Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      5 Giugno 2020 - 13 Sivan 5780
MEMORIE D'INFANZIA, NUOVE PAGINE DA SFOGLIARE 

Assisi, la guerra e la fantasia come rifugio

“Nel 1943, per salvarsi dalle persecuzioni naziste, la mia famiglia trovò rifugio ad Assisi, dove ricevette un aiuto meraviglioso da parte del vescovo Nicolini e di tutto il clero locale. Ci fornirono anche di carte d’identità false, dove risultavamo originari di Lecce. All’inizio, ancora con i documenti veri, si alloggiò per un mese in un piccolo albergo, l’Albergo del Sole, e successivamente in una casa privata; qui avevamo due camere, di cui una era la stanza da pranzo, il luogo dove praticamente si viveva gran parte della giornata. Al centro c’era un grande tavolo rettangolare, di legno scuro”.
È lì, racconta Mirjam Viterbi Ben Horin, che è nato Gli abitanti del Castelletto. La storia dei gemelli Clara e Marino abitanti del castelletto nato da un sogno e, allo sfaldarsi dello stesso, caduto sulla terra. L’opera di fantasia di una bambina ebrea italiana perseguitata dal nazifascismo che immagina una storia, la scrive e la disegna per isolarsi dalle brutture del mondo. Non ci sono infatti né Shoah né violenze. Un quaderno verde diventa il suo rifugio. Attraverso le sue pagine può sentirsi nuovamente libera.
Quelle pagine sono oggi un libro. Le Edizioni francescane italiane lo hanno da poco mandato in stampa, riproducendo fedelmente tramite scansione ogni pagina con il proposito di condividere “la volontà di testimoniare la speranza di una bambina, che preda degli eventi terribili sviluppa un mondo di fantasia come a volersi proteggere da ciò che la circonda”.

Un testo che torna all’infanzia e costituisce un appendice ideale a un libro scritto in età matura, Con gli occhi di allora. Una bambina ebrea e le leggi razziali, nel quale Mirjam racconta l’impatto dei provvedimenti antiebraici promulgati dal fascismo nel ‘38 sulla sua famiglia. Il padre cacciato dall’Università di Padova, lei dal liceo pubblico. Solo l’inizio di una serie di ferite, sofferenze e angosce che portano la famiglia fino ad Assisi, che si rivela (per loro, come per tanti altri ebrei in fuga dagli aguzzini) un luogo di salvezza. “Cominciai a scrivere ‐ racconta nella sua introduzione a Gli abitanti del Castelletto ‐ e man mano che andavo avanti incominciavano a prendere vita personaggi straordinari, che riempivano la mia solitudine e mi trascinavano in un mondo nuovo, sconosciuto, dove tutto aveva la luminosità delle favole. In quelle pagine io vivevo”. Nessuno tra i suoi cari sembra troppo colpito da quella attività. Fin quando un giorno il padre, passando lì vicino, dette un’occhiata a quei fogli e immediatamente ordinò alla figlia di cancellare un nome. Stava infatti introducendo, spiega Mirjam, “un personaggio cui avevo pensato di dare il nome di ‘Momolo Carotina’ e, secondo il papà, quel nome poteva evocare la nostra origine veneta e non quella meridionale, come doveva essere secondo le carte false”. Così, per non correre ulteriori rischi, Momolo divenne Filomeno. Un nome certamente più diffuso al Sud. “È a questo continuo fluire di fatti e di immagini fantastiche ‐ riconosce l’autrice ‐ che io devo in parte la mia salvezza interiore. Le cose terribili che avvenivano e che io sentivo e in un certo senso già ‘sapevo’, rimanevano ‘fuori’ o, meglio, si controbilanciavano con quello che era divenuto il mio mondo dove tutto era bello, possibile, buono”.

