Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui       7 Giugno 2019 - 4 Sivan 5779
Roma ebraica, le sei liste a confronto

Sono sei le liste in corsa, per un totale di 135 candidature, alle prossime elezioni della Comunità ebraica di Roma in programma domenica 16 giugno. 
Prima lista iscrittasi alla competizione è Per Israele, guidata dalla presidente uscente Ruth Dureghello, che afferma: “Ho deciso di ricandidarmi per senso di responsabilità, per dare continuità ad un lavoro intenso e perché sono cosciente di poter dare ancora molto a questa Comunità”. Nei quattro anni passati, prosegue, “abbiamo fatto tanto, intervenendo su diversi aspetti della gestione comunitaria che pensavamo dovessero essere migliorati e rafforzati”. Un lavoro “che ha richiesto impegno e dedizione, che oggi sta vedendo i suoi frutti”. Anche per questo, sostiene, “una ristrutturazione così importante del sistema di gestione comunitaria non può essere lasciata a metà”. 
Valori fondanti di Per Israele, prosegue Dureghello, “sono gli stessi di quando Riccardo Pacifici fondò questa lista: siamo dalla parte d’Israele da sempre e lo saremo per sempre; lo siamo stati anche quando qualcuno ce lo rimproverava”. Dureghello dichiara inoltre di non credere che possa esistere “una Comunità senza un’identità ebraica forte”. Un’identità basata “su educazione ebraica, rispetto della Halakhah e assistenza ai bisognosi”. Per questo, sottolinea, “riteniamo la scuola ebraica e i Bate Hakneset imprescindibili”. Tra gli elementi che minano la continuità e la stabilità comunitaria indica calo demografico, crisi economica e contesto generale. “Da qui – spiega – la necessità di impegnarci almeno su tre direttrici. La prima, aiutare chi è in difficoltà. Con la Deputazione abbiamo fatto tantissimo, ma ci sono ancora tante famiglie da aiutare. La seconda, dobbiamo tenere la Comunità unita senza dimenticare che questa per esistere deve essere sostenibile da un punto di vista economico. La sfida più urgente però, è pensare al futuro. Pensare alle urgenze non ci può far prescindere da una visione di Comunità per i prossimi 20 anni”. 

“La mia sensazione è che la Comunità sia troppo statica. Serve invece un maggior dinamismo, e in particolare per quanto riguarda l’offerta scolastica e di assistenza sociale. I fondi europei offrono molte possibilità in questo senso, bisogna saperle cogliere in modo serio e rigoroso”. Così Giorgio Heller, a capo della formazione Ebrei per Roma, che rivendica di aver scritto “un programma volutamente sintetico, ma tutto improntato all’innovazione”. A tenere insieme i componenti della lista, sostiene, è un principio: “Quella di Roma è una Comunità ortodossa, con solide radici plurimillenarie. Una Comunità inoltre particolarmente vicina allo Stato di Israele e alle sue ragioni. Siamo orgogliosi di questa lunga storia fatta di tradizione, identità, cultura. Qualcosa che ci appartiene e che vogliamo difendere”. Tradizione, quindi. Ma anche “necessario ricambio”. Per Heller, “checché se ne dica, c’è bisogno di volti nuovi”. Perché “è vero che chi ha dato alla Comunità l’ha sempre fatto con il cuore, ma c’è un gran bisogno di portare all’interno del Consiglio esperienze diverse che finora non sono state coinvolte o non hanno vissuto la Comunità al cento per cento”. Le loro esperienze, sottolinea, “sono un valore aggiunto”. Due quindi i punti cardine del progetto Ebrei per Roma: Memoria e futuro. Afferma Heller: “In un mondo rapidamente globalizzato, attraverso le nuove tecnologie, è giunto il tempo di conquistare nuovi spazi e cercare nuovi fronti di comunicazione con il mondo esterno, sempre nel rispetto imprescindibile delle nostre regole religiose, della nostra identità e della tutela assoluta della nostra Memoria”. 

