.
Il recente libro di Bruno Di Porto, “Il movimento di Riforma nel contesto dell’ebraismo contemporaneo. La presenza in Italia”, edito da Angelo Pontecorboli Editore, ne riassume agilmente la genesi e la storia, sia nel mondo che in Italia, con un ampio excursus nella situazione attuale nel nostro Paese.
Storico, già docente universitario, studioso, saggista, direttore per anni del periodico Hazman Veharion (Il tempo e l’idea), lui stesso vicino all’ebraismo riformato, Di Porto fotografa una situazione che nel nostro paese esiste nei fatti, e il complesso dialogo con l’ebraismo ortodosso, al quale l’UCEI e le Comunità ebraiche italiane fanno riferimento per storia, tradizione e Statuto, anche se una prima presenza del movimento Reform in Italia va fatta risalire agli inizi del '900.

mdp 

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narrativa

Gerti Frankl e Montale, quell'incantesimo
della seduttrice

memoria

Meglio di Schindler list:
la Shoah come mai
era stata raccontata

Waltraud Fischer /
GERTI, BOBI, MONTALE E C. / Diabasis

Capodanno a Firenze, 1928: una giovane austriaca fa un piccolo incantesimo divinatorio, col  piombo fuso e l'acqua fredda, in omaggio a un'usanza del suo Paese natale ma anche di Trieste, la città dove vive. Siamo in casa del critico d'arte Matteo Marangoni, ospite una piccola compagnia di intellettuali e scrittori, e anche Gerti Frankl, in visita agli amici, ne fa parte. C'è Eugenio Montale, che sedotto dalla scena scriverà una delle sue poesie più famose, Il Carnevale di Gerti. «Se si sfolla la strada e ti conduce / in un mondo soffiato entro una tremula / bolla d'aria e di luce dove il sole / saluta la tua grazia, hai ritrovato / forse la strada che tentò un istante / il piombo fuso a mezzanotte quando/ finì l'anno tranquillo senza spari», si legge nella prima strofa.


Mario Baudino,
La Stampa,
17 dicembre 2018


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Antonio Debenedetti / QUEL GIORNO, QUELL'ANNO / Solferino editore

Importa sapere subito che i due straordinari racconti di Antonio Debenedetti (Quel giorno, quell'anno, Solferino editore) siano frammenti della memoria infinita della Shoah. Importa di più notare, in questo libro, qualcosa di profondamente diverso da ogni cosa già scritta, soprattutto nel primo racconto (già pubblicato in altre raccolte dell'autore) che si intitola "E fu settembre". Ti trovi all'improvviso di fronte a una modalità narrativa che produce una forte emozione perché la percezione dei fatti qui è rovesciata rispetto alla narrazione dell'Olocausto come la conosciamo. Di solito (tipico è il ricordo di Schindler List) siamo in compagnia dei perseguitati, che siamo persuasi dalla narrazione di conoscere bene, e vediamo insieme a loro l'avvicinarsi della nuvola nera che sta per inghiottire milioni di vite.

Furio Colombo,
Il Fatto Quotidiano,
17 dicembre 2018


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moked è il portale dell'ebraismo italiano
moked è il portale dell'ebraismo italiano

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