Primo Levi, l'altra lettura

Le celebrazioni del centenario di Primo Levi sono l'occasione per riprendere in mano i suoi libri più noti o per scoprire le sue opere meno celebri ma altrettanto affascinanti. Libri, racconti brevi, poesie, il grande scrittore torinese ha prodotto centinaia di pagine di grande letteratura, analizzando nel profondo l'animo e la società umana. Abbiamo chiesto ad alcuni esperti di Primo Levi un suggerimento di lettura e di indicare alcuni percorsi meno battuti dell'opera leviana. Ma prima il consiglio di Dario Disegni, presidente del Comitato Nazionale per le celebrazioni del Centenario della nascita di Primo Levi, di sfogliare Il sistema periodico: “Ho ripreso in mano questo libro in occasione della sua trasposizione teatrale, curata dal regista Walter Malosti. Sono racconti straordinari, originali, dotati di profondità e umorismo. E ci fanno conoscere Levi al di là del suo essere una fondamentale voce di Memoria”.
Dal suo ruolo di Testimone prende invece spunto lo storico Alberto Cavaglion per il primo dei suoi suggerimenti di lettura: “il mio invito è a leggere il testo breve 'Al visitatore', composto da Levi per il Memoriale italiano della Shoah di Auschwitz, oggi meritoriamente salvato e ricostruito a Firenze. In queste poche bellissime righe Levi si rivolge all'umanità intera: una specie di appello senza distinzioni in cui spiega che 'a noi ex deportati' non piace dire noi o loro, siamo tutti ugualmente esseri umani”. Cavaglion spiega la scelta sottolineando che il testo “conferma il messaggio della poesia in epigrafe di Se questo è un uomo, che è una perifrasi della preghiera Ascolta Israele (Shemà Israel) ma che Levi traduce in Ascolta uomo. È una preghiera rivolta all'umanità e non ad una categoria specifica. Lui insisteva molto sul fatto che non amava le divisioni ma aspirava ad un messaggio universale, contenuto in modo chiaro nel testo Al visitatore del Memoriale”. Il secondo suggerimento di Cavaglion è invece di diversa natura: “è il bel decalogo (o quasi, i punti sono nove) contenuto in L'altrui mestiere, dal titolo 'Perché si scrive?'. Qui Levi enumera le ragioni nobili e prosaiche per cui uno si mette a scrivere. Sembra adattissimo a uno scrittore giovane, a un esordiente. È un testo un po' vecchiotto ma che non ha perso la sua attualità”.
Per Fabio Levi, direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, “terribilmente istruttivo” ed attuale è invece il racconto “Forza maggiore”. “È il racconto agghiacciante di una persona che deve passare in una strettoia. Incontra uno tracagnotto e molto forte che gli impedisce di passare. Gli fa un gesto strano con le mani, lui non capisce. A un certo punto questo signore gli dà un pugno nello stomaco. Lui cerca di reagire ma non ha la possibilità di farlo davanti a un uomo così forte. Questo personaggio lo costringe a mettersi in ginocchio, poi ad abbassarsi ulteriormente, a piegarsi all'indietro. E poi alla fine lo costringe a sdraiarsi e gli passa sopra. E allora a quel punto capisce cosa voleva dire quel gesto iniziale: doveva sdraiarsi perché lui potesse passare, camminargli sopra”. Tutto questo avviene in assoluto silenzio: “questa persona cerca di reagire, di parlare, l'altro non fa una piega. È un racconto che rende molto bene un rapporto di totale e assoluta sopraffazione. - spiega Fabio Levi - Terribilmente istruttivo”. C'è chi ha definito questo racconto un compendio di I sommersi e i salvati, opera celebre che Domenico Scarpa, critico letterario e consulente letterario-editoriale del Centro studi Primo Levi, consiglia di riprendere in mano e leggere con attenzione, al di là della retorica. “Di solito l'attenzione viene calamitata sempre, come in un jukebox, da 'zona grigia', 'vergogna' e 'defaillance della Memoria'. Sono queste le citazioni sul podio ma sarebbe il caso di andarsi a leggere, in particolare di questi tempi, il capitolo Stereotipi: e su questo non aggiungo altro”. Scarpa aggiunge però un altro consiglio di lettura ovvero La ricerca delle radici, antologia curata da Primo Levi: “Si tratta di un moltiplicatore di letture: parti da Levi e vai in tutte le direzioni nello spazio e nel tempo attraverso la sua biblioteca che di fatto è una biblioteca universale. Ed è davvero una miniera di conoscenza”.
“Mi hanno chiesto quale opera di Levi porterei nella famosa isola deserta e ho detto I sommersi e i salvati ma se mi chiede uno spunto meno battuto sceglierei Ad ora incerta, cioè le poesie”, spiega invece il filologo e critico letterario Giovanni Tesio, elencando i motivi del perché di questa scelta. “La poesia nella sua densità è qualcosa di molto più profondo della prosa e in cui Levi concentra il suo pensiero, mantenendo sempre la sobrietà e discrezione che lo caratterizzano”. La densità poetica è dunque il primo motivo per cui leggere i versi del grande scrittore torinese. Densità che porta i testi poetici a raccontare “il dolore, la sofferenza, l'abisso del Lager con un pathos molto più ricco di quanto non facciano le prose”, afferma Tesio, che poi aggiunge: “nella poesia Levi pensa a qualcosa di misterioso che accade in lui; tanto è vero che è lui stesso a dire che la poesia di tanto in tanto viene a visitarlo ma che queste visite avvengono con una naturalezza che la sua parte razionale invece continua a considerare innaturale. Come a dire, la poesia c'è dentro di me ma allo stesso tempo non so spiegarmela. Mi piace molto questo aspetto perché è un po' come se Primo Levi ci dicesse che ci sono delle cose che, pur nella piena razionalità, non riescono ad essere chiaramente spiegate”. Altro motivo per leggere le poesie, “l'ironia, autoironia e addirittura parodia che contengono e che ci indica il suo lato più umoristico. Ci consentono di parlare di Primo anche come di un umorista”. “Ultimo motivo infine, i nuclei di condensazione di poesia sono in Levi raggruppati intorno a un primo tempo in cui la voce del Lager si sente molto viva (gli anni Quaranta-Cinquanta) e in un secondo tempo (anni Ottanta) in cui quasi torna a risvegliarsi in lui il trauma lontanamente patito e mai completamente risolto. Ad ora incerta certifica dunque una pluralità di significati che aiutano molto ad entrare nel mondo di Primo Levi”.
Chiudiamo sempre con una poesia suggerita però da Cavaglion: “Levi morì in aprile, nel periodo di Pesach, e c'è una poesia che si intitola Pasqua che a me piace molto. Scritta nel 1982, è tutta un intreccio di citazioni dalla Haggadah di Pesach: di suo non c'è nulla ma è un lavoro di intarsio perfetto sui versetti ebraici. Pasqua può essere così un pensiero affettuoso di congedo da Levi”.