Terza formazione candidatasi alle elezioni è Dor va dor, guidata da Benedetto Alessandro Sermoneta. “La nostra – afferma – è una lista che ama pensare collegialmente e che condivide l’idea che le migliori risorse debbano essere messe in condizione di potersi esprimere”. Una lista eterogenea “composta da commercialisti, avvocati, imprenditori, dirigenti aziendali”, ma anche “da chi vive intensamente la vita comunitaria, sul versante sociale, di assistenza e sportivo”. Sermoneta stesso ha all’attivo anni di lavoro nella Deputazione ebraica e quindi la vita comunitaria, spiega, “l’ho vissuta in quest’arco di tempo nella sua parte più complessa”. L’idea condivisa con gli altri membri di Dor va dor è di “un maggiore orientamento del volontariato” e di un lavoro da svolgersi su due ritmi: una gestione ordinaria, ma anche una vision futura ispirata alla domanda: “Cosa sarà di questa Comunità nei prossimi anni?”. 
Tra le aree di intervento individuate, un supporto concreto ai giovani che permetta loro di non perdere una relazione con la Comunità dopo aver completato il percorso di studi alla scuola ebraica o la loro esperienza nei movimenti giovanili e un loro più agevole ingresso nel mondo del lavoro. Sul versante organizzativo, secondo Sermoneta serve che “la Comunità di Roma, ma direi poi in fondo tutte le Comunità, digitalizzino le loro attività”. Diventa quindi necessario, aggiunge, “creare un sottofondo di strumenti tecnologici che possano aiutare i processi decisionali”. Apparentemente non la cosa più urgente da fare, conclude, “ma nel medio-lungo termine darà senz’altro i suoi frutti”. 

“Sono da sempre attivo nel volontariato, per me questa è la naturale prosecuzione di un impegno che svolgo da diversi anni. Mi metto in discussione anche per dare un futuro ai miei figli”. Così Ilan David Barda, dal 2016 presidente della Casa di riposo, che guida la formazione Menorah. Una lista, afferma, “caratterizzata da persone con un’alta professionalità che hanno l’ambizione di aggregare parti significative di Comunità che si sono allontanate”. Queste, secondo Barda, alcune parole chiave della lista che guida: accoglienza, solidarietà ed educazione. “Il nostro sforzo deve essere rivolto in prima istanza verso le fasce più deboli e verso i nostri giovani: in questa prospettiva – sostiene – intendo rafforzare la scuola, portandola a un livello qualitativo più alto. E ciò anche attraverso l’innesto di nuove forme di collaborazione internazionale”. Altra sfida in questo ambito “il coinvolgimento dei giovani nelle attività di volontariato” e “un concreto sostegno da parte nostra al loro ingresso nel mondo del lavoro”. Tra le questioni che Barda intende mettere al centro anche l’implementazione di un progetto per favorire l’accesso a prodotti casher a prezzi più contenuti e un approccio “più consapevole” al tema delle conversioni. Tra i temi ritenuti meno urgenti, ma che intende comunque affrontare nel corso del mandato, “un approfondimento su potenziali conflitti di interesse in essere, affinché vengano chiarite meglio le singole posizioni”. E inoltre la formazione del personale comunitario affinché “attraverso una migliore conoscenza di lingue e strumenti tecnologici” sia in grado di intervenire “in modo più incisivo”. 

