L'ALLARME DEI RABBINI ORTODOSSI D'AMERICA
"Retorica razzista ai più alti livelli governativi"

Una ferma condanna “della retorica razzista espressa ai più alti livelli governativi”. Non si cita mai il presidente Donald Trump, ma l’intervento del Consiglio rabbinico ortodosso degli Stati Uniti d’America, che ha affidato le proprie preoccupazioni per il clima che si respira nel Paese a una comunicazione ufficiale, ha tutta l’apparenza di un messaggio allo stesso Trump, distintosi negli scorsi giorni per un violento attacco ad alcune deputate democratiche. Un messaggio che vuole comunque parlare all’insieme della classe politica statunitense (comprese due delle quattro deputate oggetto delle invettive di Trump, Rashida Tlaib e Ilhan Omar, che in passato hanno fatto parlare per le loro inquietanti posizioni su Israele e i sostenitori dello Stato ebraico).
“Che si tratti di considerazioni che mettono in discussione la lealtà degli ebrei americani quando è in gioco la sicurezza di Israele o che si prendano di mira i discendenti di immigrati invitandoli a tornare in Paesi che non hanno mai conosciuto – vi si afferma infatti – tutto ciò è in entrambi i casi una minaccia ai valori fondamentali degli Stati Uniti”.
(Nell'immagine le quattro deputate democratiche attaccate da Trump, Rashida Tlaib, Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Alexandria Ocasio-Cortez, durante un intervento congiunto)
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LA SCOMPARSA DELLA GRANDE FILOSOFA UNGHERESE
Agnes Heller (1929-2019)

Dalla gioventù in fuga dal nazismo che gli portò via il padre, deportato e ucciso ad Auschwitz, all’opposizione al regime sovietico che segnò il suo impegno di intellettuale non allineata. Ha attraversato sfide e ostacoli di ogni sorta Agnes Heller, la grande filosofa ungherese scomparsa nella giornata di venerdì all’età di 90 anni. Uno sguardo sempre lucido, anche sulle storture del presente, specie nell’Ungheria a trazione Orban che non ha esitato a definire “un’infezione per l’Europa intera” al pari dei suoi amici populisti e sovranisti dell’Est Europa. Lo sguardo di una studiosa, provata in prima persona dalle ferite del Novecento, il cui contributo difficilmente sarà dimenticato.
Ammoniva Heller, in una recente intervista con Repubblica: “La memoria europea non guarda cento anni indietro. Persino la Germania ha fatto bene i conti con l’Olocausto ma non con il 1914. Dopo il 1945 l’Europa occidentale credette in un futuro senza guerre, specie tra Francia e Germania. Vennero ricostruzione e welfare, la gente era felice, si arricchiva. L’oblío del passato ha resuscitato i vecchi dèmoni. I nazionalisti etnici stessi non lo sanno ancora ma marciano verso un futuro a rischio di guerre”. Temi che ricorrono nelle diverse testimonianze di queste ore.
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QUI TRIESTE - REDAZIONE APERTA
L'ordinazione del rav Alexander Meloni in sinagoga:
"La sfida di un rabbino: essere cervello e cuore"

“Il compito di un rabbino è quello di far vivere una Comunità. Di esserne non soltanto il cervello, ma anche il cuore. È il compito che cercherò di svolgere in questa Comunità, cui sono riconoscente per aver posto come requisito della mia assunzione il completamento del percorso di studi rabbinici”.
Non nasconde l’emozione rav Alexander Meloni nel giorno della sua semikhà, l’ordinazione rabbinica festeggiata in sinagoga assieme al Consiglio comunitario, agli iscritti alla Comunità, a tanti amici.
Nato a Parigi nel 1961, sposato con due figli, una laurea in Psicologia, studi rabbinici alla yeshiva des Etudiants di Strasburgo e quindi presso il Collegio Rabbinico a Milano, rav Meloni è arrivato a Trieste nella primavera del 2017.
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LA TESTIMONIANZA DEL PROFESSOR VIAN
"Mio zio Ignazio, un eroe partigiano"
Il 22 luglio di 75 anni fa, a Torino veniva impiccato il giovane comandante partigiano Ignazio Vian.
Il Corriere della sera pubblica oggi una testimonianza del nipote, il professor Giovanni Maria Vian, che firma con il suo semplice nome ma è in realtà tra i massimi studiosi e intellettuali italiani, ordinario di filologia patristica presso l’Università La Sapienza di Roma e dal 2007 al 2018 direttore del quotidiano della Santa Sede l’Osservatore Romano.
Un ricordo breve dello zio mai conosciuto che è in realtà è una grande lezione di storia e moralità in un momento in cui nel Paese, sottolinea con amarezza Vian, “rischia di svanire la memoria di quegli anni tremendi da cui pure, tra molte contraddizioni, sono nate un’Italia nuova e la difficile ma indispensabile costruzione europea”.
Il 22 luglio 1944, a Torino veniva impiccato il comandante partigiano Ignazio Vian, 27 anni. Era mio zio. Fu giustiziato in corso Vinzaglio con Battista Bena, Felice Briccarello e Francesco Valentino. Lì i loro nomi si leggono su una lapide, sbiadita come ormai rischia di svanire la memoria di quegli anni tremendi da cui pure, tra molte contraddizioni, sono nate un’Italia nuova e la difficile ma indispensabile costruzione europea.
Dieci anni dopo a Ignazio venne conferita la medaglia d’oro al valor militare perché il 9 settembre 1943, «primo fra i primi, organizzava il fronte della resistenza in Piemonte affrontando in campo aperto il tedesco invasore ed assumendo quindi la condotta della più epica battaglia della guerra partigiana tra gli incendi e le rovine di Boves». In missione a Torino, il 19 marzo 1944 Ignazio Vian fu riconosciuto da una spia, arrestato e torturato per mesi. Cattolico autentico, temendo di non resistere e di tradire, tentò di uccidersi. Salvato dai carcerieri per essere ancora interrogato, ma invano, prima di morire incise sul «pane della prigionia», che si conserva, i nomi dei familiari e le parole «coraggio mamma».
Giovanni Maria Vian
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Rassegna stampa
Crisi, possibilità concreta
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Agnes Heller (1929-2019)
 Agnes Heller, la filosofa ungherese scomparsa venerdì, apparteneva a una compagnia di figure pubbliche che non omaggiano il potente, anche quando il potente di oggi è stato, fino a ieri, oppositore. Perché ciò che conta è solo ciò che fa una volta divenuto potente, non se legittima il suo potere comportandosi come se fosse ancora opposizione.
David Bidussa, storico delle idee
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La seduzione del falso

Dovremmo forse aggiornare il concetto di «falso» nella comunicazione pubblica. Poiché, ci viene da più parti ricordato, che esso non è di certo una novità. Le guerre, ma anche la pace, già dai tempi dell’antichità, si combattono ricorrendo alla manipolazione delle notizie, alla diffusione di informazioni volutamente errate o distorte, alla creazione di stati di aspettativa (così come di ansia) sulla base di impressioni, parole, discorsi ripetuti e così via. Famosa è poi la ampia riflessione di Marc Bloch sulla guerra e le false notizie, laddove queste ultime non costituiscono uno scarto, un errore o comunque un elemento estraneo al conflitto ma ne sono piuttosto parte integrante. Non di meno, la loro plausibilità, nonché la diffusione. è spesso, se non sempre, legata al compiacere diffusi pregiudizi, come anche solidi convincimenti, già radicati negli interlocutori.
Claudio Vercelli, storico
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