Daniel Reichel @dreichelmoked

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Bialik, in ebraico e in italiano
Ricorre in queste settimane l’85° anniversario della scomparsa di Hayyim Nachman Bialik (1873-1934). Non sono state molte le manifestazioni organizzate per ricordarlo e questo dovrebbe dispiacere molto ai cultori della rinascita nazionale ebraica. Fu lui, scrittore e soprattutto poeta ebreo di origini ucraine, a rinnovare in maniera profonda assieme a Eliezer Ben Yehuda la lingua ebraica come la conosciamo noi oggi. La stazione radio del quotidiano Maariv ha dedicato alla sua produzione una singolare e piacevole raccolta delle principali canzoni prodotte dagli artisti israeliani che hanno ripreso i suoi versi mettendoli in musica.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC
A buon intenditor poche parole
"Ve Lavan va Chazzerot ve Di zahav - e Lavan e Chazzerot e Di Zahav" (Devarim 1;1). Mosè ricorda al popolo i luoghi dove quest'ultimo ebbe atteggiamenti ribelli contro D-o e contro di lui. Queste località, a parte Chazzerot, non sono riconoscibili; nel midrash è riportato a nome di Rabbì Yochannan che la località Lavan non è mai menzionata in tutta la Bibbia. Come le altre località citate, esistenti e non, Lavan vuole essere un cenno di ammonimento da parte di Mosè al popolo per il suo cattivo comportamento.
Lavan significa bianco e la cosa bianca per eccellenza era la manna, a causa della quale il popolo ebbe molto da lamentarsi. Così pure "Di Zahav", dove zahav - oro - ricorda al popolo la grave colpa di cui si era macchiato a causa del vitello d’oro.
Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna
Memoria spostata
Ermelinda Bella Segre detta Bettina, di 68 anni, sposata con Giacomo Augusto Hasdà nel municipio di Trino, sua città natale, arrestata con il marito; Cesare Davide Segre, 58 anni, di salute cagionevole, sordomuto, ricoverato nell’ospedale di Casale Monferrato nel reparto incurabili; Celeste Pia Muggia, 74 anni, il cui padre era stato vicesindaco, arrestata a Castedelfino con la figlia Bice Sacerdote e la nipote Natalia Tedeschi (che quando l’avevo intervistata per la Shoah Foundation mi aveva appunto raccontato della madre e della nonna arrestate con lei e separate da lei all’arrivo ad Auschwitz, che non aveva più rivisto); Giacobbe Foa, di 77 anni. Sono i quattro ebrei nati a Trino (Vercelli) deportati ad Auschwitz e mai tornati - tutti e quattro, piuttosto anziani, furono uccisi all’arrivo - a cui qualche anno fa la loro città natale aveva dedicato una piazza e che invece l’attuale sindaco intende sfrattare, spostando la piazza in una zona più periferica, per sostituirli con i tipografi trinesi.
Anna Segre
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Le armi in mano ai razzisti
Mai come negli ultimi anni sembrerebbe così vivo e letale negli Stati Uniti il "suprematismo bianco", un odio che colpisce indistintamente omosessuali, persone di colore, musulmani, ebrei, e chiunque si trovi nelle traiettorie dei suoi killers. Tanto da rendere ormai vano il consueto mantra "non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani". Ma forse il suprematismo bianco, come del resto il jihadismo, è solo un altro folle pretesto per prendere un arma in mano e "legittimare" una strage. L'omicida non sarà più un individuo disturbato psicologicamente, ma un "eroe" o "martire" da inserirsi all'interno di un pantheon degenerato. Quale che siano le biografie e le motivazioni dei terroristi, l'elogio alla libertà di possedere un'arma e il linguaggio d'odio restano comunque capisaldi dell'era trumpiana. 
Francesco Moises Bassano
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