Il racconto si apre con l’immagine di un castello posto tra le nubi. Questa collocazione non è però fatta per durare: un bel (“brutto”) giorno il castello precipita sulla terra, portando con sé tutti i suoi abitanti (un padre, una madre, due figli gemelli, la governante, il cuoco, la cameriera, il cane). Ma non è un disastro. Il castello resta in piedi, e la vita in esso continua.
Nel doloroso spaccato di vita da rifugiata vissuto da Mirjam, sottolinea la psicoterapeuta Miriam Marinelli, che firma la postfazione, “la fantasia, la creatività, l’immaginazione sono state davvero le leve vitali che hanno forzato e divelto i cancelli della prigionia subita, consentendole di tollerare la terribile prova della segregazione, fardello troppo pesante da reggere per le esili spalle di una ragazzina di soli 10 anni”. Quello che le è impedito nella realtà, “niente e nessuno le può impedire di viverlo nella sua immaginazione”. Vi si trovano castelli fatati, paesi dei nidi cinguettanti e dei prati smeraldini, un matrimono da favola tra la governante e l’omino del Paese dell’orologio che rende tutti felici (anche il cane Riki).
Il libro ospita una introduzione del vescovo Domenico Sorrentino in cui si ricorda il ruolo di testimonianza ma anche l’intenso impegno per il dialogo interreligioso svolto da Viterbi Ben Horin (elemento che ha caratterizzato anche la vita della sorella Graziella, madre del rav Benedetto Carucci Viterbi, scomparsa lo scorso anno e cui è stata dedicata l’ultima edizione del laboratorio giornalistico UCEI Redazione Aperta). “Nel 1943 ‐ scrive il vescovo ‐ Mirjam aveva dieci anni. Attualmente vive a Gerusalemme, con ricordi che riempiono la sua memoria ben oltre gli anni assisani, avendo ella avuto una vita ricca di esperienze, come musicista, medico specializzata in neurologia e psichiatria, scrittrice, sposa di un importante diplomatico, Nathan Ben Horin, benemerito per lo sviluppo dei rapporti tra Stato di Israele e Santa Sede”. Sottolinea ancora Sorrentino, cui per primo Mirjam ha mostrato il manoscritto (da quel confronto è nata l’idea di farne un libro): “Ho potuto conoscerla personalmente facendole visita a Gerusalemme. Periodicamente ci sentiamo al telefono. Mi colpisce la vividezza dei suoi ricordi, anzi, il culto che professa per una memoria sempre aderente ai fatti, lontana da ogni tentazione di falsificazione o di arricchimenti fantasiosi, fossero pure concepiti con le migliori intenzioni. La storia è storia”.
Al quaderno mancano le ultime pagine, perché strappate. “Forse perché ‐ ipotizza Marinelli ‐ la vita reale di quella famiglia di perseguitati, con la sopraggiunta liberazione dalla oppressione nazista, è rinata e il cielo libero lo si è potuto finalmente guardare anziché soltanto immaginare”.

(Nelle immagini, dall'alto in basso: l'abitazione di Assisi in cui trovarono rifugio Mirjam e i suoi cari; la copertina del racconto; una pagina interna)

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

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VIDEOPILPUL - L'ULTIMA INDAGINE SWG 

"Europa, immagine in ripresa"

Il piano del Recovery Fund presentato dalla Commissione Europea è stato accolto positivamente non soltanto dagli elettori della maggioranza, ma anche da quelli dell’opposizione. Lo racconta l'ultima indagine di Swg sugli italiani e la percezione della crisi. Molti gli spunti di riflessione anche questa settimana. 
Ne abbiamo parlato, nel videopilpul trasmesso ieri sera, con il direttore di ricerca Riccardo Grassi. 

LA PUNTATA DI SORGENTE DI VITA 

Gerusalemme sotterranea

Un eccezionale ritrovamento archeologico sotto la spianata del Tempio a Gerusalemme che ha riportato alla luce tre ambienti, utilizzati fino al VII secolo dell’era volgare, è il servizio di apertura della puntata di Sorgente di vita di domenica 7 giugno. 
Scavando sotto al pavimento a mosaico di un edificio risalente al periodo bizantino, si sono aperte tre stanze, due delle quali interamente scavate nella pietra. Tanti gli utensili, le lampade e gli oggetti ritrovati.

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Chiesa e modernità
Il recente testo di David Bidussa, La misura del potere. Pio XII e i totalitarismi tra il 1932 e il 1948 (Solferino, 2020), merita qualche considerazione per svariati motivi. Si tratta di un testo che incrocia molti piani e diversi saperi che non sempre sono controllati da una storiografia che si è fatta in questi ultimi decenni sempre più specialistica e settoriale, con la creazione di micro-nicchie nelle quali spesso queste pagine entrano senza chiedere permesso.
Gadi Luzzatto Voghera
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 La mitzvà dei kohanim 
Nella parte più centrale della nostra parashà troviamo quella che va sotto il nome di “birkat kohanim – benedizione sacerdotale”. Aharon prima, e i suoi discendenti dopo, avevano e hanno tutt’ora il dovere di imporre, attraverso le loro mani, la benedizione divina sul popolo di Israele. È una mitzvà – dovere per i kohanim quello di imporre la benedizione divina al popolo, non un onore.
Rav Alberto Sermoneta
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Il distanziamento che avvicina
Noi donne ebree siamo abituate ad essere tenute a distanza, e non solo di uno o due metri: spesso siamo spedite al piano superiore, oppure dietro una grata o nel migliore dei casi una barriera poco più bassa di noi. Dunque devo dire che in rapporto alla possibilità di partecipare attivamente alla tefillà nei giorni festivi per me questo periodo di distanziamento è stato in realtà un avvicinamento.
Anna Segre
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I nomi dell'incontro
“Avevo una città bella tra i monti/ rocciosi e il mare luminoso. Mia/ perché vi nacqui, più che d’altri mia/ che la scoprivo fanciullo, ed adulto/ per sempre a Italia la sposai col canto.”
Una targa posta davanti al golfo e alla città di Trieste nei pressi di Aurisina/Nabrežina, in un luogo inedito scoperto grazie alla mia “congiunta” triestina, recita una strofa della poesia “Avevo” (1944) di Umberto Saba.
 
Francesco Moises Bassano
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