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IL GRANDE INTELLETTUALE EBREO CITATO IERI IN SENATO

Il segno di Buber nel pensiero contemporaneo

La politica quale nobile arte che consente "di perseguire percorsi di razionalità nel riconoscimento delle diversità". Nel discorso al Senato in cui ha annunciato la fine dell'esecutivo, il premier Giuseppe Conte ha citato tra gli altri Martin Buber, tra i più grandi pensatori ebrei del Novecento, sul cui contributo intellettuale si era già soffermato nel corso della sua visita al Tempio Maggiore di Roma dello scorso gennaio. 
“La nostra autentica missione in questo mondo in cui siamo posti – aveva allora affermato citando un brano da Il cammino dell'uomo – non può esser in alcun modo quella di voltare le spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore. Al contrario è proprio quella di entrare in contatto attraverso la santificazione del legame che ci unisce a loro con ciò che in essi si manifesta".
Ma chi era Martin Buber? E perché la sua opera è così importante? "Venerato da alcuni come il maggior filosofo ebreo del XX secolo, bistrattato o peggio da altri (che spesso non ne hanno mai letto una riga) - ha scritto in suo recente intervento su queste pagine il professor Massimo Giuliani - Buber resta sempre tra noi: le sue maggiori opere vengono ripubblicate; scritti minori vengono tradotti per la prima volta; si continuano a dare tesi di laurea su di lui, pur nel dubbio che tutto quel che si poteva dire su Buber sia già stato detto. Eppure l’opera di questo poligrafico autore pesa, non solo in se stessa e indipendentemente dal giudizio che ne diamo, ma pesa anche (soprattutto?) per la storia dei suoi effetti, per l’impatto che ha avuto dentro e fuori (soprattutto!) l’ambito ebraico". 

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PAGINE EBRAICHE - IL RITRATTO 

Vivian Maier, la fotografa che scelse di fare la tata

Vivian Maier, The Self-Portrait and its Double, in corso al Magazzino delle Idee di Trieste, è una mostra da non perdere. L’esposizione fotografica, curata da Anne Morin, in 70 autoritratti – di cui 59 in bianco e nero e 11 a colori – aiuta a comprendere tutta la complessità di una grande artista che rischiava di restare sconosciuta al grande pubblico. Nata a New York, figlia di madre francese, Maria Jaussaud, e padre austriaco, Charles Maier, Vivian scelse per il suo amore per i bambini e per la vita all’aperto di fare la tata, utilizzando la fotografia come espressione di sé e non come una professione. I negativi del suo lavoro sono stati scoperti di recente dal regista John Maloof, che per caso li acquistò in una casa d’aste. 

I 70 autoritratti esposti a Trieste fanno parte di un fondo di 150 mila negativi, ricuperato in modo fiabesco. Un ricercatore americano casualmente acquistò per poco all’asta degli scatoloni che erano stati pignorati a una vecchia bambinaia in miseria. Vivian Maier, impossibilitata a pagare l’affitto della propria abitazione, quindi, soccorsa per carità da una delle famiglie alle quali aveva prestato servizio, morì a 83 anni d’età nel 2009. Aperti gli scatoloni, presto ci si accorse che ai celebrati autori, che costituiscono la costellazione mondiale della grande fotografia di eccelsa qualità artistica, andava aggiunto il nome della finora sconosciuta bambinaia. 
Come sempre, la singolarità del caso attrae la curiosità di chi guarda le foto e tenta di rendersi ragione delle straordinarie circostanze. Non vorrei che ciò accada con voi che mi leggete. L’arte ha una propria perfezione interna e nasce tale come nacque Minerva dalla testa di Giove. 
Quindi vorrei che voi apprezziate le fotografie di Vivian Maier per la loro qualità, come se fossero opera di un autore famoso e fortunato nella sua vita. Non mi è facile indurvi a ciò, perché le foto sono prive di ogni pretesto che aiuti la valutazione. I soggetti trattati sono desolantemente banali. Lo stile non ha nulla di originale, né quanto all’inquadratura, né quanto alle tecniche di assunzione e di elaborazione. Anzi, Vivian, nella maggior parte dei casi, non sviluppava i rullini, le bastava aver scattato. Voleva accertare che lei esisteva e che esistevano le persone da lei ritratte. Un discorso, dunque, soltanto esistenziale.

Giulio Montenero, critico d'arte

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Rassegna stampa

Al via le consultazioni
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La nostra responsabilità
“Mangerai, ti sazierai e benedirai il Signore tuo D.O per la buona terra che ti ha dato” (Deut. 5,10). Da questo passo della Torà i Maestri hanno imparato l’obbligo di recitare la preghiera di ringraziamento al termine del pasto – Birkat ha-Mazon, per estensione del medesimo principio di riconoscere ogni alimento come dono di D.O, hanno altresì stabilito le benedizioni da pronunciare prima e dopo l’assunzione di qualsiasi cibo o bevanda.
 
Rav Giuseppe Momigliano
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Ticketless – Via dei Mille, 4
In un fresco pomeriggio ferragostano, quando Torino diventa incantevole, mi sono soffermato sotto la lapide di via dei Mille 4.
La casa di Bruno Vasari, B.V., il destinatario della poesia di Levi forse
più nota (Ad ora incerta), da circa un anno porta una lapide. Per un lungo periodo questa casa ha custodito la memoria della deportazione, nel silenzio generale che la circondava. A Torino, e non solo a Torino, il deportato fino a tutti gli anni Settanta era guardato con lo sgomento con cui nella poesia di Coleridge si guarda il Vecchio Marinaio.
Alberto Cavaglion
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Le parole di Conte

Ieri è stato uno di quei rari casi in cui le sedute parlamentari fanno più dello 0,000001% di share. Molti siamo stati ad ascoltare il discorso di Giuseppe Conte. Ma cosa abbiamo ascoltato? Beh, un discorso di alto profilo istituzionale. Una vera difesa del Parlamento e delle sue prerogative, resa ancor più credibile da un uomo che si è iscritto nelle file di un partito che nasce sotto il profilo della grande visione politica di Gianroberto Casaleggio.

Davide Assael
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Periscopio - Fascism. A Warning
Segnalo, come godibilissima lettura estiva, un libro davvero ammirevole, utile a comprendere il passato, a interpretare il confuso presente, e anche a cercare di decifrare le promesse, o le minacce, dell’incerto futuro. Un volume scritto da una protagonista della cultura e della politica americana, rivolto ai lettori di tutto il mondo, ma che pare indirizzato in primo luogo a noi italiani.
 
Francesco Lucrezi
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Ultimi gli ebrei 
“America first” (Trump), “Prima gli italiani” (Salvini). Ne prendo atto, anche se vi sono differenze contestuali. Ad esempio, il diritto dell’UE prevale sulle norme nazionali e, in caso di contrasto, queste ultime debbono essere disapplicate. Ne consegue che, al posto di “Prima gli italiani” potremmo proclamare “Prima l’Italia”, cercando che l’Italia sia ai primi posti o, auspicabilmente, addirittura al primo posto in Europa e nel mondo.
 
Emanuele Calò
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