“Vogliamo continuare a fornire il nostro contributo in Comunità, perché nei quattro anni appena trascorsi, in più di un’occasione, abbiamo dimostrato capacità di mediazione, rispetto e analisi delle diverse posizioni senza pregiudizi aprioristici, con proposte innovative, impegno, dedizione e professionalità messe a disposizione con spirito di squadra”. Lo afferma Daniela Pavoncello, ex assessore UCEI e candidata alla presidenza di Binah is real. 
“I nostri valori fondanti – dichiara – si basano essenzialmente sulla condivisione, sulla solidarietà, sull’accoglienza. E l’impegno per il volontariato, coinvolgendo soprattutto i giovani, e l'identità ebraica”. Tra i progetti realizzati in passato Pavoncello ricorda “Educazione al dialogo” e “La diversità e la gestione del conflitto”. Progetto quest’ultimo che, afferma, “è stato adottato da tutte le scuole ebraiche italiane con l’obiettivo di trasmettere e insegnare il valore della differenza, pilastro dell’etica ebraica”. Tra le sfide più urgenti segnala un lavoro sulla scuola “in quanto sede naturale per la formazione iniziale e continua dei nostri giovani”. Un’altra priorità “sono i giovani e il lavoro, ma anche il sostegno a chi vive ai margini,  attraverso un lavoro a stretto contatto con la Deputazione e gli organismi pubblici territoriali”. Inoltre lotta all’antisemitismo e sforzo per far conoscere la “realtà socio-politica israeliana e la sua avanguardia culturale scientifica”. Occhio inoltre al bilancio. “Bisogna – sostiene Pavoncello – ripartire e cercare di ottenere ulteriori risultati”. Al riguardo ricorda che Binah “si è impegnata in questi anni per mettere a punto una riforma sul sistema dei tributi che garantisse equità e trasparenza che va ora messa in atto”. 

“Prima con Yachad, poi con Efshar, quindi con Israele siamo noi. Nomi diversi, ma garanzia assoluta di qualità. Siamo al centro della vita comunitaria da molti anni. Forse meno appariscenti di altri, però fondamentali per la concretezza e le professionalità che portiamo all’interno del Consiglio e della Giunta”. Così infine Marco Sed, assessore al Culto uscente e leader di Maghen David. “La lista, anche in questa tornata, si avvale di persone che amano fare, essere d’aiuto, mettersi al servizio della collettività. Una lista – afferma Sed – che è composta da mondi molto diversi con un progetto comune: da religiosi come il sottoscritto e da chi invece lo è meno. Tanti i giovani inoltre, cui vogliamo dare la possibilità di assumersi delle responsabilità. Uno spettro ampio di proposte, nel segno di valori irrinunciabili, di amore per la Comunità e di competenze marcate che vogliamo far valere”. Tra i risultati rivendicati dello scorso mandato l’aver fatto risparmiare “ben 80mila euro l’anno al culto, per tre anni: risorse dirottate per sanare i bilanci dell’ospedale israelitico e che oggi vorremmo mettere in circolazione per raggiungere altri obiettivi” e l’aver valorizzato “un giovane Maestro di talento come rav Jacov Di Segni”. Sed sottolinea in particolare “l’ottimo lavoro svolto dall’assessore Alberto Piazza o Sed sul patrimonio in termini di valorizzazione e di ristrutturazioni, un lavoro che garantirà per i prossimi anni un miglior suo utilizzo e maggiori rendite”.  L’obiettivo di Sed è di riportare a Roma alcuni rabbini che oggi esercitano altrove e di realizzare un Eruv anche nella Capitale. “Un bisogno avvertito da molti come urgente. E un risultato che, se raggiunto, garantirebbe anche un ritorno economico davvero significativo”. 

Adam Smulevich @asmulevichmoked

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Il deserto e le mitzvot 
Domani inizieremo a leggere il quarto libro della Torà – Bemidbar – da cui prende il nome la parashà che leggeremo proprio questo Shabbat.
Non a caso, questa parashà viene letta, sempre o quasi, il sabato che precede la festa di Shavuot, la festa della Torà, in cui si celebra la promulgazione degli “aseret ha dibberot o aseret ha devarim – le dieci parole”.
La radice della parola “midbar – deserto” è “davar – parola” singolare di Devarim, proprio come i Dieci Comandamenti.
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna
 
