ECONOMIA
Il co-working? Un kibbutz 2.0
Ha 517 sedi per uffici in quasi cento città e i suoi numeri continuano
a crescere: Wework, è oggi una delle (ex) startup dalla valutazione più
alta al mondo - attorno ai 42 miliardi di dollari. Fondata nel 2010 a
New York con l’obiettivo di offrire a start up o professionisti uffici
in diverse modalità, dal gruppo di stanze a una scrivania, oggi Wework
è un vero e proprio colosso del coworking ma anche dell’immobiliare. In
Italia aprirà nei prossimi mesi: è già stata annunciata una sede a
Milano. Mentre nel 2018 è stata lanciata con grande entusiasmo la sede
di Gerusalemme – in ottobre, all’apertura hanno tra l’altro costruito
una co-working Sukkah con tavoli, due meeting room e molti dei servizi
offerti da Wework, da birra e caffè gratis a stampanti e articoli da
cancelleria a disposizione. Così sono diventate cinque le città
israeliane in cui l’azienda è presente, facendone il terzo paese al
mondo per numero di sedi dopo Stati Uniti e Cina. Wework è diventato
ben presto molto più che una semplice possibilità di una postazione di
lavoro a prezzi convenienti. Ci sono servizi e benefici materiali:
società e professionisti non devono preoccuparsi dell’arredamento,
delle utenze, delle pulizie, della manutenzione dello spazio cucina, e
possono aumentare o ridurre agevolmente gli spazi affittati a seconda
della necessità. Ma soprattutto l’idea di fondo è di trasformare la
condivisione del luogo fisico in una vera e propria comunità. Tanto che
il co-fondatore di Wework Adam Neumann ha definito la sua impresa una
sorta di kibbutz 2.0.
Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, gennaio 2019
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MACHSHEVET
ISRAEL
Apocalisse della paura
Un
diffuso settimanale italiano ha messo sulla copertina del primo numero
del 2019 un duro monito: “Fermiamo l’apocalisse”. Titolo volutamente
apocalittico, gridato per allarmare le coscienze: surriscaldamento
globale dovuto a inquinamento atmosferico; biodiversità a rischio per
la distruzione di interi habitat naturali; mari e oceani invasi dalla
plastica; politica arrogante e cieca... e abbiamo dimenticato gli
arsenali pieni di armi atomiche: siamo “sull’orlo dell’abisso”, per
citare un volume di inquietanti riflessioni del filosofo Hans Jonas
(1903-1993), voce tra le più autorevoli del pensiero del XX secolo.
Ebreo tedesco, allievo di Heidegger, scampato alla Shoà emigrando in
Palestina ma tornato a combattere il nazifascismo con divisa britannica
proprio in Italia, fu infine chiamato dalla Arendt ad insegnare negli
States dove elaborò una biologia filosofica in chiave etica ancora oggi
attualissima e persuasiva. È curioso che a rilanciare l’apocalittica,
in termini di emergenza antropologica (previsioni catastrofiche per il
futuro incluse), siano stati nella seconda metà del Novecento proprio
due grandi ebrei tedeschi: Jonas, appunto, e prima di lui quel Günther
Anders (1902-1992), il cui cognome vero era Stern, che aveva studiato
con Husserl, e sua volta era scampato al nazismo emigrando prima a
Parigi e poi negli Usa, rientrato infine a Vienna.
Massimo Giuliani, docente
al Diploma Studi Ebraici, UCEI
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società
Derive antisemite
nella sinistra radicale
Direttore
di ricerca emerito al Cnrs, lo storico francese Michel Dreyfus si è
occupato del socialismo e del movimento sindacale. Il suo saggio
L'antisemitismo a sinistra è uscito in Italia nel 2018 presso l'editore
Free Ebrei.
Come mai il suo libro si intitola «L'antisemitismo a sinistra» e non «L'antisemitismo di sinistra»?
«Perché l'antisemitismo specifico della sinistra, nel senso più ampio
del termine, è stato un fenomeno decisamente raro. In effetti, nella
sua storia, la sinistra ha più spesso ripreso stereotipi sviluppati
dalla destra e dall'estrema destra. Ho distinto nel corso degli ultimi
due secoli cinque forme di antisemitismo: economico, razzista,
complottista, revisionista e negazionista e, infine, antisionista nei
confronti dello Stato di Israele».
Alessandra Tarquini, Corriere La Lettura,
13 gennaio 2019
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orizzonti
Odio bianco - Due storie
La
strage alla sinagoga di Pittsburgh, il 27 ottobre, ha spazzato via
anche l’ultima illusione. Undici morti, sei feriti. È stato l’attacco
antisemita più grave nella storia degli Stati Uniti, uno dei successi
più clamorosi del suprematismo bianco. Eppure, mentre le settimane
scorrono, cresce l’amaro del dejà vu. Questo è un film già visto troppe
volte. Gli attori cambiano ma non il finale e tanto meno il regista. È
già successo, succederà di nuovo.
I segnali d’allarme sono sotto gli occhi di tutti. Lo stesso micidiale
impasto d’odio tiene insieme il massacro di Pittsburgh; le violenze
neonaziste a Charlottesville, dove un anno fa ha perso la vita la
ventiquattrenne Heather Heyer; l’attacco alla chiesa di Charleston dove
nel 2015 Dylann Roof ha trucidato nove afroamericani; la furia
crescente contro immigrati, ispanici, musulmani, donne, Lgbt,
intellettuali e correttezza politica.
Daniela Gross, Doppiozero,
6 gennaio 2019
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Shir
Shishi - una poesia per erev shabbat
Gelosia
Rami
Dizni è nato a Tel Aviv nel 1950 e mancato nel 2012. È stato un vero
artista delle parole giocose e sfuggevoli nella loro abilità di creare
una forte ironia e perfino un senso macabro di sopravvivenza, in un
mondo che si sta disgregando. Dizni ha studiato cinema, ingegneria ed è
stato anche guida naturalistica. È morto a sessantadue anni dopo una
lunga malattia lasciando un bagaglio importante di liriche e due libri
di poesia per ragazzi.
Di lui disse il critico Hanan Hever, “Con violenza poetica ha sconvolto
la poesia israeliana, trasformando il deplorevole, scioccante e macabro
in strumento linguistico eccezionale“.
Dal finestrino del pullman alla stazione di Afula ho intravisto due amorosi kibbutznik.
Chiaro, li conoscevo entrambi! Ma non conoscevo la meraviglia del loro amore:
lei ha perso una mano in un attentato e lui è monco, vittima di un attacco smantellato.
Si stavano allontanando passo passo, e io ero geloso di loro perché io sono solo, io,
mentre le pupille dei loro occhi, pupilla nella pupilla
e il cuore di lei in quello di lui e il cuore di lui in quello di lei,
'due moncuorino'.
Sarah Kaminski, Università
di Torino
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Pagine
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