Ebrei italiani nel Levante 
Completato nell’aprile 1948, a poche settimane dalla nascita dello Stato di Israele, il volume di Attilio Milano “Storia degli ebrei italiani nel Levante” (ed. originale Rassegna Mensile di Israel 1948, ora ripubblicato dalla Fondazione CDEC e dalla Comunità ebraica di Venezia per i tipi de “ilprato”, 2019) ha un’esplicita e voluta impronta nazionale. “Per cominciare – scrive Francesca Trivellato nella prefazione – Milano scelse come parola chiave del titolo Levante, non Palestina. Inoltre, dedica ben dieci degli undici capitoli del libro non solo a Salonicco e Costantinopoli, le capitali dell’ebraismo nel mondo ottomano, ma anche a Beirut, Damasco, ovviamente Safed e molti altri centri minori dell’odierno Medio Oriente. Solo al termine di questa ampissima carrellata Milano si sofferma sulla figura di Theodor Herzl, che per altro ritrae come un punto di svolta più che la culminazione di un processo auspicato se non inevitabile”.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC
 
Credere nella democrazia
Si è già fatto cenno in questo notiziario alla recente serata torinese di presentazione del libro Neofascismi di Claudio Vercelli. Al di là dell’analisi puntuale (e purtroppo assai preoccupante) del fenomeno, la serata ha offerto anche altri spunti di riflessione su cui vorrei soffermarmi che vanno oltre il tema dei neofascismi e mettono in evidenza una più generale difficoltà che sta incontrando la democrazia in questo momento storico.
Per esempio, è stato detto, assistiamo a una generale insofferenza per le fatiche che il pluralismo comporta: oggi, come ha osservato l’on. Andrea Giorgis, in Parlamento non c’è la disponibilità ad ascoltare, mediare e cercare compromessi, anzi, cedere di un millimetro rispetto alle proprie posizioni è considerato un atto di debolezza. Dunque i parlamenti non sono più percepiti come luoghi di mediazione, di argomentazione, ma solo come casse di risonanza per i propri slogan. Questo quadro piuttosto desolante mi ha fatto tornare in mente per contrasto i racconti di ex parlamentari che quando insegnavo alla scuola ebraica avevo invitato perché raccontassero ai ragazzi la loro esperienza.
Anna Segre, insegnante
Sorpresa greca
A Ioannina, una città di centomila abitanti nell’Epiro, in Grecia, è stato eletto un sindaco ebreo, Moses Elisaf, già presidente della locale comunità ebraica. Ioannina fu sino alla Shoah centro dell’ebraismo romaniota, poi ciò che ne rimase si disperse soprattutto tra New York – dove esiste tutt’ora una celebre sinagoga con questo minhag nel Lower East Side – e lo Stato di Israele. Niente di così inedito un sindaco ebreo, si direbbe, ovunque ci sono stati e si possono ancora trovare sindaci, consiglieri, parlamentari, ministri, persino presidenti di stato e premier ebrei o con discendenze tali – vedasi tra l’altro anche l’Ucraina. Ma forse in Grecia, dove non ci saranno oltre 3-5000 ebrei, la notizia desta maggiore sorpresa, come mi meravigliò quando lo scorso anno diventò in Tunisia ministro del turismo e dell’artigianato, René Trabelsi, figlio di un dirigente della comunità ebraica di Djerba.
 
Francesco Moises Bassano
Machshevet Israel - Sull'idea di Provvidenza
Da una parte (almeno in Italia) è un po’ per colpa del Manzoni, che nei Promessi sposi ha messo in bocca al povero Renzo la frase “La c’è la Provvidenza!” e ha finito per cattolicizzare un’idea fondamentale di ogni fede monoteista. D’altra parte, la Shoah ha di fatto ostacolato a molti la comprensione dell’attributo della divina Provvidenza, che da sempre ha fatto e fa la differenza tra il concetto della divinità presso i greci e quello rivelato al e dal mondo ebraico. Se il termine talmudico ‘apikoros’ viene da Epicuro (ma l’etimologia è incerta) esso rimanda non a una concezione edonistica della vita, ma proprio alla teologia del filosofo del giardino.

Massimo Giuliani
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